La fine del governo Prodi è solo un tassello di una situazione
politico sociale che avanza a grandi passi verso una decisa svolta a
destra del paese. Svolta a destra non solo nel senso che è
altamente probabile che in caso di immediate elezioni Berlusconi torni
al governo; quanto nel senso che arriva alla curva finale un percorso
politico istituzionale e sociale di cui sono state protagoniste sia la
"sinistra" che la "destra". Se non ci saranno elezioni anticipate,
vorrà dire che si sarà trovato un accordo trasversale sul
cambio di legge elettorale, ma con Berlusconi sempre a dettare tempi e
regole: all'ultimo momento potrebbe saltar fuori un governo
istituzionale varato solo per approvare la legge elettorale, governo
per sostenere il quale Pd e Forza Italia si spalleggiano per far fuori
gli alleati minori ed evitare il referendum (che comunque porterebbe ad
un premio di maggioranza che nemmeno la legge elettorale fascista
prevedeva). Ma tutto ciò sta accadendo perché le vene del
paese sono state arate e vi si sono lasciati attecchire ed allignare i
peggiori istinti nazionali. Il sistema democratico italiano ha
dimostrato tutta la sua fragilità nel non impedire la
resistibile ascesa di Berlusconi e nel non metterlo in condizione di
non nuocere durante il primo governo Prodi. Craxismo e picconate di
Cossiga avevano già lavorato; poi la caduta del Muro; il
berlusconismo; la guerra infinita. Sotto questi colpi, il modello di
società e di stato che la Costituzione del 1948, oggi
sessantenne, aveva delineato, è stato travolto. Giorno dopo
giorno è tornata in primo piano l'Italia "menefreghista" e
clericale, un po' fascista e molto qualunquista: un'Italia rancorosa e
pusillanime che se la piglia con i più deboli e marginali.
Disattivato ogni meccanismo di difesa che conflitto sociale e
laicità avevano inoculato nel corpaccione del paese a partire
dal secondo dopoguerra e sopratutto dalla fine degli anni '60, il paese
ricorda molto quell'Italia della peggiore Democrazia Cristiana,
clericale, fascisteggiante, ladrona e affarista, dal manganello facile.
Non abbiamo una società "buona" ed una politica o istituzioni
"cattive": piuttosto, uno specchiarsi vicendevole ed un'autonomizzarsi
della sfera politica che si autoriproduce. Del resto, il governo appena
caduto aveva vinto le elezioni di strettissima misura e non ha fatto
altro che assecondare le spinte più centriste al suo interno per
non evitare di cadere da destra: come è puntualmente successo. I
partiti della "sinistra radicale" hanno condiviso tutto, dalla guerra
in Afganistan ai cpt al protocollo sul welfare al TAV alla nuova base
americana al Dal Molin, indifferenti anche alla loro base sociale ed
elettorale, solo con la bussola puntata sul mantenere in vita il
governo Prodi. Non è chi non veda che questo paese sfrangiato e
impoverito (in buona parte) è pronto a consegnarsi ad una destra
che non ha mai dismesso la sua ideologia, anzi ne mena pubblico vanto,
spalleggiata da una chiesa cattolica "da combattimento" in marcia per
la crociata: alla faccia del tramonto delle ideologie e dei partiti
"leggeri" di stampo "americano", qui contano le parrocchie, i circoli
dei pensionati, la penuria di lavoro e la conseguente
ricattabilità, le televisioni commerciali che bombardano 24h su
24. Occorre attrezzarsi. Negli ultimi due anni la situazione repressiva
nel paese si è fatta pesantissima, con i processi per
"devastazione e saccheggio" a Milano, Genova e Torino; con le tante
inchieste ed il processo di Cosenza per associazione sovversiva; con le
montature continue contro i gruppi più radicali del movimento.
Non potrà che peggiorare. Però NO TAV, NO Dal Molin, i
movimenti contro la devastazione ambientale, sono realtà
popolari condivise, ampie, radicate. Colpirle per il potere non
sarà facile. Qui si gioca la partita futura
dell'agibilità del conflitto sociale, del suo ulteriore
radicamento, del suo sviluppo.
W.B.