Quando si parla di guerra, le agenzie di stampa sono solite usare
espressioni neutre, quasi rassicuranti: "Con 340 sì e 50 no (un
astenuto) la Camera ha approvato il decreto legge recante disposizioni
urgenti in materia di interventi di cooperazione allo sviluppo e a
sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché
relative alla partecipazione delle Forze Armate e di polizia a missioni
internazionali".
In realtà, giovedì 21 febbraio, la camera dei deputati ha
prorogato e rifinanziato le 27 missioni militari all'estero - cinque
più delle scorso anno - comprese quelle parte attiva nei
conflitti in Afganistan, Libano, Balcani, Iraq. Il nuovo decreto
prevede anche un rafforzato impegno in Kosovo con circa 2.600 militari,
una nuova missione in Ciad e l'estensione marittima (Euromarfor) della
missione già attiva in Libano con circa 2.300 effettivi.
Il decreto ha visto il voto favorevole e convergente del
centro-sinistra e del centro-destra, ad esclusione dei gruppi di
Rifondazione Comunista e dei Comunisti Italiani che stavolta hanno
votato contro, mentre Verdi e Sinistra Democratica non hanno
partecipato al voto; contrario, ovviamente, anche l'onorevole
Cannavò di Sinistra Critica che lo scorso anno proprio su questa
questione si era dissociato da Rifondazione Comunista.
Per il resto, unanimità completa dai Radicali alla Lega Nord,
dai Socialisti ad Alleanza Nazionale: a conferma della
continuità nelle politiche interventiste che hanno
contraddistinto i diversi governi nell'ambito della guerra preventiva
dichiarata dagli Stati Uniti del 2001.
Il decreto legge, in particolare, autorizza la spesa di 279 milioni di
euro per il Libano fino al 30 settembre 2008 e di 337,7 milioni di euro
per l'Afganistan (contro i 310 dell'anno passato e senza contare i
fondi previsti per la ricostruzione, a sostegno dell'imprenditoria
afgana) fino al 31 dicembre 2008. Il decreto legge copre fino al 31
dicembre 2008 le spese anche per le missioni: Active Endeavour nel
Mediterraneo, Balcani (eccetto la missione Althea in Bosnia fino al 30
settembre), Hebron, Rafah, Darfur, Congo, Cipro, Albania. Fino al 30
settembre 2008 il dl copre le spese per le missioni: Unifil in Libano,
Althea in Bosnia, la missione della Guardia di Finanza in Libia contro
l'immigrazione clandestina e la missione Minustah ad Haiti.
I partiti ora riuniti nella Sinistra Arcobaleno hanno invano chiesto un
decreto "disarticolato", per poter votare separatamente su ogni singola
missione, ritenendo possibile su alcune il voto a favore. Ma, nel
complesso, l'impressione data da queste forze è apparso
quantomeno contraddittorio, dato che soltanto adesso è stato
affermato che in Afganistan "il contesto è cambiato",
dimenticando che fino a pochi mesi fa, quando erano parte della
maggioranza di governo, l'intervento militare italiano veniva comunque
ritenuto accettabile almeno sino alla fine del 2008, come aveva detto
in dicembre anche il verde "movimentista" Paolo Cento.
Stesso farsesco opportunismo anche da parte dei dirigenti di
Rifondazione Comunista, ricordiamo ad esempio che la viceministro degli
esteri, Patrizia Sentinelli, nel giugno 2006 aveva detto che
"L'incremento degli uomini e delle truppe è questione che non
deve neppure essere messa nella discussione": allora i militari
italiani in Afghanistan erano 1.275, adesso dopo i due anni di governo
Prodi sono più che raddoppiati e si prospetta, entro breve, il
raggiungimento di 3 mila effettivi.
Discorso analogo per il Partito dei Comunisti Italiani, il cui
segretario Diliberto appena un anno fa aveva sottolineato "la vocazione
profondamente innovativa della politica estera del governo italiano",
ritenendola coerente con l'art.11 della Costituzione.
La senatrice Palermi, capogruppo Verdi-PdCI, nel marzo 2007 si era
persino spinta oltre recitando che "la natura della nostra missione sta
cambiando, lasciando sempre più spazio all'impegno per la pace e
per il dialogo".
Il gruppo Pd-Ulivo ha inoltre presentato un emendamento, prontamente
accolto dal governo, in cui si chiedeva all'esecutivo di impegnarsi
nella direzione di "Un mandato internazionale che unifichi le due
missioni attualmente in Afganistan (Isaf a guida Nato ed Enduring
Freedom a guida americana) e abbia come obiettivo primario la
protezione dei civili, con un maggior controllo internazionale sulla
pianificazione delle azioni militari". In realtà tale
unificazione è già una realtà per quanto riguarda
il comando delle operazioni (di fatto in mano statunitense); ma non
è stata ancora raggiunta l'uniformità delle regole
d'ingaggio, i cosiddetti caveat, mentre la Nato ha esplicitamente
chiesto anche alla missione italiana di adeguarsi agli standard
operativi dell'Alleanza con sempre più estesi ruoli di
combattimento.
Ma forse l'aspetto più oscuro del decreto di rifinanziamento
è che rimane, ancora una volta, elusa la questione della durata
dell'intervento italiano. Ancora a gennaio il sottosegretario alla
difesa Forcieri aveva confermato che "dovremo restare in Afganistan
molto a lungo", ribadendo quanto annunciato in passato dal ministro
degli esteri D'Alema secondo il quale la presenza militare italiana
è destinata a durare "per un tempo non breve"; mentre il
ministro uscente alla Difesa Parsi ha più volte confermato che
sino al 2011 non si prevede alcuna exit strategy.
In questa indeterminatezza si dà però scontato che, a
quella data, la Nato sia ancora in grado di decidere ancora qualcosa
sulla sua permanenza in Afganistan.
L'ottimismo è, davvero, l'ultimo a morire.
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