Umanità Nova, n.6 del 17 febbraio 2008, anno 88

Afganistan. Guerra col silenziatore


Il comando militare italiano di Herat non ha perso tempo per smentire sia il governatore della provincia di Farah, Ghulam Mohaidun Balouch, che le notizie diffuse da PeaceReporter riguardanti un attacco delle forze Isaf-Nato nel distretto di Bakwa, a cui avrebbero partecipato anche reparti italiani, compiuto nella notte dello scorso 3 febbraio.
Il governatore, in una dichiarazione raccolta dall'agenzia France Press aveva esplicitamente affermato che "L'esercito afgano e gli italiani della Forza internazionale d'assistenza alla sicurezza della Nato hanno condotto un'operazione contro una presunta cellula di talebani".
Secondo Khialbaz Sherzai, comandante provinciale della polizia, "nel raid sono stati uccisi sette civili, tutti membri di una stessa famiglia, tra cui una donna e due bambini".
Mentre in Italia la cosiddetta informazione oscurava totalmente quest'ultima azione bellica (paradossalmente, aveva avuto più rilievo la notizia che su alcuni mezzi dei reparti speciali italiani in Afganistan era stato fotografato il simbolo pressoché uguale a quello dell'Afrika Korps), per il ministero della difesa italiano si trattava solo di disinformazione e il sottosegretario Forcieri (DS) è giunto ad accusare PeaceReporter di voler "condizionare la discussione sul decreto di rifinanziamento delle missioni che inizia domani in Commissione Difesa".
D'altra parte non è certo un segreto che nel distretto di Bakwa, nel sud della provincia di Farah, operino le forze speciali italiane della Task Force 45 impegnate nell'Operazione Sarissa e, in situazioni di emergenza, i bersaglieri italiani della Forza di Reazione Rapida, dotati di carri armati Dardo e appoggiati da elicotteri da combattimento Mangusta.
L'Operazione Sarissa è stata definita come la missione più delicata e segreta condotta dalle forze armate italiane negli ultimi anni. Sia per la zona d'operazione: la regione a ridosso col confine iraniano, sia per le tattiche molto aggressive impiegate dai circa duecento appartenenti ai reparti speciali antiguerriglia (Incursori del Comsubin, parà del 9° Col Moschin, ranger del 4° Alpini Monte Cervino, 185° Rgt della Folgore), supportati per spostamenti rapidi da elicotteri Sh3D della Marina e dagli elicotteri da trasporto Ch47 di Herat, dove sono dislocati anche i Mangusta.
Ignote persino le regole d'ingaggio che, seppure in linea con l'orientamento della Nato, sono coperte dal segreto militare tanto che neppure il Parlamento e la magistratura possono conoscerle completamente.
Già un anno fa, nel febbraio 2007, reparti italiani avevano preso parte a un'offensiva per la riconquista del distretto di Bakwa; mentre nel novembre scorso, sempre nella provincia di Farah, forze italiane furono impegnate per tre settimane nelle operazioni di guerra contro i talebani che avevano conquistato i distretti di Bakwa e Gulistan.
Ma di queste vere e proprie azioni di guerra (ignorando peraltro quelle neppure menzionate), evidentemente, non bisogna sapere, anche se la dotazione di mortai pesanti, veicoli corazzati da combattimento ed elicotteri d'attacco Mangusta in dotazione ai circa 2.400 (2.500 secondo alcune fonti) militari italiani in Afganistan, dovrebbe far intendere a chiunque che si tratta di una ben strana missione di pace.

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