Umanità Nova, n.6 del 17 febbraio 2008, anno 88

Guerra del lavoro. Lotta di classe o class action?


L'Associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro (ANMIL) ha appena snocciolato le cifre dei morti e degli invalidi sul lavoro in Italia, paragonate a quelle di una guerra a basa intensità: un morto sul lavoro ogni sette ore. Oggi CGIL-CISL-UIL hanno pure annunziato che il I° maggio sarà dedicato al tema della sicurezza (sic) e il presidente della repubblica Napolitano si è affrettato a ribadire che anche a camere sciolte si possono approvare i decreti attuativi del testo unico sulla sicurezza. La sicurezza sul lavoro "tira" in questo periodo, non c'è che dire. Le statistiche dicono che i morti sul lavoro sono diminuiti negli ultimi dieci anni in Italia del 25% e nel resto d'Europa del 30%: cioè da noi si muore sul lavoro ancora più che all'estero. Ma il problema non è la statistica. Il problema è la morte o l'invalidità sul lavoro in tempi come i nostri. E lo spostamento in atto di immaginario collettivo su chi siano i responsabili di questa carneficina. C'è un po' di ineluttabile in quel che accade, si pensa sotto sotto: certi lavori, si sa, son pericolosi. Al tempo stesso, non tutti i morti sono uguali: gli stranieri, specie se impiegati in nero e nell'edilizia, lasciano abbastanza indifferenti. La periodica morte o il grave infortunio nella fabbrica di botti, pure. I camionisti, dipendenti o padroncini, che quotidianamente muoiono, spesso in incidenti stradali in cui sono coinvolti anche altri, vengono rubricati appunto negli incidenti stradali. Il morto in fabbrica da pressa, braccio meccanico "impazzito" ecc. fa un poco più notizia, specie se l'azienda è medio-grande. Se i morti sono più di uno, la loro fine ha più possibilità di bucare il video. Il rogo di dicembre della Thyssen-Krupp ha colpito per la sua atroce dinamica, per l'orribile morte dei sette operai coinvolti, spentisi dopo giorni e giorni di agonia con i corpi completamente piagati dal fuoco. Lavoravano da dodici ore in una fabbrica in smantellamento, in condizioni ottocentesche e come nell'ottocento sono morti, mentre si guadagnavano il pane per la propria famiglia, tutti giovani, perchè i vecchi erano tutti usciti dalla fabbrica per cassa integrazione e poi mobilità. Una tragedia del conflitto tra capitale e lavoro, della guerra quotidiana che il capitale muove al lavoro. Interessante è il fatto che nello stesso Piemonte, però in una cittadina del cuneese, Fossano, nel mese di luglio scorso ci fosse stato un gravissimo incidente in cui sono morti cinque lavoratori: uno subito e gli altri quattro dopo settimane di agonia. Altra realtà, la provincia, una ditta individuale a condizione famigliare, l'estate, una piccola fabbrica. I morti di Fossano non hanno bucato il video, se non poi un poco a dicembre, nel cono d'ombra dei morti della Thyssen. Interessante (si fa per dire) è il fatto che ora per i famigliari dei morti Thyssen si sia costituito un collegio di avvocati che promuoveranno una causa risarcitoria "all'americana" nei confronti della multinazionale tedesca: il bello è che di questo collegio fanno parte anche importanti studi legali che di solito difendono grandi aziende in cause penali e civili. Gli avvocati in questione sono degli affermati professionisti nei loro rispettivi settori ed offrono garanzie di poter riuscire ad ottenere significativi risarcimenti per le famiglie. Il problema, però, anche qui, non è la competenza tecnica del professionista cui si affida una causa di risarcimento. Piuttosto, il fatto che la vicenda Thyssen sembri spostarsi sul piano giuridico e giudiziario, un po' da film o da realtà americani, da romanzo alla Grisham e perda ogni connotato politico e sindacale. Un segno dei tempi? Dalla lotta di classe alla class action? E i morti di Fossano? E i tanti morti "anonimi"? Giacché non sarà sfuggito che un conto è chiedere risarcimenti dei danni ad una multinazionale ed un conto è farlo con il proprietario del mulino di Fossano: al di là del maggiore appeal professionale e mediatico della prima causa, è proprio questione di soldi che si possono ottenere, a (quasi) parità di numero di morti. Triste contabilità. Il rischio è che tra i lavoratori salti fuori una differenza di "classe" a seconda del datore di lavoro per cui sono morti o si son storpiati. Non sarebbe il primo né l'ultimo paradosso dei nostri tempi, ma certo sarebbe un ben amaro approdo per il mondo del lavoro.

Ludd

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