Umanità Nova, n.8 del 2 marzo 2008, anno 88

Infiniti tempi di guerra. Parlamento: 340 sì alle missioni militari


Quando si parla di guerra, le agenzie di stampa sono solite usare espressioni neutre, quasi rassicuranti: "Con 340 sì e 50 no (un astenuto) la Camera ha approvato il decreto legge recante disposizioni urgenti in materia di interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché relative alla partecipazione delle Forze Armate e di polizia a missioni internazionali".
In realtà, giovedì 21 febbraio, la camera dei deputati ha prorogato e rifinanziato le 27 missioni militari all'estero - cinque più delle scorso anno - comprese quelle parte attiva nei conflitti in Afganistan, Libano, Balcani, Iraq. Il nuovo decreto prevede anche un rafforzato impegno in Kosovo con circa 2.600 militari, una nuova missione in Ciad e l'estensione marittima (Euromarfor) della missione già attiva in Libano con circa 2.300 effettivi.
Il decreto ha visto il voto favorevole e convergente del centro-sinistra e del centro-destra, ad esclusione dei gruppi di Rifondazione Comunista e dei Comunisti Italiani che stavolta hanno votato contro, mentre Verdi e Sinistra Democratica non hanno partecipato al voto; contrario, ovviamente, anche l'onorevole Cannavò di Sinistra Critica che lo scorso anno proprio su questa questione si era dissociato da Rifondazione Comunista.
Per il resto, unanimità completa dai Radicali alla Lega Nord, dai Socialisti ad Alleanza Nazionale: a conferma della continuità nelle politiche interventiste che hanno contraddistinto i diversi governi nell'ambito della guerra preventiva dichiarata dagli Stati Uniti del 2001.
Il decreto legge, in particolare, autorizza la spesa di 279 milioni di euro per il Libano fino al 30 settembre 2008 e di 337,7 milioni di euro per l'Afganistan (contro i 310 dell'anno passato e senza contare i fondi previsti per la ricostruzione, a sostegno dell'imprenditoria afgana) fino al 31 dicembre 2008. Il decreto legge copre fino al 31 dicembre 2008 le spese anche per le missioni: Active Endeavour nel Mediterraneo, Balcani (eccetto la missione Althea in Bosnia fino al 30 settembre), Hebron, Rafah, Darfur, Congo, Cipro, Albania. Fino al 30 settembre 2008 il dl copre le spese per le missioni: Unifil in Libano, Althea in Bosnia, la missione della Guardia di Finanza in Libia contro l'immigrazione clandestina e la missione Minustah ad Haiti.
I partiti ora riuniti nella Sinistra Arcobaleno hanno invano chiesto un decreto "disarticolato", per poter votare separatamente su ogni singola missione, ritenendo possibile su alcune il voto a favore. Ma, nel complesso, l'impressione data da queste forze è apparso quantomeno contraddittorio, dato che soltanto adesso è stato affermato che in Afganistan "il contesto è cambiato", dimenticando che fino a pochi mesi fa, quando erano parte della maggioranza di governo, l'intervento militare italiano veniva comunque ritenuto accettabile almeno sino alla fine del 2008, come aveva detto in dicembre anche il verde "movimentista" Paolo Cento.
Stesso farsesco opportunismo anche da parte dei dirigenti di Rifondazione Comunista, ricordiamo ad esempio che la viceministro degli esteri, Patrizia Sentinelli, nel giugno 2006 aveva detto che "L'incremento degli uomini e delle truppe è questione che non deve neppure essere messa nella discussione": allora i militari italiani in Afghanistan erano 1.275, adesso dopo i due anni di governo Prodi sono più che raddoppiati e si prospetta, entro breve, il raggiungimento di 3 mila effettivi.
Discorso analogo per il Partito dei Comunisti Italiani, il cui segretario Diliberto appena un anno fa aveva sottolineato "la vocazione profondamente innovativa della politica estera del governo italiano", ritenendola coerente con l'art.11 della Costituzione.
La senatrice Palermi, capogruppo Verdi-PdCI, nel marzo 2007 si era persino spinta oltre recitando che "la natura della nostra missione sta cambiando, lasciando sempre più spazio all'impegno per la pace e per il dialogo".
Il gruppo Pd-Ulivo ha inoltre presentato un emendamento, prontamente accolto dal governo, in cui si chiedeva all'esecutivo di impegnarsi nella direzione di "Un mandato internazionale che unifichi le due missioni attualmente in Afganistan (Isaf a guida Nato ed Enduring Freedom a guida americana) e abbia come obiettivo primario la protezione dei civili, con un maggior controllo internazionale sulla pianificazione delle azioni militari". In realtà tale unificazione è già una realtà per quanto riguarda il comando delle operazioni (di fatto in mano statunitense); ma non è stata ancora raggiunta l'uniformità delle regole d'ingaggio, i cosiddetti caveat, mentre la Nato ha esplicitamente chiesto anche alla missione italiana di adeguarsi agli standard operativi dell'Alleanza con sempre più estesi ruoli di combattimento.
Ma forse l'aspetto più oscuro del decreto di rifinanziamento è che rimane, ancora una volta, elusa la questione della durata dell'intervento italiano. Ancora a gennaio il sottosegretario alla difesa Forcieri aveva confermato che "dovremo restare in Afganistan molto a lungo", ribadendo quanto annunciato in passato dal ministro degli esteri D'Alema secondo il quale la presenza militare italiana è destinata a durare "per un tempo non breve"; mentre il ministro uscente alla Difesa Parsi ha più volte confermato che sino al 2011 non si prevede alcuna exit strategy.
In questa indeterminatezza si dà però scontato che, a quella data, la Nato sia ancora in grado di decidere ancora qualcosa sulla sua permanenza in Afganistan.
L'ottimismo è, davvero, l'ultimo a morire.

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