“Oggi sarà il giorno del morto.”
(Renato Farina, alias agente "betulla" giornalista informatore dei servizi segreti, "libero", 20/07/2001)
La recente sentenza [1] di primo grado contro 25
compagni e compagne, processati per i fatti del luglio 2001 a Genova,
è lo spunto dal quale partiamo per ricordare qualche fatto e
proporre qualche brevissima riflessione.
Nonostante non sia ancora disponibile il dispositivo completo è
evidente che la sentenza ha operato una distinzione tra gli imputati, a
seconda se siano stati condannati o meno per "devastazione e
saccheggio". Per cui il medesimo atto (per esempio lanciare una
molotov) può essere punito con pene molto diverse, una
differenza che si misura in anni di reclusione.
Mai come in questo caso si può dire che si è trattato di
una sentenza annunciata, in quanto il giudizio ha sancito una
interpretazione di quanto avvenuto in quelle giornate già
scritta nel 2001 e ribadita poi durante tutti questi anni.
La prova generale
Napoli, 17 marzo 2001, un corteo di almeno 30 mila persone arriva in
Piazza Municipio per protestare contro la riunione del "Global Forum".
Appena un gruppo prova a forzare il blocco della polizia scatta la
trappola: i manifestanti vengono accerchiati, tutte le vie di fuga sono
chiuse, e picchiati indiscriminatamente. I fermati vengono portati in
una caserma della PS dove subiscono un ulteriore trattamento a base di
botte ed umiliazioni [2]. Col senno di poi questo
episodio è stato considerato una sorta di "prova generale",
gestita dal governo di "centro-sinistra", di quello che poi sarebbe
avvenuto a Genova, quando al governo ci sarà invece il
"centro-destra", appena insediato.
Con l'avvicinarsi dell'appuntamento del G8, iniziano a comparire su
tutti i media notizie allarmate ed allarmistiche su quello che sarebbe
potuto accadere in quei giorni: dai preservativi pieni di sangue
infettato dall'AIDS, allo sgombero delle celle dei carceri per far
posto agli arresti, all'obitorio di "almeno 500 metri quadri" per ogni
evenienza [3]. Il centro della città ligure
viene rinchiuso da una serie di inferriate, cancelli e barriere varie,
come se si preparasse ad un vero e proprio assedio.
Un passo indietro
Alle iniziative di Genova, si era arrivati sull'onda lunga della
rivolta di Seattle (novembre 1999) che aveva ridato fiato ad un
movimento internazionale di protesta già in lotta da tempo
contro il capitalismo globale. Un movimento battezzato frettolosamente
dai media come "no-global" (all'inizio "popolo di Seattle"), mentre in
realtà la partecipazione di migliaia di persone alle iniziative
in diverse parti del mondo, stava mettendo in pratica una vera e
propria globalizzazione della protesta. A Seattle, a Praga (settembre
2000), Quebec City e Goteborg (aprile 2001), il movimento era riuscito
a mettere insieme diverse "anime", quelle che da sempre alimentano i
movimenti per il cambiamento sociale, e così accanto ai
riformisti e non violenti, si erano trovati anche quelli che non
rinunciano a priori ad uno scontro con le forze poste a difesa del
profitto e dello sfruttamento.
Ed erano stati proprio questi ultimi a caratterizzare le diverse
proteste, solo un ipocrita non avrebbe l'onestà necessaria per
dire che sono state proprio queste pratiche ad imporre l'attenzione dei
media per le tematiche portate avanti dal movimento, mettendo
contemporaneamente in secondo piano le inutili chiacchiere che si
facevano nei diversi summit.
La rivolta
A Genova si è ripetuto (in grande scala) quanto già
avvenuto in precedenza, quando le proteste contro i padroni della Terra
erano sfociate in scontri violenti con le forze della repressione. A
quasi sette anni di distanza, nessuno ricorda più di cosa hanno
discusso i G8, ma tutti ricordano invece la rivolta di piazza.
Con premesse del genere, la possibilità di "incidenti" era
sicuramente messa nel conto da tutti coloro che andarono a Genova
coscientemente e non semplicemente a rimorchio di qualche gruppo di
anime candide. Quello che invece non era possibile prevedere era la
tattica che avrebbero utilizzato le forze dell'ordine e il numero dei
partecipanti alla protesta. E sono stati questi due fattori che hanno
contribuito far saltare molti piani.
La mobilitazione fu imponente, fin dall'inizio si capì che in
piazza ci sarebbero state decine di migliaia di persone. Tutte
intenzionate, anche se in modo diverso, a violare la "zona rossa": i
non-violenti si organizzarono per manifestare pacificamente il loro
dissenso, i "concertativi" per rappresentare la loro radicalità
tutta mediatica e gli "incontrollabili" per attaccare i simboli del
capitale e dello stato. Da parte sua lo Stato mobilitò quasi 20
mila addetti all'ordine pubblico.
Al termine delle quattro giornate di Genova si contavano almeno 560
feriti e 301 tra arrestati o fermati, un bilancio appesantito
tragicamente dalla morte di Carlo Giuliani. Ancora un volta nel
crogiolo del movimento avevano trovato ospitalità, una accanto
all'altra, pratiche di lotta molto diverse.
Infiltrati!
La lettura che venne data di quegli avvenimenti, quasi immediatamente
ed ossessivamente nei mesi successivi, accentuò la divaricazione
preesistente tra le diverse "anime" del movimento. Il ceto politico
ripeteva che tutte le violenze avevano due colpevoli: le forze
dell'ordine che avevano attaccato i manifestanti pacifici ed i
"black-bloc" che avevano operato la devastazione della città. I
secondi avrebbero avuto dai primi mano libera per agire indisturbati ed
inoltre vi erano stati anche degli elementi delle forze dell'ordine
infiltrati tra le file dei manifestanti più violenti.
Quello degli infiltrati è stato un ritornello che ha
caratterizzato buona parte dell'informazione "alternativa", una accusa
che però non è mai andata oltre la banalità (i
provocatori ci sono sempre stati) o il sospetto non provato [4].
Anche dopo mesi, nel libro bianco del "Genova Social Forum", vennero
riproposte le medesime accuse documentate da "prove" decisamente
risibili [5].
Fin da subito fuori dal coro, il comunicato della Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana:
"Rifiutiamo la campagna di
criminalizzazione del Black Bloc, campagna che vede concordi i media
dal Manifesto al Giornale. Pur critici nei confronti di una strategia
di lotta che, riducendosi a mero confronto di piazza con la polizia,
smarrisce la necessaria tensione alla comunicazione diretta più
ampia, consideriamo inaccettabili le falsità fatte circolare in
questi giorni. Certamente, come comprovato da più parti,
provocatori e poliziotti hanno avuto mano libera a Genova, rendendosi
responsabili di attacchi e distruzioni indiscriminate. Ma le loro
responsabilità non possono essere attribuite al Black Bloc, che,
per sua stessa dichiarazione, si è limitato a colpire banche e
altri simboli del potere. La nostra più profonda alterità
rispetto alla loro strategia non può esimerci dal rispetto per
la verità. Una verità che in questi giorni è stata
più volte calpestata nel tentativo di fabbricare un perfetto
capro espiatorio della violenza poliziesca, questa sì feroce ed
immorale. La distruzione di cose non può essere comparata alla
violenza di chi bombarda popolazioni inermi, di chi decreta la morte
per fame, per malattia, per tortura. Di chi stronca la vita di un
giovane manifestante a colpi di pistola." [6]
La Politica
Nell'agosto 2001 viene avviata una "indagine conoscitiva" parlamentare
sui fatti di Genova, la commissione composta da parlamentari di tutti i
partiti, procede all'ascolto di alcuni dei protagonisti dei fatti. Al
termine vengono stilate ben tre relazioni. La prima, quella della
maggioranza di governo, si conclude con un richiamo ai valori della
democrazia ed una stigmatizzazione della violenza. La seconda, quella
del PRC, con varie richieste, tra le quali quella di una Commissione di
inchiesta. La terza, quella dell'Ulivo, è praticamente identica
alla prima.
Viene comunque riproposta la tesi che vede in azione a Genova due
entità del tutto distinte: da una parte il movimento, vittima di
una cattiva gestione dell'ordine pubblico, e dall'altra i violenti. A
questa tesi non si è mai riusciti a rispondere in modo efficace,
non tanto per rivendicare la propria distanza dal dissenso autorizzato
dalle istituzioni o dagli scontri programmati, ma nemmeno per chiarire
che le azioni violente, condivisibili o meno, erano sicuramente altro
che delle mere provocazioni poliziesche. E che erano davvero poca cosa,
visto l'operato delle forze dell'ordine: i pestaggi in piazza, il
massacro alla Scuola Diaz, le torture a Bolzaneto, l'omicidio di
Giuliani.
Dopo il luglio 2001, una parte del movimento scesa in piazza a Genova
ha proseguito nel suo percorso para-istituzionale sempre più
marcato che portò - dopo un anno - alla grande manifestazione
"riparatrice" di Firenze, quando in centinaia di migliaia sfilarono
perfettamente (o quasi) inquadrati sotto l'ala protettrice dei partiti
riformisti e del sindacato. Una dimostrazione di forza, soprattutto
rivolta contro il Governo di centro-destra in carica, ma anche il canto
del cigno per un movimento che da quel momento "dimenticherà"
Genova.
La repressione continua
Nel frattempo erano partite diverse inchieste collegate ai fatti del
luglio 2001 (processo ai 25, Bolzaneto, Scuola Diaz, Sud Ribelle), che
sono state sempre sottovalutate e che non hanno mai trovato molto
spazio nell'agenda degli ultimi anni. L'abbandono al loro destino,
salvo poche eccezioni [7], dei compagni vittime
della repressione e il continuare pervicacemente a sostenere la tesi
dei manifestanti "buoni" e "cattivi", ha portato come logica
conseguenza alla sentenza del dicembre 2007.
Sebbene l'onda emotiva, causata soprattutto dalla morte di Carlo
Giuliani, fu sicuramente forte e tali furono le mobilitazioni nei mesi
successivi, questa forza si andò esaurendo rapidamente. Il
tardivo guizzo vitale della manifestazione del 17 novembre 2007 a
Genova, sicuramente riuscita dal punto di vista della partecipazione,
è stata annullata un mese dopo dalla scarsa risposta collettiva
data alla lettura della sentenza.
Mentre qualcuno si dilettava, ancora, nella proposta di una inutile
commissione di inchiesta, la magistratura - proprio a partire dal
processo ai 25 - ha sempre più spesso utilizzato la comoda
imputazione di "devastazione e saccheggio". Come è stato, per
esempio fatto nei confronti degli antifascisti di Milano e Torino, e
anche questo avrebbe richiesto una mobilitazione che non è stata
mai abbastanza forte.
Un errore che sicuramente pagheremo collettivamente.
Pepsy
[1] Il testo della sentenza si può leggere qui http://toscana.indymedia.org/attachments/dec2007/sentenza25_07_12_14.pdf
[2] Per una parziale documentazione dei fatti vedi "Le 4 giornate di
Napoli", a cura dell'Infoshop "Senza pazienza", Velleità
Alternative, Torino 2001.
[3] Si veda la voce "Informazione" pubblicata nel volume "OGM.
Organismi Genovamente Modificati", Edizioni Zero in Condotta, Milano
2002. Una versione più ampia dell'articolo si trova su "rAn"
n.16 del 2001.
[4] Si riascoltino le cronache giornalistiche di "Popolare network",
disponibili in parte su "Genova / Luglio 2001. Cronache", Radio
Popolare 2001. Ma si leggano anche i quotidiani della "sinistra", tra i
più ossessionati dai "black bloc" e dagli infiltrati.
[5] Per una critica di questa pubblicazione, vedi "Letture "genovesi".
il "Libro Bianco" del GSF" ("Umanità Nova" n. 26 del 21 luglio
2002), disponibile qui http://isole.ecn.org/uenne/archivio/archivio2002/un26/art2285.html
[6] Il Comunicato pubblicato su "Umanità Nova" n. 28 del 5 agosto 2001, si può leggere qui http://isole.ecn.org/uenne/archivio/archivio2001/un28/art1760.html
[7] Pensiamo, per esempio, al lavoro del gruppo di "supporto legale" e di "indymedia". Vedi http://www.supportolegale.org