Umanità Nova, n.7 del 24 febbraio 2008, anno 88

Lo Stato contro le donne. Polizia in ospedale: la punta di un iceberg?


Ancora una volta ci troviamo a parlare di un tentativo di controllo sui corpi delle donne.
Tutti conoscono quanto è accaduto a Napoli: in seguito ad una telefonata anonima un p.m. si è inventato il reato di feticidio ed ha inviato agenti di polizia ad interrogare la madre (arrestarla non potevano) e a sequestrare il feto abortito (anche in questo caso arrestarlo non era possibile).
Riguardo il fatto che "tutti"conoscano ciò che è successo si può fare un primo rilievo, piccolo, ma forse significativo: nella classe di mia figlia (4 superiore), 4 giorni dopo solo due ragazzi ne avevano sentito parlare.
Su quanto è accaduto alcune considerazioni sono possibili.
Innanzitutto sul modo. Quante telefonate anonime riceve ogni giorno la questura di Napoli? Perché a questa è stato dato immediato corso? Che cosa avrebbero fatto i poliziotti se fossero giunti durante l'interruzione di gravidanza? L'avrebbero impedita? E chi erano i colpevoli che stavano cercando: la donna, i medici?
La seconda considerazione è sul perché ciò sia accaduto. In un articolo su La Repubblica del 14. febbraio, l'oncologo Veronesi dichiara "…L'irruzione è grave se pensiamo che, posto che l'accertamento andasse fatto, non c'era nessuna urgenza. Poteva essere effettuato tranquillamente nei giorni successivi. Perizie su aborti terapeutici sono state fatte a Milano settimane o mesi dopo la dismissione delle pazienti"… Queste dichiarazioni ci fanno pensare che sia già prassi il controllo degli aborti terapeutici, anche se in modo meno eclatante: a che fine?
Perciò viene da chiedersi se questo "blitz" sia una esagerazione scappata di mano, o un preciso segnale ai medici: praticare aborti può essere un reato: meglio fare gli obiettori. Già oggi in Italia l'80% dei ginecologi e il 46% degli anestesisti non praticano aborti. Devono aumentare per dare più spazio agli aborti a pagamento nelle cliniche private?
Terza considerazione: l'attacco alle donne è stato palese per tutti. Ma chi permette questo clima di inquisizione? Vi è un'ipocrisia niente affatto sottile in chi , come ad esempio Ferrara, ma l'elenco potrebbe essere lungo, dice che non vuole imporre nulla, ma che pretende che tutte, liberamente, pensino come lui, perché è l'unico che difende la vita. Come dire che erano libere le persone descritte da Orwell in 1984 perché la presenza del grande fratello era da loro accettata.
Quarta considerazione: il controllo poliziesco è sempre più invasivo. Se nessuno alza un dito, o una almeno una piccola protesta quando gli agenti di polizia entrano armati nelle scuole, in mezzo a ragazzini alla ricerca di ipotetici spinelli, perché poi non potrebbero entrare anche negli ospedali?
Quinto: che cosa è possibile fare? La discussione pubblica su temi molto importanti quali l'inizio della vita, ma anche la fine di essa, l'amore, la convivenza, confluisce sempre e solo nella necessità di una legge che ne regoli gli aspetti. Come se la legge, con il suo ordine simbolico individualista e maschile possa rappresentare tutte e tutti.
Appare sempre più chiaro che una legge non basta: anche la più "democratica" può sempre essere interpretata ed applicata come fa più comodo.
Il papa parla di diritto di dio superiore al diritto sancito dalla legge e noi potremmo ribaltare questa immagine ribadendo il diritto della persona alla libertà, al rispetto e ad una vita degna, al di là della legge che, come è ormai dimostrato, non garantisce nulla: né diritti né doveri.
Le forti reazioni e le mobilitazioni che, un po' dappertutto, sono seguite a questo episodio evidenziano come alcuni atteggiamenti siano considerati intollerabili, come ancora esista una rete compatta e forte capace di individuare il  nemico e di opporsi. Nelle manifestazioni di questi giorni è stato chiaro che stavolta il nemico violento non era il marito o lo sconosciuto nel buio di una via, ma lo stato.

R.P.

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