Le elezioni anticipate del 13 e 14 aprile cadono a quarantanni dal '68
e a sessantanni dal varo della costituzione della repubblica italiana.
Il confronto tra il 1948, il 1968 e il 2008 può aiutare a dare
la misura della distanza non tanto temporale, quanto di temperie
sociale e politica tra questi momenti.
La parabola dell'Italia uscita dalla seconda guerra mondiale si va
compiendo, nel senso che sono in liquidazione i valori condivisi in
base ai quali fu scritta la costituzione del 1948: il disegno di una
partecipazione più ampia possibile e la diffusione dei diritti
sociali alla casa, allo studio, ad un reddito adeguato, alla salute,
nella consapevolezza che l'eguaglianza formale non basta (art. 3, comma
1, costituzione), ma che è necessario perseguire quotidianamente
l'eguaglianza sostanziale (art. 3, comma 2 costituzione) perchè
ogni singolo possa davvero esplicitare la propria personalità. E
questa eguaglianza sostanziale deve essere compito della repubblica.
Venti anni dopo, nel 1968 e dintorni, esplode un protagonismo di massa
che prende molto sul serio, paradossalmente, la richiesta di
eguaglianza sostanziale e la risposta infatti saranno le riforme degli
anni '70 (statuto dei lavoratori, fisco, casa, sanità, scuola,
divorzio, diritto di famiglia, aborto, obiezione di coscienza) e le
bombe nelle piazze e sui treni. Si vorrebbe oggi finalmente, dopo molti
tentativi (da quanti anni sentiamo parlare di "riforme istituzionali"?)
riscrivere le "regole del gioco", ma non solo: quel che si vuole
cancellare è anche solo l'ipotesi, del tutto "democratica" e non
certo "rivoluzionaria" che oltre l'eguaglianza formale ci sia
un'eguaglianza sostanziale: senza i diritti sociali, i diritti politici
e civili sono in gran parte svuotati.
Ed i diritti sociali, in democrazia, non sono altro che punto di
mediazione del conflitto sociale. È la ratifica dell'oblio del
conflitto sociale, che si vuole. Si vuole una società dalla
superficie liscia e omogenea, una società da governare, da
amministrare, perchè esiste solo il presente e nessun futuro
"altro". Nessun progetto, nessun conflitto, nessun cambiamento.
Potenti forze hanno sconfitto sul campo la richiesta di cambiamento e
di partecipazione esplosa quarantanni fa ed oggi si preparano a
ratificare la loro egemonia su di una società "messa al lavoro"
nel suo complesso, dove nessun aspetto della vita, a partire dalla
più semplice comunicazione, è "fuori dal mercato".
Così, nei primi giorni di campagna elettorale, abbiamo visto
Veltroni e Berlusconi lanciarsi in reciproci riconoscimenti, accomunati
dal desiderio di ritrovarsi dopo il 13 e 14 aprile a riscrivere appunto
la costituzione del 1948, giudicata "obsoleta" e "inadeguata".
C'è agitazione, a destra ed a sinistra, davanti alle mosse dei
due "oni": all'elettorato i due vogliono presentare "tutto il resto"
come inutile e dannoso per la "governabilità".
Ora la corsa è aperta a chi sarà il partito di
maggioranza relativa, mentre la sinistra del governo Prodi si ritrova
forzosamente compattata intorno alla candidatura di Bertinotti. Si vede
a occhio nudo che la sinistra sta subendo gli eventi: lo stesso
ripetere meccanicamente di voler porre al centro della propria azione
"il lavoro", suona quasi come un ripiego. Infatti, ad onta del fatto
che continui ad essere centrale nella produzione di reddito della
società, il lavoro subordinato, in tutte le sue forme, non
interessa granché agli altri partiti, sopratutto ai due partiti
degli "oni". Anzi, a dirla tutta sembra che si voglia lasciare la
famosa "rappresentanza del mondo del lavoro" a qualcuno di fidato e
conosciuto, con cui fino a ieri si è governato, in modo da
inserirla in quadro conosciuto e gestibile.
Dal punto di vista del marketing politico, divisioni nette e
riconoscibili giovano a tutti i protagonisti e permettono di fare il
pieno dei voti: infatti Bertinotti non è scontento della
situazione. Anche questo è un modo per evitare che le
contraddizioni presenti nella società prendano pieghe
"antisistema".
W.B.