Umanità Nova, n.3 del 27 gennaio 2008, anno 88

Maternità e libertà di scelta. Un attacco quotidiano


Volutamente abbiamo scelto di non parlare subito dell'attacco portato alle donne da papa e politici vari, che le hanno accomunate ai boia, mettendo sullo stesso piano pena di morte e aborto.
Infatti questo pensiero non è legato al momento contingente, ad una decisione, più o meno a lungo termine, di mettere mano alla revisione di una legge, ma è un attacco continuo, talvolta strisciante talvolta conclamato, cui, purtroppo, da parte di molte/molti si oppone un lamento balbettante.
L'attacco alla 194 è solo uno specchio dietro cui si nasconde qualcosa di più insidioso.
Papa e governo sanno bene che ogni essere che viene al mondo deve essere accettato da una donna e non sono in alcun modo in grado di contrastare questo primato, anche se fa paura perché diminuisce il loro potere. Sanno anche che cambiare questa legge sarebbe oltremodo impopolare.
Quello che vogliono è riportare la sfera della maternità e quindi del controllo sul proprio corpo e su se stesse nel privato, togliendo la parola pubblica che su questo le donne hanno affermata.
Meglio allora cercare di intervenire in modo molto più nascosto, ma anche efficace.
Ecco dunque questi attacchi retorici quanto inutili con grandi parole pubbliche, ed attacchi concreti e poco sbandierati, ma molto più efficaci.
Facciamo un esempio che pochi, appunto, conoscono. La situazione concreta della città in cui abito, Milano, è questa. Il numero dei medici obiettori è circa il 60%, i consultori pubblici hanno una carenza cronica di personale, mentre quelli privati prolificano, la regola con il forte sapore di necrofilia che impone la sepoltura dei feti continua a sussistere e non prevede obiezione di coscienza, i centri di aiuto alla vita sono sempre più presenti negli ospedali tentando di colpevolizzare le donne (la regione ha stanziato un finanziamento di 500 mila euro al Centro Aiuto per la Vita, che insieme con i soldi del Comune fanno 700 mila euro).
Oltre tutto ciò il presidente della Regione, Formigoni, ha annunciato l'emanazione a breve di linee guida per l'applicazione della legge 194 in tutti ospedali lombardi.
Gli articoli 6 e 7 della 194 consentono l'aborto terapeutico fino "alla vita autonoma del feto". Un limite quindi non chiaro. In queste nuove linee guida il limite dovrebbe venir fissato a 20 - 21 settimane, abbassando gli standard fino ad ora adottati. Occorre anche dire che ora gli esami per le malformazioni vengono fatti alla ventesima settimana, perciò non ci sarebbe il tempo materiale per intervenire in caso di malformazione.
La seconda novità dovrebbe consistere nel fatto che il colloquio tra la donna e la ginecologa sarà sostituito da uno tra la donna ed una intera equipe medica, mettendo in situazione di sudditanza la donna. Inoltre la decisione finale spetterebbe al primario. La vera novità e che queste linee guida, pur non esistendo ancora, vengono già, in tutto o in parte, applicate in alcuni ospedali milanesi.
Tutto ciò significa che le condizioni in cui le donne vengono trattate si possono modificare a prescindere da una legge.
Ma se questo è vero nel peggio, come accade ora, significa anche che i cambiamenti possono essere imposti con una mobilitazione che travalichi la legge.
Ne deriva che le prese di posizione che si stanno moltiplicando e che mirano a far prendere posizione ad alcuni politici, a stilare petizioni, a cercare "l'errore giuridico" per modificare la situazione sono perdenti.
Quando nel 1975 venne emanata la legge 405 che istituiva i consultori pubblici alcune donne valutarono che ciò sottraeva alle donne una pratica che avveniva nei consultori autogestiti, nei luoghi di incontro e di auto-aiuto e che portava alla conoscenza di sé e alla gestione autonoma dei propri problemi.
In quei luoghi e in quelle pratiche si cercava di sottrarre al confinamento nel privato i problemi che erano pubblici: se le donne rimangono incinte senza desiderarlo non lo hanno certo fatto da sole…
In questi giorni in varie città si sono svolte assemblee di donne. E anche se alcune, purtroppo, hanno scelto la strada del dialogo con le istituzioni, altre si sono invece mosse per riaffermare la autodeterminazione. Questo è sicuramente un buon segno.
Sicuramente il discorso andrà spostato, come molte donne hanno fatto: occorre ricominciare a parlare di famiglia, di rapporti d'amore che diventano di potere o di sottomissione, di violenza sessuale, ma anche di violenza delle istituzioni.
Occorre continuare a gridare che la violenza inizia nella famiglia ed è supportata dallo stato e che vogliamo un altro mondo.
Probabilmente sarebbe anche ora di riprendere in mano la nostra vita, sottraendola alla sacralizzazione della medicina.

r.p.

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