Parlavamo, poco tempo fa, di reazione. Di come, in settori sempre
più ampi della società, della cultura e della politica,
rispunti un irrefrenabile bisogno di regressione, un impulso a
ricercare serenità e certezze per una vita quotidiana sempre
più "aggredita" da dinamiche e mutamenti sociali
"incomprensibili". Serenità e certezze perdute, che solo il
ricorso a un autoritarismo a trecentosessanta gradi, può far
tornare ad essere quelle dei bei tempi. E così, un poco alla
volta ma con preoccupante puntualità, la regressione si
trasforma in repressione. Gli esempi, purtroppo, non mancano. E sempre
più spesso si presentano anche là dove, fino a poco tempo
fa, si usava recitare la commedia della buona coscienza, critica e
liberaldemocratica. Oggi, in attesa di diventare tragedia, tale
commedia talvolta viene a trasformarsi in farsa.
Nel pezzo sulla «Stampa», intitolato "Il Gulag buono", Massimo Gramellini scrive:
Il Sessantotto è finito. Almeno in Germania, dove i servizi
sociali hanno condannato un adolescente intrattabile a trascorrere nove
mesi in un campo di rieducazione. Nessun lager. Semmai un gulag, visto
che il piccolo bullo è finito in trasferta a Sedelnikovo,
caratteristico villaggio siberiano a 55 gradi sotto zero e senza acqua
calda, dove potrà sfogare i suoi bollenti spiriti spaccando la
legna necessaria a non morire congelato.
Prosegue poi, affermando che tutto questo è a fin di bene,
essendo l'unico modo che possa dimostrarsi efficace nel recupero del
condannato, anche se non mancherà qualche anima bella che
taccerà di fascista, ahinoi! tale provvedimento.
Mi pare che tutto questo meriti alcuni modesti commenti.
Tralasciando quel "Il Sessantotto è finito", affermazione
davvero coraggiosa e anticonformista!, e il fatto che non si capisca
bene la differenza fra lager e gulag (che si tratti solo di un dato
geografico?), colpisce la rivendicazione, addirittura l'esaltazione del
termine gulag, l'aperta approvazione, insomma, della utilità del
campo di rieducazione. Se provenisse, infatti, da qualche dichiarato
nostalgico di altri bei tempi, quelli staliniani o quelli hitleriani,
ad esempio, sarebbe tutto normale e nell'ordine delle cose, ma
ritrovarla nella penna di un sincero democratico antifascista e
anticomunista etc. etc. etc., quale sicuramente Gramellini è
stato, è e sarà, fa pensare male.
Fa pensare, ad esempio, che quando Gramellini e altri come lui
stigmatizzano la disumanità dei campi di lavoro per i dissidenti
russi, affermando, giustamente, che tali strumenti di tortura e di
sopraffazione rappresentavano un'intollerabile offesa alla
integrità e alla libertà dell'individuo, queste denunce e
affermazioni siano un po' strumentali. E anche un po' equivoche.
Altrimenti perché allora no e oggi si?
Forse perché il regime che riedita nuovi gulag è
pienamente democratico a differenza di quelli nazista e stalinista? O
perché il dissidente o l'elemento "asociale" che "meritava" il
gulag staliniano aveva maggiore dignità e maggiore diritto
al rispetto che non l'intrattabile adolescente di oggi? Eh no, caro
mio, se è sbagliato è sbagliato, e se era sbagliato
allora è sbagliato oggi. Ma se invece è giusto, allora
era giusto anche in quei tempi drammatici. Perché, a ben
guardare, la differenza sta solo nella quantità (almeno per ora,
ma se la tendenza dei paesi democratici è questa…), e non nella
qualità. E nemmeno nel principio!
Tanto più che quel giovanotto sfigato destinato a spaccare legna
nella nuova Kolyma pare non sia nemmeno un delinquente abituale ma
semplicemente un giovane intrattabile, probabilmente niente più
che uno stupido bulletto, prepotente e con poca voglia di lavorare.
Insomma, un elemento asociale al cento per cento, come erano elementi
asociali gli ubriaconi, i lavativi, i papponi, i malandrini, i ribelli,
gli irrecuperabili, i sovversivi, gli omosessuali, i dissidenti che
finivano le loro tristi giornate nei campi siberiani. Che se poi
tornavano indietro, perché diventati elementi "sociali", forse
è meglio non pensarci…
Quanto poi, alla contromossa preventiva del nostro, che mette le mani
avanti perché non si dia del fascista né al giudice
tedesco che ha preso il provvedimento né a lui che lo approva,
non si preoccupi. Almeno da parte nostra, l'accusa di fascista non gli
arriverà. Perché questo non è fascismo, o
stalinismo o nazismo, ma, molto più semplicemente, stupido e
inutile autoritarismo. Una esibizione di potere, gratuita e
sproporzionata nella sua crudeltà. Però mascherata sotto
la facciata delle buone intenzioni.
Niente di nuovo, mi sembra. Semplicemente un esemplare gesto reazionario.
Massimo Ortalli