Non si esagera affatto quando si dice che quelli in cui viviamo sono
tempi terribili. La sensazione è quella di vivere in un romanzo
di fantapolitica in cui tutti gli ingredienti dell'inquietudine
letteraria diventano ogni giorno drammaticamente veri e palpabili, come
se intuizioni e profezie pessimistiche si stessero avverando una dopo
l'altra.
Il problema ambientale, ad esempio. Su larga scala il cambiamento
climatico, che per anni era stato negato e minimizzato da certa
letteratura scientifica assoldata dalle grandi multinazionali, è
diventato un argomento del dibattito politico e culturale mondiale
rivestendo, non a caso, i caratteri di un'emergenzialità che
poteva essere affrontata prima e per tempo ma che adesso non può
tollerare ulteriori rinvii in termini di soluzioni. Stesso discorso per
quanto riguarda il delirio tutto italiano dello smaltimento dei rifiuti
in Campania: decenni di abusi, di affari mafiosi nella gestione delle
discariche non autorizzate, di insipienza di una classe dirigente
corrotta e ignava hanno portato l'attuale governo ad affrontare la
cosiddetta emergenza col piglio autoritario di chi militarizza il
territorio e impone scelte con il solito ricatto del commissariamento e
del conferimento di poteri speciali a superpoliziotti che sanno solo
reprimere ed esercitare l'ingiustizia.
E poi c'è il lavoro che uccide, implacabile e puntuale, da Nord
a Sud, nelle fabbriche e nei cantieri. Perché la sicurezza non
è garantita, non è assicurata né controllata, e
l'unico criterio imprenditoriale dei padroni risponde a logiche di
accumulazione e profitto, contro ogni diritto residuale. Non si tratta
solo di abusi o di omissioni ma del semplice e rigoroso sfruttamento da
parte di chi detiene i mezzi di produzione in un sistema che a livello
strutturale consente di poter sorvolare sui diritti dei lavoratori
perché il lavoro è, di per sé, in balia della
precarietà, della flessibilità, delle norme che hanno
demolito diritti e doveri spazzando via ogni parvenza di
reciprocità. E poi c'è la repressione, il controllo
sociale, l'allarmismo ingiustificato che morde ogni giorno, nelle urla
della televisione e nella genericità di titoli cubitali che
raccontano solo quello che serve ai padroni e ai politici per tenere in
pugno le vite di tutti. Così, se tutto va storto è colpa
degli immigrati, che spacciano o si prostituiscono, che rubano e
violentano, che non si integrano e vivono ai margini. Ma nessuno
racconta che per ogni spacciatore straniero c'è un drogato
italiano, o che per ogni prostituta nera c'è un cliente bianco,
o che gli stupri e le violenze si consumano per la maggior parte tra le
mura di casa, con mariti che ammazzano le moglie e figli che massacrano
i genitori. Basterebbe partire da queste considerazioni per comprendere
che i comportamenti criminali non sono esercizi di stile ma il prodotto
sciagurato di una società in cui c'è chi ha troppo e chi
ha troppo poco, in cui i soldi girano male e finiscono sempre nelle
stesse tasche, in cui l'incertezza del futuro è scandita dal
produci-consuma-crepa che è ormai arrivato allo stadio finale di
quest'infame
tripletta. La criminalità del potere, invece, non la racconta
nessuno perché non c'è alcun interesse a far sapere in
giro che i fascisti esistono e picchiano ancora, sempre di più e
sempre più spesso, ovunque. Né è opportuno che i
media raccontino le storie di carabinieri e poliziotti in borghese che
si divertono a pestare immigrati il sabato sera nel bergamasco. E se un
giorno, nel Canale di Sicilia, il comandante di un peschereccio ributta
a mare un naufrago dalla pelle nera, la notizia non susciterà
troppo scandalo o riprovazione perché, dopotutto, quel tizio
avrebbe rischiato il sequestro della barca se si fosse messo in testa
di salvare la vita di un uomo.
Il mondo gira al contrario e non ci sarebbe neanche bisogno di essere
anarchici per accorgersene. Occorre quindi recuperare il buon senso e
tirare il freno, guardarsi negli occhi e riprendere fiato. Le emergenze
ci sono, ma non sono quelle che vorrebbero imporci i potenti che
predicano male e razzolano peggio. È di vitale importanza
tornare a prenderci cura di noi stessi e delle nostre vite, uniti e in
piedi, senza paura. Gli stati, i governi, le classi dirigenti, i poteri
economici hanno demolito a poco a poco le esistenze di tutti,
violentando l'ambiente e facendo della vita di ciascuno un calvario di
privazioni e rinunce, una giungla in cui scannarci gli uni con gli
altri, una pattumiera sociale in cui nessuno parla più con
nessuno e la mercificazione è quotidiana palestra di gerarchia e
oppressione. Anche se siamo convinti che solo l'anarchia potrà
salvarci da questi tempi terribili, ci basta che - nel frattempo - le
donne e gli uomini comincino almeno a rimboccarsi le maniche per
tornare a riprendersi il mondo, insieme e contro ogni potere e ogni
ingiustizia. La strada è in salita ma è senz'altro
migliore della ripida discesa in cui ci stanno spingendo.
TAZ laboratorio di comunicazione libertaria