Umanità Nova, n.3 del 27 gennaio 2008, anno 88

Contratto dei metalmeccanici. Fine dell'"anomalia" Fiom


"L'accordo raggiunto per il rinnovo del Contratto dei metalmeccanici presenta aspetti importanti e significativi, pur in presenza di elementi di sofferenza. Credo che, a questo punto, fosse l'unico accordo possibile. Ciò che è più importante, e che va nettamente sottolineato, è che abbiamo evitato che venisse realizzato il tentativo degli industriali di far saltare il Contratto. Il nostro giudizio su questo difficile accordo è dunque positivo. La parola passa adesso ai lavoratori che saranno chiamati a esprimersi nel referendum unitario, la cui data sarà fissata in settimana dall'Assemblea dei Cinquecento."
Gianni Rinaldini, segretario generale della FIOM CGIL

Dopo oltre nove mesi dalla scadenza del contratto ed oltre 50 ore di sciopero, FIM-FIOM ed UILM, come di consuetudine dopo una trattativa ad oltranza utile a dare la percezione della natura eroica del sindacalismo, hanno chiuso il contratto dei metalmeccanici che resta, nonostante gli apologeti del postindustriale il più importante contratto non solo del settore privato.
Partiamo dai risultati di cotanto sforzo.
I giornali parlano di un aumento di 127 euro al mese. Non è, a rigore, un cifra enorme considerando la perdita del potere d'acquisto del salario negli ultimi anni e il fatto che si tratta di un aumento lordo. Il problema sta nel fatto che questa cifra non corrisponde alla realtà.
I 127 euro, infatti, sono riservati ai lavoratori di quinto livello mentre la figura più numerosa è l'operaio di terzo livello che avrà 109 euro sempre ovviamente, lordi e a regime.
Gli aumenti sono a regime, in altri termini meno della metà sarà corrisposto a gennaio 2008 e circa un quarto rispettivamente a gennaio ed a settembre 2009.
Ma non basta, il padronato copre i nove mesi di vacanza contrattuale, anche questa una definizione graziosa che rimanda alle ferie, del 2007 solo con un una tantum di 267 euro, questa volta eguali per tutti, e, soprattutto, ottiene un prolungamento della validità del contratto da 24 a 30 mesi con l'effetto che, se calcoliamo gli aumenti, appunto, sui 24 mesi, scopriamo che anche ai quinti livelli vengono erogati meno di 110 euro.
Se consideriamo la durezza della vertenza, un risultato decisamente modesto.
In cambio di aumenti retributivi che si corrispondono a quanto in altri tempi avrebbe garantito automaticamente la scala mobile Federmeccanica porta a casa un incremento dello straordinario, per usare il casto linguaggio della FIOM, esente da contrattazione di 8 ore all'anno.
Per quanto riguarda il riassorbimento del precariato, i sindacati concertativi hanno ottenuto un tetto di 44 mesi all'utilizzo dello stesso precario con la stessa mansione e nella stessa azienda, in pratica le aziende hanno a disposizione un periodo di prova di quasi quattro anni.
Vi sono, per la verità, alcune migliorie marginali, quelle che in gergo sindacale sono indicate con il termine "manutenzione" riguardo alla sicurezza sul lavoro (dopo il macello della Tyssenkrupp una concessione quasi scontata) e la tendenziale parificazione normativa fra operai ed impiegati ma la sostanza è chiara, uno scambio fra dilatazione degli straordinari e aumenti assai contenuti.
È, a questo punto, interessante notare che il buon Luca Cordero di Montezemolo riesce ad essere scontento visto che, a suo avviso "È un fatto positivo che si sia chiuso il contratto con i metalmeccanici ma il sistema delle trattative è ancora arcaico. Sulla produttività e sulla competitività siamo molto indietro."
A cosa si riferisce il nostro eroe? Con ogni evidenza, all'obiettivo di ridurre ancora più seccamente il ruolo del contratto nazionale per valorizzare quello aziendale che, in una fase di debolezza del movimento dei lavoratori, permetterebbe un'ancora più accentuata divisione fra i lavoratori e l'imposizione di un legame più forte fra salario e carichi di lavoro.
Lasciamo, per ora, da parte le prospettive di azione del padronato sul medio periodo e teniamoci all'oggi.
È chiaro che da questo contratto esce con le ossa rotte, oltre ai lavoratori, la mitica FIOM. Si può, infatti, a mio avviso parlare della fine dell'anomalia FIOM, di quell'anomalia che aveva fatto parlare di una sorta di quarta confederazione accanto a CGIL-CISL-UIL.
Quando Giorgio Cremaschi, leader della sinistra FIOM e CGIL, afferma "Sono molto insoddisfatto per il risultato sul salario. È ciò che volevano le imprese." ha, questo va da sé, perfettamente ragione.
È, però, un fatto che il Comitato Centrale della FIOM ha accettato l'accordo con 103 si, 12 no e 5 astenuti. Stiamo parlando della mitica FIOM che seduce tanti compagni anche nostri e non dell'algida FIM o della volpina UILM.
Cosa è successo per portare un'organizzazione che pochi mesi addietro si era spesa per il NO nel corso del referendum sull'accordo sul welfare a parlare, per bocca del suo segretario generale di "aspetti importanti e significativi, pur in presenza di elementi di sofferenza"?
È assolutamente evidente che, dentro la CGIL, si è lavorato con forza e determinazione a riportare a ragione i birboncelli della FIOM e, soprattutto, che l'operazione è riuscita bene.
Proprio nella vicenda del referendum sul welfare, a rigore, possiamo trovare i semi dell'attuale "torna a casa Lessie" di Rinaldini e dei suoi.
La FIOM, infatti, aveva tentato di forzare su di un terreno politico generale avendo come sponda, appunto, politica la sinistra dell'Unione e si era rotta le ossa in questa vicenda proprio perché, nel mentre denunciava il fatto che il referendum era truccato, ne accettava la dinamica e, soprattutto, le conseguenze.
Chi non ricorda, fra l'altro, la manifestazione del 20 ottobre 2007 che aveva visto decine di migliaia di lavoratori e di militanti chiedere all'Unione di "applicare il proprio programma", riempire treni, pullman, traghetti e trattorie di Trastevere senza combinare nulla tranne che garantire consenso a PdCI e PRC?
Chi non ricorda l'assenza del "fronte del NO", che pure aveva promesso sfracelli nelle assemblee che hanno preparato il referendum, allo sciopero del sindacalismo di base del 9 novembre?
Una battaglia tutta politica, troppo esclusivamente politica non aveva determinato radicamento sociale, capacità di iniziativa, autonomia rispetto all'apparato di CGIL-CISL-UIL.
Ed è chiaro che quando Paolo Ferrero, ministro del Welfare ed esponente della sinistra bertinottiana, afferma "È necessario rafforzare questo risultato con la firma degli altri contratti aperti" il segnale che la ricreazione è finita è arrivato. Se, infatti, questo è un risultato da "rafforzare" siamo proprio ben conciati.
Dalla sinistra di governo arriva una richiesta precisa "Lasciateci lavorare!" e non è necessaria un'eccessiva riflessione per comprendere come il radicalizzarsi del conflitto sociale e sindacale sia un problema per chi ha scelto di percorrere la triste strada della governabilità soprattutto nel momento in cui, per scelta del baldo padre padrone dell'Udeur, il mitico Clemente Mastella, il governo sembra, dopo mille salti e capriole, essere giunto al capolinea.
È chiaro, infatti, che i gruppi dirigenti della sinistra parlamentare, a maggior ragione in una fase che è presumibilmente pre elettorale, ritengono che un buon risultato elettorale è favorito da una relativa pace sociale che rida spazio e rilevanza alla questione della rappresentanza.
Come sempre, d'altro canto, la sinistra sindacale istituzionale risponde ai segnali che riceve da quella parlamentare. Non c'è né da stupirsi né da scandalizzarsi.

A questo punto, ma non è nemmeno questa una novità, la partita si giocherà nelle aziende e non sarà, credo, una partita facile. Abbiamo di fronte un padronato duro ed attrezzato a reggere lo scontro, il segmento dell'apparato sindacale più robusto e radicato, un quadro sociale non semplice.
Dovremo affrontarla partecipando alle assemblee, diffondendo un punto di vista critico e, soprattutto, sviluppando iniziative di lotta indipendente dal quadro istituzionale.

Cosimo Scarinzi

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