Placido La Torre, uomo straordinario, volontà ferrea e
irriducibile, ha affrontato la lunga dolorosa malattia e il morire in
piena coscienza e, senza alcun cedimento, ha vinto la sua ultima grande
battaglia. Con la sua scomparsa ci lascia la profonda eredità
morale di una vita vissuta sempre nella massima coerenza ai suoi ideali
di giustizia sociale e di libertà.
Nato nel 1920 in una Messina ancora fortemente provata dal disastroso
terremoto del 1908, vive una fanciullezza irrequieta e comincia a
frequentare le scuole elementari solo all'età di otto anni.
Intorno al 1936, già studente allo storico Liceo Ginnasio
"Maurolico", riscopre la figura dell'avv. Francesco Lo Sardo, deputato
comunista di formazione anarchica, vittima del fascismo, e conosce
l'avv. Giovanni Millimaggi, comunista dissidente perseguitato dai
fascisti, più volte condannato al confino.
Conseguita la maturità classica, La Torre si iscrive
all'Università nella facoltà di Giurisprudenza e,
scoppiata la guerra é chiamato alle armi. Divenuto ufficiale del
"glorioso" esercito sabaudo, l'otto settembre del '43 lo coglie a
Fossano (Cuneo) da dove fugge per non cadere prigioniero dei tedeschi.
Raggiunta Roma è qui costretto a fermarsi non avendo potuto
passare le linee sul fronte di Cassino. Si da alla macchia, entra nella
resistenza romana e prende parte ad una azione per liberare dei
prigionieri in mano ai fascisti.
Dopo la liberazione di Roma, e un tormentoso viaggio, giunge nella sua
Messina devastata dai bombardamenti a tappeto degli alleati. Riprende
subito gli studi, tra mille difficoltà economiche, e si laurea
nel mese di maggio del '46.
Prende contatti con Gino Cerrito e Zino Mazzone e partecipa alla
ripresa dell'anarchismo a Messina. È tra i protagonisti delle
lotte antimonarchiche durante la campagna referendaria per la scelta
tra monarchia e repubblica, partecipa alla contestazione
dell'intervento del re di maggio Umberto II e ad azioni contro le bande
neofasciste.
Placido si lega a Cerrito col quale collabora strettamente a tutte le
attività in Sicilia e all'interno della FAI, si avvicina alle
realtà politiche e culturali cittadine più aperte al
confronto delle idee, costituisce il Circolo anticlericale "Giordano
Bruno", tiene numerose conferenze e partecipa alle manifestazioni di
piazza più significative. Partecipa a Palermo alla costituzione
della Federazione Anarchica Siciliana e alla fondazione del giornale
anarchico regionale "Terra e Libertà".
Dagli anni '50, grazie alla sua profonda preparazione giuridica e alle
sue notevoli qualità oratorie, si afferma energicamente a
Messina come uno dei migliori e incorruttibili avvocati della
città. Per la posizione politica di antifascista e militante
anarchico, entrerà presto in urto con le baronie locali,
pagandone le conseguenze in prima persona. Da quel periodo si impegna
nelle difese politiche, sempre vittoriose e sempre gratuite. Difende
più volte i compagni siciliani e calabresi, fa parte del
collegio di difesa al processo della strage di Piazza Fontana, nella
prima fase romana, aderisce a Soccorso Rosso. Interviene in difesa dei
giovani del movimento studentesco, degli aderenti a Potere Operaio,
Lotta Continua, Partito Radicale, di socialisti, di comunisti e delle
brigatiste rosse detenute nel carcere di Messina. La sua
attività di propagandista diventa febbrile quando si intensifica
la sua collaborazione a quasi tutte le pubblicazioni anarchiche,
specialmente Umanità Nova, e soprattutto per l'interminabile
numero di conferenze e dibattiti che tiene in tutte le località
italiane dove è richiesto il suo intervento. Raccontava spesso
che persino quando si sposò con Giovanna Sciacco, durante il
viaggio di nozze, tenne una conferenza per ogni località
italiana visitata.
Nel 1952 si adopera con Cerrito e altri per il rilancio dell'anarchismo
in Sicilia, redigendo il bollettino della Federazione Anarchica
Messinese, promuovendo iniziative e convegni, come quello di Siracusa
nel '55, in cui viene fondato il mensile del movimento siciliano
"L'Agitazione del Sud".
Dal 1960, intensifica la sua attività in seno alla FAI per
proporre un rinnovamento dell'anarchismo italiano, che si
concluderà con l'approvazione di un nuovo Patto Associativo al
congresso di Carrara del '65.
Nel 1967 organizza il a Messina il convegno che darà vita alla
nuova Federazione Anarchica Siculo – Calabra. Nel 1974, in
occasione del referendum sul divorzio, assumerà una posizione
critica riguardo all'orientamento astensionista che susciterà
forti polemiche all'interno del movimento. Nel 1982 partecipa con una
conferenza memorabile alle manifestazioni di Ancona per il
cinquantenario della morte di Enrico Malatesta. Nel 1990 si incontra
con i compagni nella Biblioteca di studi sociali "Pietro Gori", che
sosterrà sempre in tutte le più importanti
attività politiche e culturali.
Per diciotto anni gli siamo stati vicini, spronati costantemente allo
studio e all'azione, all'anarchismo umanitario che fino all'ultimo lo
ha contraddistinto, al dubbio come antidoto a tutti i dogmatismi e a
tutte le involuzioni autoritarie, alla libertà quale gioiosa
espansione della personalità di ognuno. Placido ha donato, negli
ultimi anni, alla Biblioteca Gori l'intera sua ricchissima emeroteca
che è per noi vivida testimonianza del lungo percorso di
generazioni di anarchici.
Negli ultimi incontri, pochi giorni prima della morte avvenuta il sei
gennaio scorso, lucidissimo, volgendo il pensiero ai compagni italiani,
nel discutere della raccolta dei suoi scritti a cui lavoriamo, chiede
di dare al libro un titolo che racchiude, in una prospettiva di
continuità, tutto il suo contributo, un titolo che noi
rilanciamo a tutti i compagni: "Verso l'Anarchia".
Carmelo Ferrara
Agli inizi degli anni Sessanta, con Placido La torre ci incontravamo
sporadicamente, per lo più in occasione dei molti convegni o
Congressi che si celebravano su e giù per l'Italia.
Per la verità non avevamo le stesse frequentazioni: Placido
aveva più consuetudine con gli "anziani" della Federazione, i
Mazzucchelli i Mantovani i Marzocchi, con i quali discuteva a lungo
sulle vicende dell'Italia di allora e sullo stato del Movimento
internazionale.
Io avevo frequentazioni diverse, un po' per ragioni anagrafiche –
aveva qualche anno in più di me - ma anche perché io ero
maggiormente attratto dalla "scapigliatura" anarchica, da quelle
aggregazioni giovanili che avevano principiato a formarsi un po'
dovunque e che avrebbero costituito la spina dorsale di quella crescita
impetuosa del movimento anarchico registratasi alla fine degli anni
Sessanta e proseguita per oltre un decennio.
Placido era un uomo sobrio: legato ai suoi studi giuridici, era attento
alle trasformazioni che avvenivano nella società, sollecito a
commisurarle sempre con l'evoluzione, reale o auspicata, del pensiero
libertario, che – diceva sovente – era in grado di dare
risposte adeguate ad ogni mutamento significativo del contesto
politico-sociale. Temeva, come molti di noi, del resto, le derive
"dirigiste" che potevano inquinare la Federazione in un periodo in cui
la crescita esponenziale dei gruppi e delle individualità poteva
ingenerare suggestioni organizzative non perfettamente conformi alla
tradizione anarchica. Interminabili – ad esempio – le
discussioni sulla necessità di un Consiglio Nazionale, che, del
resto, ebbe sempre vita precaria. Era convinto, però, che
bastava rimanere fedeli al Patto Associativo e alle Dichiarazioni di
principio che ne costituivano le premesse, per evitare pericoli di tal
genere.
Per quel che mi riguarda, cominciai a conoscere bene Placido La Torre
alla fine del 1967, quando a Messina, nella sede del Partito
Repubblicano – che allora in Sicilia non aveva ancora abbandonato
la tradizione libertaria che gli derivava dal suo essere parte o
collaterale al movimento di Giustizia e Libertà – nacque
il primo tentativo di creare una Federazione Anarchica Siciliana.
Ricordo che, con Placido, c'erano Alfonso Failla, Marcello Natoli, Gino
Cerrito, Piero Riggio e altri compagni che confluirono da diverse
località dell'Isola. La Federazione non ebbe vita facile e non
sopravvisse a lungo: le vicende nazionali polarizzarono le
preoccupazioni e le attività di molti dei suoi promotori, che
vennero inevitabilmente coinvolti nell'opera di coordinamento di una
FAI in rapida trasformazione e che presto sarebbe stata investita da
una serie di eventi drammatici.
Placido fu molto attivo in quegli anni e costituì il perno di
un'attività di controinformazione e di difesa giuridico-politica
dei compagni colpiti dalla repressione dello Stato, culminata nella
Strage di Piazza Fontana del dicembre del '69 e nelle molte
persecuzioni che ne seguirono.
Ricordo che nelle notti insonni trascorse soprattutto nella sede di
Umanità Nova, in via dei Taurini a Roma, in sede di Comitato
Politico-Giuridico di Difesa, la parola pacata di Placido riconduceva
spesso ad una maggiore razionalità discussioni che minacciavano
di vanificarsi nell'esasperazione di compagni comprensibilmente stanchi
e preoccupati. Si deve alla lucidità di Placido La Torre e alla
pazienza sempre costruttiva e coerente di Aldo e Anna Rossi, che qui,
con Placido, voglio ricordare, se si riuscì a tessere quella
rete di collateralità di magistrati, avvocati, giornalisti e
porzioni notevoli di opinione pubblica che consentì allora di
respingere il disegno autoritario dello Stato italiano. Vennero poi gli
anni del riflusso. Si ritornò all'impegno routinario e Placido
fu vicino ai compagni del Makhno di Palermo quando furono chiamati dai
Congressi della Federazione a gestire la Commissione di Corrispondenza
e poi Umanità Nova.
Il suo stato di salute andava intanto peggiorando.
L'ultima volta che lo sentii fu quando, a metà dello scorso
anno, gli chiesi per telefono se avrebbe aderito ad un possibile
comitato per salvare dal degrado tutti gli atti dei processi sulla
strage di Stato, che giacevano abbandonati negli scantinati della
Procura di Catanzaro. Aderì con quella sua voce sempre chiara e
pacata ma ormai assai flebile.
Credo che con Placido La Torre scompaia una figura di militante
anarchico esemplare, che a molti di noi ha insegnato molto e che per
questo, oltre che per la fraterna disponibilità sempre
dimostrata nella saldezza dei suoi principi libertari, non sarà
dimenticata.
Antonio Cardella