Ancora una volta ci troviamo a parlare di un tentativo di controllo sui corpi delle donne.
Tutti conoscono quanto è accaduto a Napoli: in seguito ad una
telefonata anonima un p.m. si è inventato il reato di feticidio
ed ha inviato agenti di polizia ad interrogare la madre (arrestarla non
potevano) e a sequestrare il feto abortito (anche in questo caso
arrestarlo non era possibile).
Riguardo il fatto che "tutti"conoscano ciò che è successo
si può fare un primo rilievo, piccolo, ma forse significativo:
nella classe di mia figlia (4 superiore), 4 giorni dopo solo due
ragazzi ne avevano sentito parlare.
Su quanto è accaduto alcune considerazioni sono possibili.
Innanzitutto sul modo. Quante telefonate anonime riceve ogni giorno la
questura di Napoli? Perché a questa è stato dato
immediato corso? Che cosa avrebbero fatto i poliziotti se fossero
giunti durante l'interruzione di gravidanza? L'avrebbero impedita? E
chi erano i colpevoli che stavano cercando: la donna, i medici?
La seconda considerazione è sul perché ciò sia
accaduto. In un articolo su La Repubblica del 14. febbraio, l'oncologo
Veronesi dichiara "…L'irruzione è grave se pensiamo che, posto
che l'accertamento andasse fatto, non c'era nessuna urgenza. Poteva
essere effettuato tranquillamente nei giorni successivi. Perizie su
aborti terapeutici sono state fatte a Milano settimane o mesi dopo la
dismissione delle pazienti"… Queste dichiarazioni ci fanno pensare che
sia già prassi il controllo degli aborti terapeutici, anche se
in modo meno eclatante: a che fine?
Perciò viene da chiedersi se questo "blitz" sia una esagerazione
scappata di mano, o un preciso segnale ai medici: praticare aborti
può essere un reato: meglio fare gli obiettori. Già oggi
in Italia l'80% dei ginecologi e il 46% degli anestesisti non praticano
aborti. Devono aumentare per dare più spazio agli aborti a
pagamento nelle cliniche private?
Terza considerazione: l'attacco alle donne è stato palese per
tutti. Ma chi permette questo clima di inquisizione? Vi è
un'ipocrisia niente affatto sottile in chi , come ad esempio Ferrara,
ma l'elenco potrebbe essere lungo, dice che non vuole imporre nulla, ma
che pretende che tutte, liberamente, pensino come lui, perché
è l'unico che difende la vita. Come dire che erano libere le
persone descritte da Orwell in 1984 perché la presenza del
grande fratello era da loro accettata.
Quarta considerazione: il controllo poliziesco è sempre
più invasivo. Se nessuno alza un dito, o una almeno una piccola
protesta quando gli agenti di polizia entrano armati nelle scuole, in
mezzo a ragazzini alla ricerca di ipotetici spinelli, perché poi
non potrebbero entrare anche negli ospedali?
Quinto: che cosa è possibile fare? La discussione pubblica su
temi molto importanti quali l'inizio della vita, ma anche la fine di
essa, l'amore, la convivenza, confluisce sempre e solo nella
necessità di una legge che ne regoli gli aspetti. Come se la
legge, con il suo ordine simbolico individualista e maschile possa
rappresentare tutte e tutti.
Appare sempre più chiaro che una legge non basta: anche la
più "democratica" può sempre essere interpretata ed
applicata come fa più comodo.
Il papa parla di diritto di dio superiore al diritto sancito dalla
legge e noi potremmo ribaltare questa immagine ribadendo il diritto
della persona alla libertà, al rispetto e ad una vita degna, al
di là della legge che, come è ormai dimostrato, non
garantisce nulla: né diritti né doveri.
Le forti reazioni e le mobilitazioni che, un po' dappertutto, sono
seguite a questo episodio evidenziano come alcuni atteggiamenti siano
considerati intollerabili, come ancora esista una rete compatta e forte
capace di individuare il nemico e di opporsi. Nelle
manifestazioni di questi giorni è stato chiaro che stavolta il
nemico violento non era il marito o lo sconosciuto nel buio di una via,
ma lo stato.
R.P.