Umanità Nova, n.3 del 27 gennaio 2008, anno 88

I minatori del Porto. Morte a Marghera


"Lei è una schifezza del genere umano"
(Maria Chiara, fidanzata di una delle vittime, al presidente dell'autorità portuale Zacchello. In diretta tv su "Mi manda Rai 3")

La dinamica dell'incidente sul lavoro che, alle prime ore di venerdì 18 gennaio, ha ucciso due operai a Porto Marghera è tragicamente semplice. Sono le 2,40 quando presso il Centro intermodale adriatico, dove è attraccata la "World Trader", una nave battente bandiera panamense, ci sono due squadre di operai impegnate nelle operazioni di svuotamento di quanto è rimasto del carico di 7.500 tonnellate di farina di soia, probabilmente transgenica, proveniente dal sudamerica. Una di queste, formata da due operai - le vittime - e da un gruista deve ripulire il quarto dei sette scomparti della stiva; ma appena il primo operaio, Paolo Ferrara, (dipendente, peraltro esperto, della cooperativa Nuova CLP di Marghera) arriva al carico perde i sensi, soffocato dal monossido di carbonio liberatosi in percentuali micidiali (500 per metro cubo, contro solo un 5 per cento di ossigeno) dalla soia, per di più impregnata da giorni di pioggia. Tenta di soccorrerlo il compagno di squadra Denis Zanon (assunto, tramite agenzia interinale, dalla ditta trevigiana Icco logistica di Dosson di Casier), ma anche lui fa la stessa fine, in pochi istanti.
Un marinaio rumeno dell'equipaggio, dotato di respiratore, cerca di aiutarli, riesce persino a portare in superficie il corpo esanime di uno dei due, poi si sente male. Con se aveva portato anche una bombola d'ossigeno che è risultata scarica.
Da un punto di vista tecnico la causa dell'incidente è da attribuirsi alla mancata osservanza del "Blu Code, Checklist di sicurezza nave/banchina" che al punto 13 prevede che per iniziare a lavorare dentro la nave l'atmosfera nelle stive deve essere monitorata congiuntamente tra bordo e terminal, dopo un'adeguata aerazione, quindi la responsabilità ricade sia sul comando della nave che sull'autorità portuale.
La causa vera è invece stata espressa con lucida rabbia da un lavoratore portuale, durante il picchetto di protesta scattato assieme ad uno sciopero spontaneo subito dopo l'eccidio: "Noi siamo i minatori del porto, entriamo nelle stive e non sappiamo se ci usciremo. Si entra e si deve lavorare in fretta perché tutti hanno fretta, il comandante della nave, il terminalista e le varie imprese portuali nate come funghi dopo la liberalizzazione". Un altro operaio ha aggiunto che "la liberalizzazione delle banchine ha moltiplicato le aziende e riportato la sicurezza in porto al livello in cui era negli anni Cinquanta, cioè pessima".
Un livello in cui si risparmiano persino poche centinaia di euro necessarie per l'acquisto di una sonda per il rilevamento dei gas nocivi; ma si riduce anche il numero dei componenti delle squadre e si ricorre sistematicamente a manodopera occasionale.
Appena quattro giorni prima, un altro infortunio al Centro intermodale adriatico aveva visto un operaio travolto e ferito da un muletto che trasportava una lamiera di 12 metri.
Il tutto per uno salario base che supera di poco i mille euro al mese, incrementato però dagli straordinari e dal lavoro notturno.
La situazione di Denis Zanon, 40 anni, non era però neppure questa: condannato ad una condizione di precarietà fatta di lavori a chiamata attraverso un'agenzia interinale che non si è neppure degnata di fare le condoglianze. Denis, senza genitori e con un fratello invalido civile, aveva fatto un po' di tutto (cuoco, pizzaiolo, muratore). In dicembre aveva lavorato a chiamata sul porto per soli 2 giorni portando a casa appena 150 euro; in gennaio aveva lavorato sei volte.
D'altra parte questo ennesimo assassinio avvenuto a Marghera s'inserisce perfettamente nel contesto veneto dove il 2007 si è chiuso con 100 incidenti mortali: in questi pochi giorni del 2008 si sono già contati una decina i morti sui luoghi di lavoro, di cui uno nel padovano proprio lo stesso giorno della tragedia in porto.
I dati ufficiali sono eloquenti. Se in Italia gli infortuni sono diminuiti dell'1,3 per cento e i lutti sono aumentati del 2,2 per cento, in Veneto va molto peggio: la diminuzione degli infortuni non va oltre lo 0,4 per cento, e le cosiddette morti bianche sono cresciute addirittura del 16,2 per cento passando da 99 nel 2005 a 115 nel 2006.
Di contro, secondo la relazione della Corte dei conti sulla Sanità veneta, il monte costi regionale per servizi di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro è calato dai 28.635.000 euro del 2005 ai 27.812.000 euro nel 2007. Ancora: dal 2004 al 2006 le ispezioni effettuate dagli Spisal veneti sono diminuite del 7 per cento. Addirittura i sopralluoghi nel settore edilizio, uno dei più a rischio, dove si ripetono i casi di impiego di lavoratori irregolari e non mancano sacche cospicue di lavoro nero, sono crollati del 18,5 per cento.
L'identikit del lavoratore più a rischio di incidenti: alle prime armi, giovane, extracomunitario, impiegato nel comparto metalmeccanico.
Tutti elementi utili per comprendere come l'economia veneto continua a "tirare" e ad essere competitiva.
Trascinati dalla mobilitazione spontanea, che ha paralizzato il porto di Marghera fin dall'alba di venerdì su iniziativa dei compagni di lavoro delle ultime due vittime, i sindacati concertativi hanno proclamato per lunedì 28 gennaio uno sciopero di 4 ore per la sicurezza riguardante soltanto i settori dell'industria, del commercio e dei trasporti. Mentre per il giorno dei funerali dei due operai è stato indetto uno sciopero generale di un'ora.
Qualcuno, sommessamente, ha commentato: mezz'ora per morto.

RedVE

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