Il 24 gennaio è stato pubblicato il rapporto Eures-Ansa
sull'andamento degli omicidi volontari (dati aggiornati al 31 dicembre
2006) che ha confermato l'Italia come uno dei paesi più sicuri
d'Europa. Con le sue 616 vittime, il 2006 è stato infatti l'anno
della storia italiana col minor numero di omicidi, da quando nel 1862
venne compilato il primo rapporto del Ministero degli Interni e furono
registrate 623 vittime di omicidio in tutto il Regno d'Italia (che
allora non raggiungeva i venti milioni d'abitanti). In rapporto alla
popolazione, solo in Norvegia vi è un indice di rischio
inferiore (0,7 contro l'1,0 di Italia, Danimarca, Germania, Spagna; 1,3
di Gran Bretagna; 1,6 della Francia; 2,6 della Svezia; 5,6 degli Usa).
La clamorosa notizia è rimasta confinata nei dispacci delle
agenzie. Solo Liberazione vi ha dedicato un articolo ed alcuni
quotidiani l'hanno inserita tra le "brevi", tenendola nascosta al
grande pubblico dei media per cui tutti i giorni vengono imbastiti
truculenta cronaca nera ed allarmi disperati sulle torme di immigrati,
drogati, pedofili, giovinastri viziosi e delinquenti appena usciti dal
carcere con l'indulto che assediano le città.
Basta un po' andare in giro per le strade per scoprire che, purtroppo,
gli italiani ci credono. Nei bar, sui treni, nei posti di lavoro i
discorsi forcaioli flottano come nei tg e nelle dichiarazioni dei
politici…
Così nelle nostre strade ci sono sempre più polizia e
telecamere di sorveglianza, a neanche un anno e mezzo dall'indulto le
carceri sono di nuovo piene, i reparti psichiatrici si riempiono di
persone colpite da TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio = ricovero
coatto) per aver girato ubriache per strada o per aver risposto male a
uno sbirro, i campi rom vengono sgomberati un giorno sì e
l'altro pure, le squadracce fasciste e leghiste attaccano impunemente
gli immigrati, i gay e i tossici, mentre in Parlamento vengano
approvate leggi che legalizzano l'omicidio (quella sulla legittima
difesa: basta avere il porto d'armi e sentirsi "minacciati" per poter
sparare a vista su chi osa varcare la sacra soglia della
proprietà privata, anche se è disarmato), leggi che
criminalizzano le scelte di vita ed i comportamenti individuali (la
Legge Fini sulle droghe, che mettendo sullo stesso piano droghe leggere
e droghe pesanti ha avuto come unico effetto quello di inondare la
penisola di cocaina ed eroina a basso prezzo) ed anche la riedizione
delle leggi razziali con il decreto anti-rumeni. E intorno cresce un
clima di intolleranza sociale di cui sono solo una pallida
testimonianza le fiaccolate e le marce organizzate in tutte le
città d'Italia da sedicenti Comitati Cittadini (in realtà
spesso "gestiti" da militanti di AN e della Lega) contro i
campi-nomadi, "il degrado", le prostitute, "la droga" e tutto quanto
può turbare le luride fantasie di chi pensa che la vita debba
essere soltanto casa-lavoro-tv.
C'è un termine della criminologia anglosassone, "hate crimes"
che letteralmente significa "delitti dell'odio" e che indica gli
omicidi che hanno per vittime persone appartenenti a minoranze etniche,
religiose, culturali, sessuali e politiche oggetto di discriminazione,
di pregiudizi e di "odio sociale". Hate Crimes sono tanto quelli
commessi da gruppi organizzati (le impiccagioni del Ku Klux Klan)
quanto quelli commessi da singoli individui che però scelgono
come vittime persone odiate per motivi "sociali" (uno dei casi
più famosi è quello di Zodiac, il serial killer che a San
Francisco negli anni Settanta uccideva gli hippy e i vagabondi).
Se i giornalisti italiani pensassero meno a raccontar balle e
più a documentarsi, probabilmente scriverebbero che è un
hate crime la Strage di Erba per cui è iniziato in questi giorni
a Como il processo che vede come imputati Olindo Romano e sua moglie
Rosa Bazzi per il quadruplice omicidio e per il tentato omicidio
avvenuti nella città lombarda l'11 dicembre 2006.
Poco prima delle otto di sera in pochi minuti Raffaella Castagna, suo
figlio Yousef di 2 anni, sua madre Paola Galli e una vicina di casa,
Valeria Cherubini accorsa assieme al marito Mario Frigerio, (rimasto
gravemente ferito), alle grida delle prime vittime furono uccisi ed un
incendio venne appiccato alla casa. In un primo momento venne
sospettato il marito di Raffaella Castagna, Abdel Fami Marzouk di aver
compiuto la strage. Marzouk, venticinquenne tunisino, "spacciatore"
appena uscito dal carcere grazie all'indulto, era il colpevole perfetto
per i media di regime e venne subito indicato come il responsabile
dell'atroce massacro nell'appartamento in via Diaz, anche se il suocero
aveva avvertito gli inquirenti che il genero era in Tunisia e che non
poteva essere stato lui.
Dopo alcune settimane, però, il ritrovamento delle "tracce
ematiche" di Rosa Bazzi spinse i carabinieri ad indagare su lei e il
marito, mettendo delle cimici ambientali che registrarono le loro
parole: «Adesso si che possiamo dormire», «Si sta
proprio bene», «Senti che silenzio». Mario Frigerio,
inoltre, uscì dal coma e riconobbe in Olindo il suo aggressore.
Dopo essere arrestati, fu Rosa Brazzi a spiegare ai magistrati cosa
avvenne quella sera, descrivendo tra l'altro i metodi usati (presi dai
telefilm sulla polizia scientifica) per non lasciare tracce e
dichiarando di aver fatto tutto perché i suoi vicini
«facevano chiasso».
Anche se nella prima giornata del processo (nel palazzo di giustizia di
Como, affollato fin dalle prime ore della mattina da un grande numero
di curiosi, desiderosi di assistere dal vivo allo show), i coniugi
Romano hanno ritrattato le loro confessioni, appare comunque
improbabile che non siano loro i colpevoli della strage.
Olindo e Rosa, lui netturbino ligio al dovere (il giorno dell'arresto
il suo caposquadra ha dichiarato ai giornali "non ha mai fatto un
giorno di sciopero e neanche un giorno d'assenza per malattia"), lei
casalinga perfetta famosa per la sua abilità nelle pulizie e
nelle faccende domestiche, avevano più volte dichiarato la loro
ostilità nei confronti dello "spacciatore" tunisino e
soprattutto di sua moglie, del suo entourage familiare e perfino dei
coniugi Frigerio colpevoli soltanto di non condividere il loro odio.
Olindo e Rosa, che dopo aver ucciso quattro persone, se ne vanno a
cenare in un McDonald's, tornano a casa, trovano i pompieri e le
ambulanze e vanno subito a farsi intervistare dalle televisioni sono
gli agghiaccianti campioni di una "normalità" che esiste solo
nelle menti di chi pensa che sia normale lavorare senza scioperare,
cercare la felicità in una casa che assomiglia a quella della
pubblicità e dove la sera si sente solo il rumore della TV. Non
per niente in carcere ricevono ogni settimana (come ha scritto
premurosamente il Quotidiano Nazionale qualche mese fa) "decine, se non
centinaia" di persone che scrivono per dirgli che in fin dei conti
hanno fatto bene. E se il criminale leghista Borghezio ha detto che la
strage di Erba è "effetto dell'esasperazione per l'immigrazione
clandestina", anche l'ex comico e neoguru Beppe Grillo nella sua
rubrica sul mensile ecologista Aam Terranuova ha avuto parole di
comprensione per Olindo e Rosa, vittime "a loro volta dell'eccesso di
rumore del nostro tempo"…
Paul Carter, uno dei più noti criminologi americani ha detto che
"a commettere hate crimes sono spesso persone che sentono minacciata la
loro normalità dalle loro vittime, considerate devianti e
pericolose in base ad una serie di pregiudizi sociali spesso
determinati dai media o da gruppi politici razzisti e che predicano la
tolleranza zero". Se Olindo e Rosa sono molto probabilmente gli
esecutori materiali della strage di Erba, i media di regime che con la
disinformazione pornografica alimentano paura, rancore, intolleranza e
odio, certo sono tra i mandanti.
robertino