Umanità Nova, n.2 del 20 gennaio 2008, anno 88

Quanto è lontana Genova? Sul filo di una memoria spezzata ed offesa

“Oggi sarà il giorno del morto.”
(Renato Farina, alias agente "betulla" giornalista informatore dei servizi segreti, "libero", 20/07/2001)

La recente sentenza [1] di primo grado contro 25 compagni e compagne, processati per i fatti del luglio 2001 a Genova, è lo spunto dal quale partiamo per ricordare qualche fatto e proporre qualche brevissima riflessione.
Nonostante non sia ancora disponibile il dispositivo completo è evidente che la sentenza ha operato una distinzione tra gli imputati, a seconda se siano stati condannati o meno per "devastazione e saccheggio". Per cui il medesimo atto (per esempio lanciare una molotov) può essere punito con pene molto diverse, una differenza che si misura in anni di reclusione.
Mai come in questo caso si può dire che si è trattato di una sentenza annunciata, in quanto il giudizio ha sancito una interpretazione di quanto avvenuto in quelle giornate già scritta nel 2001 e ribadita poi durante tutti questi anni.

La prova generale
Napoli, 17 marzo 2001, un corteo di almeno 30 mila persone arriva in Piazza Municipio per protestare contro la riunione del "Global Forum". Appena un gruppo prova a forzare il blocco della polizia scatta la trappola: i manifestanti vengono accerchiati, tutte le vie di fuga sono chiuse, e picchiati indiscriminatamente. I fermati vengono portati in una caserma della PS dove subiscono un ulteriore trattamento a base di botte ed umiliazioni [2]. Col senno di poi questo episodio è stato considerato una sorta di "prova generale", gestita dal governo di "centro-sinistra", di quello che poi sarebbe avvenuto a Genova, quando al governo ci sarà invece il "centro-destra", appena insediato.
Con l'avvicinarsi dell'appuntamento del G8, iniziano a comparire su tutti i media notizie allarmate ed allarmistiche su quello che sarebbe potuto accadere in quei giorni: dai preservativi pieni di sangue infettato dall'AIDS, allo sgombero delle celle dei carceri per far posto agli arresti, all'obitorio di "almeno 500 metri quadri" per ogni evenienza [3]. Il centro della città ligure viene rinchiuso da una serie di inferriate, cancelli e barriere varie, come se si preparasse ad un vero e proprio assedio.

Un passo indietro
Alle iniziative di Genova, si era arrivati sull'onda lunga della rivolta di Seattle (novembre 1999) che aveva ridato fiato ad un movimento internazionale di protesta già in lotta da tempo contro il capitalismo globale. Un movimento battezzato frettolosamente dai media come "no-global" (all'inizio "popolo di Seattle"), mentre in realtà la partecipazione di migliaia di persone alle iniziative in diverse parti del mondo, stava mettendo in pratica una vera e propria globalizzazione della protesta. A Seattle, a Praga (settembre 2000), Quebec City e Goteborg (aprile 2001), il movimento era riuscito a mettere insieme diverse "anime", quelle che da sempre alimentano i movimenti per il cambiamento sociale, e così accanto ai riformisti e non violenti, si erano trovati anche quelli che non rinunciano a priori ad uno scontro con le forze poste a difesa del profitto e dello sfruttamento.
Ed erano stati proprio questi ultimi a caratterizzare le diverse proteste, solo un ipocrita non avrebbe l'onestà necessaria per dire che sono state proprio queste pratiche ad imporre l'attenzione dei media per le tematiche portate avanti dal movimento, mettendo contemporaneamente in secondo piano le inutili chiacchiere che si facevano nei diversi summit.

La rivolta
A Genova si è ripetuto (in grande scala) quanto già avvenuto in precedenza, quando le proteste contro i padroni della Terra erano sfociate in scontri violenti con le forze della repressione. A quasi sette anni di distanza, nessuno ricorda più di cosa hanno discusso i G8, ma tutti ricordano invece la rivolta di piazza.
Con premesse del genere, la possibilità di "incidenti" era sicuramente messa nel conto da tutti coloro che andarono a Genova coscientemente e non semplicemente a rimorchio di qualche gruppo di anime candide. Quello che invece non era possibile prevedere era la tattica che avrebbero utilizzato le forze dell'ordine e il numero dei partecipanti alla protesta. E sono stati questi due fattori che hanno contribuito far saltare molti piani.
La mobilitazione fu imponente, fin dall'inizio si capì che in piazza ci sarebbero state decine di migliaia di persone. Tutte intenzionate, anche se in modo diverso, a violare la "zona rossa": i non-violenti si organizzarono per manifestare pacificamente il loro dissenso, i "concertativi" per rappresentare la loro radicalità tutta mediatica e gli "incontrollabili" per attaccare i simboli del capitale e dello stato. Da parte sua lo Stato mobilitò quasi 20 mila addetti all'ordine pubblico.
Al termine delle quattro giornate di Genova si contavano almeno 560 feriti e 301 tra arrestati o fermati, un bilancio appesantito tragicamente dalla morte di Carlo Giuliani. Ancora un volta nel crogiolo del movimento avevano trovato ospitalità, una accanto all'altra, pratiche di lotta molto diverse.

Infiltrati!
La lettura che venne data di quegli avvenimenti, quasi immediatamente ed ossessivamente nei mesi successivi, accentuò la divaricazione preesistente tra le diverse "anime" del movimento. Il ceto politico ripeteva che tutte le violenze avevano due colpevoli: le forze dell'ordine che avevano attaccato i manifestanti pacifici ed i "black-bloc" che avevano operato la devastazione della città. I secondi avrebbero avuto dai primi mano libera per agire indisturbati ed inoltre vi erano stati anche degli elementi delle forze dell'ordine infiltrati tra le file dei manifestanti più violenti.
Quello degli infiltrati è stato un ritornello che ha caratterizzato buona parte dell'informazione "alternativa", una accusa che però non è mai andata oltre la banalità (i provocatori ci sono sempre stati) o il sospetto non provato [4]. Anche dopo mesi, nel libro bianco del "Genova Social Forum", vennero riproposte le medesime accuse documentate da "prove" decisamente risibili [5].
Fin da subito fuori dal coro, il comunicato della Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana:

"Rifiutiamo la campagna di criminalizzazione del Black Bloc, campagna che vede concordi i media dal Manifesto al Giornale. Pur critici nei confronti di una strategia di lotta che, riducendosi a mero confronto di piazza con la polizia, smarrisce la necessaria tensione alla comunicazione diretta più ampia, consideriamo inaccettabili le falsità fatte circolare in questi giorni. Certamente, come comprovato da più parti, provocatori e poliziotti hanno avuto mano libera a Genova, rendendosi responsabili di attacchi e distruzioni indiscriminate. Ma le loro responsabilità non possono essere attribuite al Black Bloc, che, per sua stessa dichiarazione, si è limitato a colpire banche e altri simboli del potere. La nostra più profonda alterità rispetto alla loro strategia non può esimerci dal rispetto per la verità. Una verità che in questi giorni è stata più volte calpestata nel tentativo di fabbricare un perfetto capro espiatorio della violenza poliziesca, questa sì feroce ed immorale. La distruzione di cose non può essere comparata alla violenza di chi bombarda popolazioni inermi, di chi decreta la morte per fame, per malattia, per tortura. Di chi stronca la vita di un giovane manifestante a colpi di pistola." [6]

La Politica
Nell'agosto 2001 viene avviata una "indagine conoscitiva" parlamentare sui fatti di Genova, la commissione composta da parlamentari di tutti i partiti, procede all'ascolto di alcuni dei protagonisti dei fatti. Al termine vengono stilate ben tre relazioni. La prima, quella della maggioranza di governo, si conclude con un richiamo ai valori della democrazia ed una stigmatizzazione della violenza. La seconda, quella del PRC, con varie richieste, tra le quali quella di una Commissione di inchiesta. La terza, quella dell'Ulivo, è praticamente identica alla prima.
Viene comunque riproposta la tesi che vede in azione a Genova due entità del tutto distinte: da una parte il movimento, vittima di una cattiva gestione dell'ordine pubblico, e dall'altra i violenti. A questa tesi non si è mai riusciti a rispondere in modo efficace, non tanto per rivendicare la propria distanza dal dissenso autorizzato dalle istituzioni o dagli scontri programmati, ma nemmeno per chiarire che le azioni violente, condivisibili o meno, erano sicuramente altro che delle mere provocazioni poliziesche. E che erano davvero poca cosa, visto l'operato delle forze dell'ordine: i pestaggi in piazza, il massacro alla Scuola Diaz, le torture a Bolzaneto, l'omicidio di Giuliani.
Dopo il luglio 2001, una parte del movimento scesa in piazza a Genova ha proseguito nel suo percorso para-istituzionale sempre più marcato che portò - dopo un anno - alla grande manifestazione "riparatrice" di Firenze, quando in centinaia di migliaia sfilarono perfettamente (o quasi) inquadrati sotto l'ala protettrice dei partiti riformisti e del sindacato. Una dimostrazione di forza, soprattutto rivolta contro il Governo di centro-destra in carica, ma anche il canto del cigno per un movimento che da quel momento "dimenticherà" Genova.

La repressione continua
Nel frattempo erano partite diverse inchieste collegate ai fatti del luglio 2001 (processo ai 25, Bolzaneto, Scuola Diaz, Sud Ribelle), che sono state sempre sottovalutate e che non hanno mai trovato molto spazio nell'agenda degli ultimi anni. L'abbandono al loro destino, salvo poche eccezioni [7], dei compagni vittime della repressione e il continuare pervicacemente a sostenere la tesi dei manifestanti "buoni" e "cattivi", ha portato come logica conseguenza alla sentenza del dicembre 2007.
Sebbene l'onda emotiva, causata soprattutto dalla morte di Carlo Giuliani, fu sicuramente forte e tali furono le mobilitazioni nei mesi successivi, questa forza si andò esaurendo rapidamente. Il tardivo guizzo vitale della manifestazione del 17 novembre 2007 a Genova, sicuramente riuscita dal punto di vista della partecipazione, è stata annullata un mese dopo dalla scarsa risposta collettiva data alla lettura della sentenza.
Mentre qualcuno si dilettava, ancora, nella proposta di una inutile commissione di inchiesta, la magistratura - proprio a partire dal processo ai 25 - ha sempre più spesso utilizzato la comoda imputazione di "devastazione e saccheggio". Come è stato, per esempio fatto nei confronti degli antifascisti di Milano e Torino, e anche questo avrebbe richiesto una mobilitazione che non è stata mai abbastanza forte.
Un errore che sicuramente pagheremo collettivamente.

Pepsy


Note

[1] Il testo della sentenza si può leggere qui http://toscana.indymedia.org/attachments/dec2007/sentenza25_07_12_14.pdf
[2] Per una parziale documentazione dei fatti vedi "Le 4 giornate di Napoli", a cura dell'Infoshop "Senza pazienza", Velleità Alternative, Torino 2001.
[3] Si veda la voce "Informazione" pubblicata nel volume "OGM. Organismi Genovamente Modificati", Edizioni Zero in Condotta, Milano 2002. Una versione più ampia dell'articolo si trova su "rAn" n.16 del 2001.
[4] Si riascoltino le cronache giornalistiche di "Popolare network", disponibili in parte su "Genova / Luglio 2001. Cronache", Radio Popolare 2001. Ma si leggano anche i quotidiani della "sinistra", tra i più ossessionati dai "black bloc" e dagli infiltrati.
[5] Per una critica di questa pubblicazione, vedi "Letture "genovesi". il "Libro Bianco" del GSF" ("Umanità Nova" n. 26 del 21 luglio 2002), disponibile qui http://isole.ecn.org/uenne/archivio/archivio2002/un26/art2285.html
[6] Il Comunicato pubblicato su "Umanità Nova" n. 28 del 5 agosto 2001, si può leggere qui http://isole.ecn.org/uenne/archivio/archivio2001/un28/art1760.html
[7] Pensiamo, per esempio, al lavoro del gruppo di "supporto legale" e di "indymedia". Vedi http://www.supportolegale.org

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