Nella scuola in cui lavoro, la Provincia ha recentemente finanziato la
sostituzione degli infissi. L'operazione ha riguardato però solo
un'ala dell'edificio, quella esposta a sud. Il classico lavoro
incompiuto che ora rende difficile la regolazione dell'impianto di
riscaldamento visto che, nelle giornate soleggiate, da una parte si
scoppia di caldo mentre dall'altra, l'ala nord dove gli spifferi la
fanno da padrone, si raggiunge a stento la temperatura minima da
garantire negli edifici pubblici.
Per ovviare a tale inconveniente, l'ufficio tecnico, cui è stato
segnalato il problema, ha suggerito di "aprire un po' le finestre
quando fa troppo caldo"...il cerchio si è chiuso!
Credo che quest'esempio rappresenti, ancora bene, la scarsa
"sensibilità ambientale" che accomuna, ahinoi spesso, chi prende
le decisioni e la base che gli stessi legittima attraverso la delega
elettorale.
Non è il caso di addentrarci ulteriormente in questa vicenda
locale, soprattutto in uno scenario mondiale in cui: il prezzo del
petrolio, in continua ascesa, ha superato i 90 dollari al barile, il
picco di estrazione dell'oro nero si avvicina a passi lunghi e ben
distesi mentre i paesi "energivori" firmano, freneticamente, accordi
internazionali a destra e a manca per garantirsi più gas
piuttosto che la partecipazione a progetti per lo sviluppo del nucleare
(Prodi docet).
Tutto ciò in un contesto dove, oggi più che mai, la paura
di perdere il controllo delle fonti energetiche travolge la diplomazia
a favore del conflitto militare, i teatri di guerra, dichiarata come
tale o "travestita" da missione umanitaria, sono lì a
ricordarcelo quotidianamente.
In aggiunta, rispetto al recente passato, ci si confronta con
l'emergenza climatica e, sempre sotto la minaccia dei paventati
black-out, ormai previsti tanto nelle estati torride quanto negli
inverni freddi e bui, dai vertici delle gerarchie che governano i paesi
industrializzati giungono le più svariate soluzioni. C'è
chi spinge per la costruzione di nuove centrali a carbone, chi promuove
le fonti rinnovabili, chi sostiene il ritorno al nucleare, chi vuole i
rigassificatori...
Deve essere chiaro che una scelta non vale l'altra, tanto in termini
ambientali quanto per gli aspetti economici e sociali che ne derivano.
La relazione di Rifkin sul futuro dell'energia
Stabilito che ogni soluzione calata dall'alto è di per sé
un'imposizione e non una scelta, credo sia utile qualche riflessione
che vada oltre le campagne mass-mediatiche a sostegno di una o
dell'altra ipotesi; in particolare mi voglio soffermare, sulla "white
paper", relazione sul futuro dell'energia che Jeremy Rifkin ha redatto
come consulente per le questioni attinenti all'economia, al cambiamento
del clima e alla sicurezza energetica del presidente di turno
dell'Unione Europea, il portoghese José Socrates.
L'Europa, a 27 stati, ha elaborato la direttiva del "triplo 20" secondo
la quale entro il 2020 dovrà migliorare del 20% la propria
efficienza energetica e ridurre del 20% le emissioni climalteranti
rispetto ai livelli del 1990.
Secondo Rifkin, l'Europa deve anticipare la Terza Rivoluzione
Industriale fondata su tre pilastri: rendere obbligatorio che il 20% di
tutta l'energia sia generata da fonti rinnovabili entro il 2020,
introdurre le tecnologie dell'idrogeno per immagazzinare le diverse
forme di energia rinnovabile e creare reti energetiche intelligenti
(smart intergrid) di dimensioni continentali, per permettere che le
forme di energia rinnovabile siano prodotte e distribuite con la stessa
facilità a disposizione per la produzione e diffusione in
"orizzontale" dell'informazione in internet.
Per raggiungere tali obiettivi è, dunque, indispensabile
sviluppare metodi di conversione che facilitino lo stoccaggio delle
forniture dalle fonti energetiche rinnovabili, al fine di garantire una
disponibilità di energia sufficiente ed affidabile in diversi
periodi del giorno e dell'anno.
L'economista americano individua nell'idrogeno la soluzione ottimale.
Bisogna ricordare che l'idrogeno (H2) è un gas infiammabile che
in pratica non esiste sulla Terra, produrlo artificialmente richiede di
per sé un notevole dispendio di energia. Di conseguenza esso non
può essere di per sé etichettato come fonte di energia,
ma soltanto come vettore, cioè come mezzo per immagazzinare
l'energia prodotta da altre fonti. Il vantaggio è che,
così "intrappolata", l'energia può essere traslocata e
successivamente liberata. Questo recupero può avvenire
semplicemente bruciando l'idrogeno, nel qual caso l'energia si libera
in forma di calore, oppure per mezzo delle cosiddette celle a
combustibile, le quali convertono l'energia chimica in elettrica. In
entrambi i casi si ha un processo "pulito", nel senso che da un punto
di vista chimico l'idrogeno reagisce con l'ossigeno, formando acqua.
Niente gas inquinanti, niente polveri, niente che possa minacciare
l'ambiente dal punto di vista delle emissioni.
Ma come si può produrre l'idrogeno?
Questo è un nodo fondamentale da chiarire perché oggi
quasi tutto l'idrogeno prodotto industrialmente viene ottenuto a
partire da fonti di energia fossili, più precisamente dal metano
(48%) o da derivati del petrolio, attraverso processi detti di "steam
reforming".
L'idrogeno prodotto con queste modalità contiene circa il 75%
dell'energia fornita in ingresso, mentre il restante 25% viene perso
sotto forma di calore. Con queste modalità produttive, quindi,
non solo non si risolverebbero i problemi dell'inquinamento e
dell'immissione di CO2 su scala planetaria ma, si determinerebbe uno
spreco di energia introducendo un passaggio in più nella
trasformazione dell'energia da chimica in elettrica. L'unico
"vantaggio", rispetto all'oggi, si riferirebbe alla diversa
localizzazione delle fonti delle emissioni concentrate in
corrispondenza delle centrali, scelta che avrebbe come sola
giustificazione quella di liberare, almeno per la quota legata alle
emissioni del traffico veicolare (in questo caso le auto dovrebbero
funzionare con celle a combustibile), le grandi città dalla
morsa dello smog e delle polveri sottili.
L'idrogeno può essere ottenuto per reforming anche dal carbone,
in termini di produzione di anidride carbonica tale processo
equivarrebbe a bruciare il carbone stesso, aprendo in pratica la strada
all'uso per auto-trazione (pur con minor resa energetica) delle
abbondanti riserve di carbone ancora esistenti sul pianeta; l'effetto
sul riscaldamento globale sarebbe ancora peggiore di quello attuale.
Infatti, a parità di energia prodotta, il carbone produce ancora
più inquinanti del petrolio e del metano.
Ovviamente, anche l'energia nucleare potrebbe essere usata per
produrre, in seconda battuta, l'idrogeno; credo sia superfluo ribadire
ancora una volta quante e quali serissime controindicazioni riguardino
tale opzione.
Vale invece la pena di valutare con attenzione un altro modo con cui si
può produrre idrogeno, suggerito del resto dallo stesso Rifkin,
ovvero mediante l'elettrolisi dell'acqua.
Il processo consiste nello scindere l'acqua nei suoi elementi
costitutivi: idrogeno e ossigeno attraverso il passaggio di una
corrente elettrica.
È fondamentale però, bisogna sottolinearlo mille volte,
che l'energia elettrica necessaria sia ricavata dalle fonti rinnovabili
(celle solari, eolico, idroelettrico, geotermia, moto ondoso) solo
così avrebbe senso l'utilizzo dell'idrogeno come vettore e
accumulatore di energia.
Questo ruolo dell'idrogeno sarebbe essenziale perché con
l'energia rinnovabile non si può garantire un approvvigionamento
quantitativamente costante.
Il sole non splende sempre con la stessa intensità (e mai di
notte), il vento non soffia di continuo, la portata dei corsi d'acqua
subisce delle variazioni stagionali e i raccolti agricoli per le
biomasse possono avere anni di magra.
Rifkin, nel suo libro "l'Economia ad idrogeno" auspica inoltre la
transizione dal motore a combustione / benzina al motore con celle a
combustibile ad idrogeno per tutti i mezzi di trasporto – dai muletti
industriali agli scooter, dalle auto ai camion, dagli autobus ai treni,
dalle barche alle navi passeggeri – nella stesura della relazione in
esame ribadisce tale ipotesi individuando nel secondo e terzo decennio
del 21° secolo il limite entro cui, in Europa, si dovrebbe
concludere questa conversione.
Tale obiettivo è posto in relazione al fatto che il settore di
trasporti costituisce una delle principali cause di emissione di gas ad
effetto serra di origine antropica.
Quest'ipotesi andrebbe sicuramente verificata con calcoli alla mano
perché data una certa quantità di energia elettrica
prodotta da fonti rinnovabili sarebbe forse più vantaggioso
utilizzarla direttamente per le utenze domestiche e/o produttive,
riservando il petrolio o il metano così risparmiati per le
automobili dotate di motori ibridi più efficienti ed in grado di
ridurre i consumi, piuttosto che usarla per produrre idrogeno che
faccia muovere auto con celle a combustibile (questo anche senza
contare il massiccio investimento in termini di infrastrutture e i
rischi insiti nell'uso di un gas altamente infiammabile ed esplosivo
quale è l'idrogeno). Si potrebbe osservare che così non
si risolverebbe il problema dell'inquinamento urbano, osservazione
corretta, ma vorrei, introducendo il dubbio, evidenziare che ogni
opzione deve essere valutata in tutte le sue ricadute: ambientali,
sociali ed economiche. Valga, come ulteriore esempio, quello relativo
alla coltivazione agricola finalizzata alla produzione di
bio-combustibili (biodiesel – etanolo) che, espandendosi su grandi
estensioni di territorio prima destinate alle specie alimentari provoca
l'impoverimento delle popolazioni locali che devono acquistare cibo
importato da altre regioni ad un prezzo maggiore.
È quindi sempre necessaria un'analisi globale in cui, dal nostro
punto di vista, non ci si può fermare alla speranza riformista
che anima lo stesso Rifkin, studioso con idee stimolanti, in parte
apprezzabili ma che rimane in una logica del tutto interna al sistema,
come si può leggere nella parte della sua relazione in cui
tratta del terzo pilastro della sua ipotesi di sviluppo dove,
testualmente, afferma che: ...è attualmente in fase di
sperimentazione da parte delle società energetiche europee la
riconfigurazione delle reti energetiche secondo gli schemi di internet
per permettere alle imprese e all'utenza privata di produrre la propria
energia e di scambiarla.
Questo "smart integrid" è costituito da tre componenti
fondamentali. Mini reti che permettono all'utenza privata, alle piccole
e medie imprese e alle grandi imprese di produrre localmente energia
rinnovabile e di utilizzarla per i loro bisogni elettrici. Tecnologie
di contatori intelligenti permettono ai produttori locali di energia di
venderla in modo più vantaggioso alla rete elettrica principale
e di prendere elettricità dalla rete rendendo il flusso
elettrico bi-direzionale." In un altro paragrafo, ancor più
chiaramente, Rifkin sostiene che l'Europa può mirare a diventare
la più competitiva economia del mondo.
Sappiamo fin troppo bene dove portano le logiche ispirate alla
competitività economica e, dal canto nostro, non possiamo fare a
meno di pensare quale destino sia riservato, nel sistema capitalista, a
chi non ha mezzi economici per sostenere gli investimenti necessari
allo sviluppo delle nuove tecnologie, come non possiamo dimenticarci,
senza voler fare della facile demagogia, che mentre si discute della
convenienza energetica dell'elettrolisi dell'acqua per liberare le
nostre città dallo smog, qualcun altro su questo pianeta si pone
il problema dell'acqua, non per doverne ricavare idrogeno ma
perché ne ha bisogno per dissetarsi e lavarsi.
Ben venga quindi una rivoluzione, ma non è la Terza Industriale quella di cui l'umanità ha bisogno.
MarTa
http://download.repubblica.it/pdf/2007/terza_rivoluzione_industriale.pdf