Umanità Nova, n.8 del 2 marzo 2008, anno 88

Una torta ben spartita. Kosovo: proclamata la... neodipendenza


Il 17 febbraio è nato un nuovo Stato dalle ceneri dell'antica Jugoslavia. Il neo presidente kosovaro, già capo della armata dell'UCK, ha proclamato al mondo intero che il suo territorio e il suo popolo hanno raggiunto la secolare aspirazione all'indipendenza. Manifestazioni di giubilo nella nuova capitale, Pristina, e contro manifestazioni di protesta nella capitale serba Belgrado, privata di una regione ritenuta la culla della propria identità nazionale.
È logico e prevedibile che i due poteri, albanese e serbo, mobilitino le masse per celebrare, in modo contrapposto, un evento storico e giuridico di notevole rilievo e non solo per il Kosovo e la Serbia. Sarebbe più interessante andare oltre le quinte televisive e vedere gli interessi in gioco di tutti i gruppi protagonisti. Qui ci limiteremo ai più evidenti.
I dirigenti kosovari, reduci da una lotta armata finanziata senza infingimenti dagli Stati Uniti e dalle proprie attività di traffici mafiosi (armi, droga, organi umani,…), si presentano sulla scena internazionale come gli eredi delle vittime della pulizia etnica serba del 1999. La pulizia etnica, dato reale e non inventato, sarebbe stata fermata dalla "guerra umanitaria" (inverecondo ossimoro!) dei bombardamenti USA e dei suoi alleati tra i quali il governo italiano guidato dal fine Massimo D'Alema (animo sensibile che di recente ha sostenuto la moratoria sulla pena di morte…).
Nel giro di nove anni gli ex guerriglieri hanno negato ogni tentativo di compromesso, avviato da più parti, per la tutela della minoranza serba in territorio albanese. Alla fine, forti dell'appoggio USA e dei principali stati europei, hanno raggiunto il proprio obiettivo politico e istituzionale. Altro tema sarebbe quello di una vera autonomia. Infatti non è un caso che i manifestanti kosovari sventolassero bandiere americane cucite insieme alle loro. Senza la visita di Bush nella grandissima base americana di Bondsteel, e la dichiarazione pubblica fatta in mezzo ai soldati di riconoscimento anticipato, l'accelerazione del processo di "indipendenza" non ci sarebbe stata. Ora, se davvero vogliono l'indipendenza, i kosovari dovrebbero porsi il problema della nuova stretta, indissolubile e assoluta subordinazione alla potenza nordamericana. È troppo facile prevedere che tale movimento di indipendenza dovrà aspettare molto tempo, se mai qualcuno lo volesse.
I dirigenti serbi, a loro volta reduci da una progressiva umiliazione giuridica e militare a livello internazionale, hanno usato la carta dell'orgoglio nazionale per far dimenticare le responsabilità del predecessore Slobodan Milosevic. Costui riteneva di poter imporre un forte controllo culturale e politico sui kosovari, colpevoli di vivere nelle zone dove sarebbe nata (più di 600 anni fa!) la nazione serba con i suoi monumenti religiosi e i suoi martiri. Con queste motivazioni i nazionalisti serbi, sia comunisti che reazionari, hanno negato per decenni i diritti elementari agli abitanti del Kosovo e in questo modo hanno pure eliminato l'espressione pacifista e tollerante del movimento di Ibrahim Rugova. Alle proteste popolari nonviolente, a partire dagli anni '80, Belgrado ha risposto con i carri armati e lo stato d'assedio mostrando ai sostenitori di un'autonomia graduale e non armata che quella strada non avrebbe avuto la minima possibilità di successo. Dalla sconfitta della linea non aggressiva di Rugova, progressivamente emarginato dalla scena dai rifiuti della controparte, è nata l'invenzione dell'UCK poco prima della guerra intestina che ha portato alla dissoluzione della Jugoslavia. Ora le proteste disperate delle masse nazionaliste a Belgrado e in altre città serbe mostrano come non sia facile rendersi conto del declino inevitabile della soluzione armata di fronte ad una forza armata internazionale di molto superiore. Ancora i vertici serbi alimentano impossibili speranze di riprendere un potere effettivo sul Kosovo con dichiarazioni che consolano le masse e lasciano intravedere possibili rivincite con l'appoggio della Grande Madre Russia. Qui Putin, che ha un forte consenso tra i nazionalisti e i seguaci della chiesa ortodossa, ha dichiarato solidarietà totale alla Serbia per rialzare le quotazioni della Russia. Da qualche anno, l'accorta gestione delle fonti energetiche ne ha aumentato la forza contrattuale rispetto all'Europa e non solo.
In realtà le mobilitazioni nazionaliste, volute e manovrate dal governo serbo, rispondono al progetto di deviare il malcontento popolare per le sempre più misere condizioni di vita (molto peggiori di quelle nostrane) e per lo sfruttamento intensificato dei lavoratori nelle fabbriche privatizzate o svendute al capitale occidentale, verso un comodo obiettivo: il complotto internazionale ai danni della Serbia! Si applica il vecchio, ma sempre valido, metodo di indicare i responsabili del disastro materiale e morale in un nemico esterno, malvagio e spietato. La lotta per la dignità nazionale dovrebbe favorire il compattamento degli sfruttati con gli sfruttatori tralasciando le poco patriottiche recriminazioni sulle responsabilità della crisi dilagante. L'emergenza nazionale metterebbe in secondo piano i conflitti di classe secondo un copione largamente sperimentato.
Sullo sfondo della nuova crisi balcanica, i vertici militari e politici degli Stati Uniti confermano l'utilità della realizzazione sul territorio kosovaro della più grande base europea che, stando a quanto pubblicato dai giornali, sarebbe una delle due opere umane più visibili dallo spazio. Insieme alla Grande Muraglia cinese, i 400 ettari occupati dai militari USA nel cuore dell'"indipendente" Kosovo emergerebbero nella fotografia del globo scattata dall'atmosfera. Qui ci sarebbe anche una delle più grandi fonti di reddito per gli albanesi kosovari, i cui giovani sono per metà disoccupati: 7.000 posti di lavoro.
Un altro grande boccone è costituito dalla ricca e polivalente miniera di Trepca da cui si ricavano preziosi minerali dal cadmio al nichel, dallo zinco al piombo, per non parlare della probabile presenza di uranio. Ai tempi di Tito vi lavoravano 15.000 minatori e la fonderia connessa era tra le prime del mondo. La grande ricchezza passò poi all'entourage economico e politico dei Milosevic fino alla sua dissoluzione.
Trepca ora è controllata dai militari francesi e inglesi sotto l'egida dell'ONU. Guarda caso: proprio imprese francesi e inglesi sono interessate a sfruttare tali risorse. Inoltre il controllo militare inglese si effettua sulla centrale termoelettrica di Obilic mentre i disinteressati e benefattori soldati italiani si trovano attorno a Pec, vicino alla fabbrica Iveco-Zastava, una joint venture metalmeccanica. I tedeschi invece sono allocati a Pristina dove vi è un'importante industria della gomma. Non vi ricorda qualcosa, magari già studiato a scuola come esempio di colonialismo?
Si potrebbe pensare che ai potenti di Belgrado che protestano per la perdita della "culla serba", più delle basiliche ortodosse interessino le ricche proprietà abbandonate durante i bombardamenti NATO del 1999 e mai più restituite.
Una rappresentanza dell'imprenditorialità del dinamico Nord Est, dal settore dei vini a quello dei mobili, si trova a sud di Pristina e sta compiendo grandi investimenti. Da parte sua, la Regione Friuli Venezia Giulia, regno dell'industriale Riccardo Illy, con il suo assessorato alle Relazioni Internazionali, è impegnata a "dare un contributo al rafforzamento delle istituzioni democratiche" in quanto "elemento di garanzia e supporto della presenza dei nostri operatori economici in Kosovo". Il cerchio sembra chiudersi con la recentissima missione dell'Unione Europea, votata da tutti i 27 paesi, denominata Eulex, che dovrebbe aiutare le istituzioni del nuovo Stato a conformarsi ai modelli di magistratura e di polizia più solidi a livello europeo. Anche la Spagna, che non ha riconosciuto il nuovo Stato per non alimentare le speranze basche e catalane, è presente in Eulex con propri funzionari. Lo dovrebbero ricordare i manifestanti serbi che hanno cucito insieme i vessilli propri e quello spagnolo.
Il quadro, come può apparire ad un'analisi non del tutto schematica, è veramente molto più complesso di uno scontro tra musulmani e ortodossi o tra etnie da secoli in conflitto e, in fin dei conti, alquanto "arretrate". Oltre il velo dei nazionalismi si intravedono precisi interessi consolidati: profitti e militarismo vanno a braccetto ancora una volta. E la neodipendenza di un popolo illuso di aver conquistato una sofferta libertà farà prestissimo i conti con i progetti di spremerne le energie e le risorse naturali in nome del progresso e, negli ultimi anni, dell'ingresso nella libera e democratica comunità europea.

Claudio Venza

home | sommario | comunicati | archivio | link | contatti