"Lei è una schifezza del genere umano"
(Maria Chiara, fidanzata di una delle
vittime, al presidente dell'autorità portuale Zacchello. In
diretta tv su "Mi manda Rai 3")
La dinamica dell'incidente sul lavoro che, alle prime ore di
venerdì 18 gennaio, ha ucciso due operai a Porto Marghera
è tragicamente semplice. Sono le 2,40 quando presso il Centro
intermodale adriatico, dove è attraccata la "World Trader", una
nave battente bandiera panamense, ci sono due squadre di operai
impegnate nelle operazioni di svuotamento di quanto è rimasto
del carico di 7.500 tonnellate di farina di soia, probabilmente
transgenica, proveniente dal sudamerica. Una di queste, formata da due
operai - le vittime - e da un gruista deve ripulire il quarto dei sette
scomparti della stiva; ma appena il primo operaio, Paolo Ferrara,
(dipendente, peraltro esperto, della cooperativa Nuova CLP di Marghera)
arriva al carico perde i sensi, soffocato dal monossido di carbonio
liberatosi in percentuali micidiali (500 per metro cubo, contro solo un
5 per cento di ossigeno) dalla soia, per di più impregnata da
giorni di pioggia. Tenta di soccorrerlo il compagno di squadra Denis
Zanon (assunto, tramite agenzia interinale, dalla ditta trevigiana Icco
logistica di Dosson di Casier), ma anche lui fa la stessa fine, in
pochi istanti.
Un marinaio rumeno dell'equipaggio, dotato di respiratore, cerca di
aiutarli, riesce persino a portare in superficie il corpo esanime di
uno dei due, poi si sente male. Con se aveva portato anche una bombola
d'ossigeno che è risultata scarica.
Da un punto di vista tecnico la causa dell'incidente è da
attribuirsi alla mancata osservanza del "Blu Code, Checklist di
sicurezza nave/banchina" che al punto 13 prevede che per iniziare a
lavorare dentro la nave l'atmosfera nelle stive deve essere monitorata
congiuntamente tra bordo e terminal, dopo un'adeguata aerazione, quindi
la responsabilità ricade sia sul comando della nave che
sull'autorità portuale.
La causa vera è invece stata espressa con lucida rabbia da un
lavoratore portuale, durante il picchetto di protesta scattato assieme
ad uno sciopero spontaneo subito dopo l'eccidio: "Noi siamo i minatori
del porto, entriamo nelle stive e non sappiamo se ci usciremo. Si entra
e si deve lavorare in fretta perché tutti hanno fretta, il
comandante della nave, il terminalista e le varie imprese portuali nate
come funghi dopo la liberalizzazione". Un altro operaio ha aggiunto che
"la liberalizzazione delle banchine ha moltiplicato le aziende e
riportato la sicurezza in porto al livello in cui era negli anni
Cinquanta, cioè pessima".
Un livello in cui si risparmiano persino poche centinaia di euro
necessarie per l'acquisto di una sonda per il rilevamento dei gas
nocivi; ma si riduce anche il numero dei componenti delle squadre e si
ricorre sistematicamente a manodopera occasionale.
Appena quattro giorni prima, un altro infortunio al Centro intermodale
adriatico aveva visto un operaio travolto e ferito da un muletto che
trasportava una lamiera di 12 metri.
Il tutto per uno salario base che supera di poco i mille euro al mese,
incrementato però dagli straordinari e dal lavoro notturno.
La situazione di Denis Zanon, 40 anni, non era però neppure
questa: condannato ad una condizione di precarietà fatta di
lavori a chiamata attraverso un'agenzia interinale che non si è
neppure degnata di fare le condoglianze. Denis, senza genitori e con un
fratello invalido civile, aveva fatto un po' di tutto (cuoco,
pizzaiolo, muratore). In dicembre aveva lavorato a chiamata sul porto
per soli 2 giorni portando a casa appena 150 euro; in gennaio aveva
lavorato sei volte.
D'altra parte questo ennesimo assassinio avvenuto a Marghera
s'inserisce perfettamente nel contesto veneto dove il 2007 si è
chiuso con 100 incidenti mortali: in questi pochi giorni del 2008 si
sono già contati una decina i morti sui luoghi di lavoro, di cui
uno nel padovano proprio lo stesso giorno della tragedia in porto.
I dati ufficiali sono eloquenti. Se in Italia gli infortuni sono
diminuiti dell'1,3 per cento e i lutti sono aumentati del 2,2 per
cento, in Veneto va molto peggio: la diminuzione degli infortuni non va
oltre lo 0,4 per cento, e le cosiddette morti bianche sono cresciute
addirittura del 16,2 per cento passando da 99 nel 2005 a 115 nel 2006.
Di contro, secondo la relazione della Corte dei conti sulla
Sanità veneta, il monte costi regionale per servizi di
prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro è calato dai
28.635.000 euro del 2005 ai 27.812.000 euro nel 2007. Ancora: dal 2004
al 2006 le ispezioni effettuate dagli Spisal veneti sono diminuite del
7 per cento. Addirittura i sopralluoghi nel settore edilizio, uno dei
più a rischio, dove si ripetono i casi di impiego di lavoratori
irregolari e non mancano sacche cospicue di lavoro nero, sono crollati
del 18,5 per cento.
L'identikit del lavoratore più a rischio di incidenti: alle
prime armi, giovane, extracomunitario, impiegato nel comparto
metalmeccanico.
Tutti elementi utili per comprendere come l'economia veneto continua a "tirare" e ad essere competitiva.
Trascinati dalla mobilitazione spontanea, che ha paralizzato il porto
di Marghera fin dall'alba di venerdì su iniziativa dei compagni
di lavoro delle ultime due vittime, i sindacati concertativi hanno
proclamato per lunedì 28 gennaio uno sciopero di 4 ore per la
sicurezza riguardante soltanto i settori dell'industria, del commercio
e dei trasporti. Mentre per il giorno dei funerali dei due operai
è stato indetto uno sciopero generale di un'ora.
Qualcuno, sommessamente, ha commentato: mezz'ora per morto.
RedVE