Mentre stendevo queste note mi è giunta un'e mail di un compagno che segnalava una nota ANSA) del 31 gennaio
"A ottobre 2007 il numero di ore non lavorate per conflitti di lavoro
è salito a 1 milione 890mila, il più alto dal 2000. Lo
comunica l'Istat precisando che dal 2000 ad oggi non c'è un
valore mensile di ore non lavorate per sciopero più alto di
quello registrato a ottobre scorso. Nel periodo gennaio-ottobre 2007 il
numero di ore non lavorate per sciopero è stato pari circa a 3,5
milioni."
Se si tiene conto del fatto che erano, e sono, in corso diverse ed
importanti vertenze è evidente che è un dato importante
ma non straordinario. È, comunque, un dato che fa riflettere a
fronte della passiva indifferenza con la quale la gran parte del buon
popolo, in particolare il buon popolo di sinistra, guarda alla crisi di
governo. Una crisi che appare assai meno importante di una serie di
recenti vicende.
Qualche giorno fa un editoriale del Corsera - la voce in questi due
anni dei veri azionisti di maggioranza del governo – iniziava
così:
"Sepolte sotto una montagna di rifiuti giacciono le spoglie della seconda repubblica".
La preoccupazione era chiaramente per il problema della
governabilità in generale. E non certo perché il governo
Prodi abbia fatto poco per banche e imprese se è vero che su
questo versante ha elargito molto di più che non Berlusconi,
come pietosamente ha lamentato ogni tanto qualche suo rappresentante di
"sinistra".
E allora? Allora basta guardare al numero di morti sul lavoro ogni
giorno e alla mancanza di proposte serie per uscire da questa
situazione, alla precarietà crescente ed a contratti che – come
quello dei metalmeccanici – la ratificano, all'emergenza salari
divenuta tema mediatico sul quale si esercitano i cantori del taglio
delle tasse sugli straordinari, insomma a tutti quei problemi che il
governo non solo non può dire di avere minimamente risolti ma
neppure saprebbe come affrontare.
Non ha risposte: questo il messaggio decisivo, e questa la sua sentenza.
E in effetti oggi, diversamente da quanto avvenne nel '98, nessuno, se
si esclude la nomenclatura del centro sinistra, si straccia le vesti
per la caduta del governo.
La vergogna dell'affaire monnezza, la spudoratezza della banda di
Ceppaloni e l'applauso in parlamento all'ineffabile Mastella rendono
plasticamente visibile il fatto che il centro-sinistra ha perso ogni
appoggio sociale, e si è rivelato al di sotto delle pur non alte
aspettative di chi lo aveva votato ed ha trascinato nel suo destino
quella sinistra dell'Unione che ieri si affannava nelle piazze a
sostenere Prodi ed oggi, obbligata dalla legge elettorale, il
porcellum, si appresta a presentarsi alle elezioni come cartello
unitario, la Cosa Rossa.
Siamo, insomma, di fronte ad una profonda crisi di legittimazione che
investe tutto il sistema politico istituzionale, dalla sinistra ad una
destra che punta a capitalizzare più in fretta possibile lo
sfascio della sinistra senza avere alcuna credibilità visto che
persino il più scemo dei berlusconiani stenta oggi a credere che
il "suo" governo potrà garantire ricchi doni e cotillon.
Una crisi che il sistema di potere ha cercato in questi mesi di liquidare come ondata di "antipolitica populista".
Ed effettivamente correnti populiste animano la scena politica ma sono
un effetto e non la causa del vero problema e cioè della crisi
economica innescata dallo scoppio della bolla dei subprime, del degrado
e dell'impotenza della politica "non populista", della fine di ogni
credibile riformismo.
Un sistema politico in piena crisi di rappresentanza per
l'incapacità/impossibilità di dare risposta alle domande
che vengono dalla società, corrotto quanto e più della
classe politica della prima repubblica in tutte le sue componenti,
depotenziato di fronte alla dislocazione altrove – negli apparati
tecnoburocratici planetari - dei centri reali di decisione e controllo,
cerca di salvarsi assumendosi un ruolo di "amministrazione locale"
coltivando dimensioni corporative, neoliberiste e securitarie, con un
tono clericale-familistico di sottofondo in una nobile gara fra destra
e sinistra.
A mio avviso la sorda rabbia che caratterizza la parte maggiore della
popolazione molto difficilmente potrebbe sfociare in una nuova
tangentopoli che dovrebbe fungere, come la vecchia tangentopoli, da
valvola di sfogo dell'insoddisfazione del popolo basso convergente con
la ripulitura delle stalle maleodoranti della politica da parte dei
poteri forti.
Il fatto è, infatti, nel mondo politico si è logorata
ogni pur minima credenziale di "diversità morale" di cui anni
addietro ancora godeva la sinistra postcomunista e i soggetti populisti
già entrati nel gioco politico come la Lega Nord hanno dato
sufficiente prova del proprio grado di corruzione mentre, ed è
il fattore decisivo, nessuno più crede realmente alla
possibilità di moralizzazione della sfera statale.
Siamo, con ogni probabilità, di fronte alla fine delle ragioni
d'essere della sinistra politica tradizionale, anche se le sue forme
istituzionali svuotate di progettualità e di radicamento le
sopravviveranno. Questo mentre le (ancora poche) energie sociali e
politiche reali che si manifestano si collocano tutte al di fuori e,
non di rado, contro la sfera politica istituzionale.
Cosimo Scarinzi