Umanità Nova, n.3 del 27 gennaio 2008, anno 88

Il papa alla Sapienza. Una storia casta di famiglie cattoliche


Il rettore della più grande università d'Europa non è soltanto, come sempre capita in questi casi, il rappresentante di una casta di baroni universitari, ma anche un padre di famiglia scrupoloso e preoccupato.
Tanto preoccupato e scrupoloso da far assumere le due figlie, una come bibliotecaria e l'altra come segretaria presso la stessa università.
Una delle due figlie (la maggiore, Maria Rosaria) ha, successivamente, vinto un concorso come ricercatrice (il primo gradino della carriera universitaria) presso la cattedra di Estimo, sempre nell'università di cui il papà è Rettore. Le malelingue, la Guardia di Finanza e la Procura di Roma insinuano che, visto che il professor Leonardo Di Paola, il docente di Estimo che ha svolto la selezione, è anche il presidente della CPC, la società che si è preso l'appalto da 8,8 milioni di Euro per il parcheggio interrato dell'università, magari ci sia stato qualche accordo tra i due.
Il fatto che l'esame della Guarini si sia tenuto (a differenza di quello di tutti gli altri candidati) nello studio privato del Professor Di Paola, che, casualmente, è anche la sede della CPC, sicuramente non c'entra nulla con i chiari titoli esibiti dalla figlia del cattolicissimo Rettore, a differenza degli altri candidati che hanno tutti presentato una documentazione carente o incompleta, tanto da consentire l'accesso alle prove alla sola candidata poi risultata vincitrice.
Evidentemente le malelingue non considerano che anche il Professor Di Paola è un fervente cattolico, con a cuore i valori della famiglia, tanto da far fare al figlio Marco (che, en passant, è anche amministratore delegato della CPC) il professore a contratto ad Architettura, dove, ma pensa tu le coincidenze, lavora l'altra figlia di Guarini, Paola, che, stancatasi di fare l'impiegata, è riuscita a diventare insegnante di Architettura degli interni.
Siccome la famiglia viene prima di tutto, anche il genero di Guarini, Luigi Stedile, ha trovato lavoro nei ruoli tecnici della Sapienza.
Il quadretto familiare-universitario è completato dal Prorettore vicario Luigi Frati, preside di Medicina, che è riuscito ad avere vicino a sé, durante la dura giornata di lavoro, la moglie e i due figli, tutti professori.
Il 6 ottobre scorso l'inchiesta della Procura su parentopoli ed appalti all'Università di Roma è finita sui giornali. Un paio di settimane dopo, il 23 ottobre il Magnifico Rettore Guarini ha comunicato al Senato accademico che avrebbe fatto inaugurare l'anno accademico 2008 nientepopodimeno che dal Papa in persona!
Non meraviglia che il rappresentante di una piccola casta, quella baronale, abbia chiamato in sua difesa il massimo rappresentante di un'altra casta, molto più potente, quella clericale.
Non meraviglia neanche che il papa si sia schierato a favore di Guarini, visto che sono solo pochi anni che la casta clericale è riuscita, con la necessaria complicità della casta politica, a far finta che non esistesse il divieto costituzionale di finanziamento delle scuole cattoliche e a farsi dare un po' di pecunia anche nel settore dell'istruzione. Alle scuole cattoliche vengono dati 258 milioni di Euro l'anno, oltre a 20 milioni di Euro l'anno per l'università dell'Opus Dei a Roma (Trigoria) e 44 milioni di Euro l'anno per le altre cinque università cattoliche (ovviamente nessuna di queste sante istituzioni tira fuori un euro di ICI). Questo è ancora troppo poco per la casta clericale che punta a tutte le occasioni per aumentare la cifra. È per questo che è riuscita a convincere lo stato italiano a spendere 460 milioni di Euro l'anno per dare lo stipendio a degli insegnanti di religione assolutamente inutili, che oltretutto sono nominati dal vescovo.
Nulla di strano quindi che il papa si sia avventato sulla preda, convinto di riuscire a spillare quattrini anche dall'università pubblica e desideroso di utilizzare un'altra platea per imporre le proprie idee a chi non ne vuole proprio sapere.
Era previsto che la lectio magistralis, che tradizionalmente apre l'anno accademico, fosse sulla pena di morte in ossequio all'ipocrisia dello stato italiano che si batte contro le condanne a morte all'ONU e poi condanna a morte 5 lavoratori al giorno in Italia.
L'ennesima tappa di questa ipocrisia sarebbe stato far parlare il papa sull'argomento, visto che la chiesa cattolica e questo papa stanno conducendo una battaglia per condannare a morte le donne con l'aborto clandestino, un'altra battaglia per condannare a morte 10.000 di persone al giorno (tanti sono i morti quotidiani di AIDS) con la proibizione all'uso dei profilattici e per condannare alla morte e alla sofferenza milioni di malati di malattie degenerative con la proibizione alla ricerca scientifica. Non si capisce a che titolo avrebbe potuto dare lezione il massimo esponente dei portatori di una cultura di morte, che hanno esercitato la pena capitale fino all'ultimo giorno del loro potere temporale.
Certo che ce ne vuole di incoscienza a far tenere una lezione universitaria al Papa: l'ultima volta che l'aveva fatto, a Ratisbona, aveva suscitato l'ira di tutto il mondo islamico per aver, citando un imperatore bizantino, affermato che Maometto ha portato soltanto delle cose cattive e disumane.
Nulla di strano, quindi, che la presenza papale abbia determinato malcontento in molti ambiti del mondo universitario, consapevoli della pervasività della chiesa cattolica, e timorosi di vedersi imporre una visione dogmatica della scienza (che "deve essere subordinata alla fede" secondo questo papa).
Per cercare di limitare le polemiche, il rettore ha allora aggiustato il tiro, evitando di far tenere la lectio magistralis al papa, ma mantenendo invariato l'obiettivo mediatico della presenza papale all'inaugurazione dell'anno accademico.
Con molta dignità un professore, Marcello Cini, ha pubblicato sul "Manifesto", il 14 novembre, una lettera aperta al rettore ricordando che l'insegnamento della teologia, da Cartesio in poi, non appartiene al bagaglio culturale delle università pubbliche degli stati non confessionali e contestando le reiterate posizioni papali sulla subordinazione della scienza alla fede e chiedendosi come avrebbero dovuto reagire gli studenti ed i docenti di biologia di fronte all'attacco più o meno mascherato, alla teoria darwiniana che è alla base, in tutto il mondo, della moderna biologia evolutiva.
Immediatamente dopo (il 23 novembre) 67 professori, perlopiù di fisica e matematica, hanno scritto al Rettore una lettera di sostegno all'iniziativa di Cini, in cui ricordavano una citazione fatta da Ratzinger in un discorso a Parma il 15 marzo 1990 in cui, citando Feyerabend, affermava: "All'epoca di Galileo la Chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo. Il processo contro Galileo fu ragionevole e giusto".
Visto che Feyrabend è un epistemologo che si considera anarchico, una breve digressione è d'obbligo. L'opera da cui Ratzinger ha preso la citazione è Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza. Secondo Feyrabend non devono esistere dogmi di alcun tipo quando si fa ricerca scientifica. L'evoluzione della scienza avviene con la violazione delle regole metodologiche e dei condizionamenti culturali ed ideologici preesistenti alle scoperte. La frase su Galileo, avulsa dal contesto, sembra esaltare la chiesa, ma se Ratzinger l'avesse compresa sul serio e letta per intero, avrebbe dovuto fare mea culpa su tutto quello che va sostenendo da sempre. L'ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (già Sant'Uffizio) combatte contro il relativismo (cioè il rispetto per le culture e le tesi diverse dalla propria) in nome dell'assolutismo cattolico. Feyrabend è contrario a qualsiasi tipo di dogma e conformismo. La contestazione a Galileo si basa sul fatto che neanche Galileo si attenne al proprio metodo scientifico quando affermò l'eliocentrismo.
Insomma, nella sua ansia di attaccare Galileo, Ratzinger ha dimostrato scarsa capacità anche come professore, che si suppone dovrebbe controllare il senso di quello che cita.
Tutta questa vicenda è passata, a novembre e dicembre scorsi nel silenzio quasi generale della stampa e della televisione, preoccupate di incrinare quel coro unanime di consenso che accompagna qualsiasi uscita papale.
La storia è, improvvisamente, esplosa sui giornali ai primi di gennaio quando, dopo un paio di riunioni dei collettivi universitari, degli anticlericali e degli spiriti liberi si è deciso di dare vita ad una contestazione gioiosa dell'ennesimo atto di invadenza papale convocando un pacifico sit-in davanti al rettorato nel giorno previsto per l'inaugurazione dell'anno accademico.
A nulla è servito il tentativo del rettore di provare a criminalizzare il tutto, vietando un corteo all'interno dell'Università e cercando di blindare la presenza in piazza. Non sono servite neanche le minacce nei confronti dei professori: dagli insulti di Cacciari alle minacce di licenziamento del solito Gasparri, in questo dimostratosi coerente con la visione che il papa e la chiesa cattolica hanno della libertà
La determinazione degli studenti (che avevano anche occupato il Rettorato) e dei professori facevano configurare un'inaugurazione dell'anno accademico con una cerimonia ufficiale al Rettorato, con il papa che arringava i presenti e salvava dalla sfiducia del Senato accademico un Rettore travolto dagli scandali, alcuni professori in un aula di Fisica a rivendicare il proprio ruolo di scienziati liberi dai dogmi clericali e qualche migliaio di persone a manifestare dentro la città universitaria in maniera divertita ed irridente contro le posizioni della chiesa in tema di scienza, soldi e morale.
Il papa ha deciso, a quel punto, di non intervenire all'inaugurazione dell'anno accademico.
Il motivo per cui non è venuto è evidente a tutti: non ci sarebbe stata una folla osannante dentro e fuori l'Università ad accoglierlo.
La scelta è tutta legata alla politica italiana. Quando questo papa andò in Turchia ci furono contestazioni, annunciate, ad accoglierlo senza che questo comportasse alcun cambio di programma nella visita papale. Il problema è che in Italia, su tutti i mezzi di comunicazione vige la "lesa maestà": non è possibile esprimere posizioni diverse da quelle della chiesa cattolica e che non siano di ossequio al papa. Dare conto di qualche contestazione avrebbe incrinato il disegno egemonico della chiesa cattolica che cerca di contrastare il suo declino imponendo con la legge, in quei paesi dove riesce a farlo come l'Italia, il rispetto delle proprie, antistoriche, regole morali.
In Italia la casta politica si appiattisce sulla casta clericale ed, in generale, tutte le caste di titolari di qualche privilegio si sostengono a vicenda consapevoli che il crollo di uno di loro può comportare la rovinosa caduta di tutti.
Solo così si spiegano le parossistiche reazioni di stampa e politici, che tra l'insulto e la minaccia hanno fatto affermazioni talmente apocalittiche da apparire ridicole.
Tra le tante cavolate dette rileviamo quella secondo la quale all'estero erano sconcertati per quanto succedeva al "santo padre". In realtà, all'estero, quello che è successo al Papa è comparso, al massimo, in una breve di cronaca e solo nei paesi cattolici. All'estero, da settimane, si parla dell'immondizia di Napoli, ma questo argomento non interessa né i politici, né la chiesa. 

Fricche

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