Umanità Nova, n.3 del 27 gennaio 2008, anno 88

Il fascino discreto della democratura. Il gulag buono


Parlavamo, poco tempo fa, di reazione. Di come, in settori sempre più ampi della società, della cultura e della politica, rispunti un irrefrenabile bisogno di regressione, un impulso a ricercare serenità e certezze per una vita quotidiana sempre più "aggredita" da dinamiche e mutamenti sociali "incomprensibili". Serenità e certezze perdute, che solo il ricorso a un autoritarismo a trecentosessanta gradi, può far tornare ad essere quelle dei bei tempi. E così, un poco alla volta ma con preoccupante puntualità, la regressione si trasforma in repressione. Gli esempi, purtroppo, non mancano. E sempre più spesso si presentano anche là dove, fino a poco tempo fa, si usava recitare la commedia della buona coscienza, critica e liberaldemocratica. Oggi, in attesa di diventare tragedia, tale commedia talvolta viene a trasformarsi in farsa.
Nel pezzo sulla «Stampa», intitolato "Il Gulag buono", Massimo Gramellini scrive:
Il Sessantotto è finito. Almeno in Germania, dove i servizi sociali hanno condannato un adolescente intrattabile a trascorrere nove mesi in un campo di rieducazione. Nessun lager. Semmai un gulag, visto che il piccolo bullo è finito in trasferta a Sedelnikovo, caratteristico villaggio siberiano a 55 gradi sotto zero e senza acqua calda, dove potrà sfogare i suoi bollenti spiriti spaccando la legna necessaria a non morire congelato.
Prosegue poi, affermando che tutto questo è a fin di bene, essendo l'unico modo che possa dimostrarsi efficace nel recupero del condannato, anche se non mancherà qualche anima bella che taccerà di fascista, ahinoi! tale provvedimento.
Mi pare che tutto questo meriti alcuni modesti commenti.
Tralasciando quel "Il Sessantotto è finito", affermazione davvero coraggiosa e anticonformista!, e il fatto che non si capisca bene la differenza fra lager e gulag (che si tratti solo di un dato geografico?), colpisce la rivendicazione, addirittura l'esaltazione del termine gulag, l'aperta approvazione, insomma, della utilità del campo di rieducazione. Se provenisse, infatti, da qualche dichiarato nostalgico di altri bei tempi, quelli staliniani o quelli hitleriani, ad esempio, sarebbe tutto normale e nell'ordine delle cose, ma ritrovarla nella penna di un sincero democratico antifascista e anticomunista etc. etc. etc., quale sicuramente Gramellini è stato, è e sarà, fa pensare male.
Fa pensare, ad esempio, che quando Gramellini e altri come lui stigmatizzano la disumanità dei campi di lavoro per i dissidenti russi, affermando, giustamente, che tali strumenti di tortura e di sopraffazione rappresentavano un'intollerabile offesa alla integrità e alla libertà dell'individuo, queste denunce e affermazioni siano un po' strumentali. E anche un po' equivoche. Altrimenti perché allora no e oggi si?
Forse perché il regime che riedita nuovi gulag è pienamente democratico a differenza di quelli nazista e stalinista? O perché il dissidente o l'elemento "asociale" che "meritava" il gulag  staliniano aveva maggiore dignità e maggiore diritto al rispetto che non l'intrattabile adolescente di oggi? Eh no, caro mio, se è sbagliato è sbagliato, e se era sbagliato allora è sbagliato oggi. Ma se invece è giusto, allora era giusto anche in quei tempi drammatici. Perché, a ben guardare, la differenza sta solo nella quantità (almeno per ora, ma se la tendenza dei paesi democratici è questa…), e non nella qualità. E nemmeno nel principio!
Tanto più che quel giovanotto sfigato destinato a spaccare legna nella nuova Kolyma pare non sia nemmeno un delinquente abituale ma semplicemente un giovane intrattabile, probabilmente niente più che uno stupido bulletto, prepotente e con poca voglia di lavorare. Insomma, un elemento asociale al cento per cento, come erano elementi asociali gli ubriaconi, i lavativi, i papponi, i malandrini, i ribelli, gli irrecuperabili, i sovversivi, gli omosessuali, i dissidenti che finivano le loro tristi giornate nei campi siberiani. Che se poi tornavano indietro, perché diventati elementi "sociali", forse è meglio non pensarci…
Quanto poi, alla contromossa preventiva del nostro, che mette le mani avanti perché non si dia del fascista né al giudice tedesco che ha preso il provvedimento né a lui che lo approva, non si preoccupi. Almeno da parte nostra, l'accusa di fascista non gli arriverà. Perché questo non è fascismo, o stalinismo o nazismo, ma, molto più semplicemente, stupido e inutile autoritarismo. Una esibizione di potere, gratuita e sproporzionata nella sua crudeltà. Però mascherata sotto la facciata delle buone intenzioni.
Niente di nuovo, mi sembra. Semplicemente un esemplare gesto reazionario.

Massimo Ortalli

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