Igino Ugo Tarchetti "Una nobile follia. -Drammi della vita militare" Oscar Mondatori 2004, euro 6,80
Il primo romanzo antimilitarista nella storia letteraria d'Italia
Alto, stralunato, la lunga barba incolta, gli abiti perennemente
stazzonati. Povero come poteva esserlo soltanto un giovane poeta della
bohème milanese negli anni immediatamente successivi
all'unità d'Italia. Si chiamava Igino Tarchetti (San Salvatore
Monferrato 1839 – Milano 1869) e per vivere scriveva racconti e romanzi
pubblicati a puntate sulla stampa d'opposizione dell'epoca. Oggi, di
questo letterato si ricordano più le stranezze che i versi o le
pagine in prosa. I suoi rari biografi raccontano, per esempio della sua
vita nel capoluogo lombardo, romanticamente dissipata; dei suoi amori
tormentati e, negli ultimi anni della sua breve esistenza, della sua
ultima fissazione: girare per i viali dei cimiteri milanesi,
attività che lo aveva reso familiare a custodi e becchini, tutto
preso nella lettura delle lapidi tombali. Per non parlare del vezzo che
aveva di presentarsi agli appuntamenti "con i topi bianchi che erano la
sua passione: gli sbucavano fuori dalle tasche o gli si fermavano
incantati sulle spalle, le orecchie tese come conigli" (Schettini).
A un personaggio così eccentrico e bizzarro dobbiamo,
però, il primo romanzo antimilitarista della letteratura
dell'Italia unita, pubblicato in assoluta controtendenza rispetto al
senso comune del suo tempo, quando erano ancora caldi, anzi ardenti,
gli "eroici furori" risorgimentali e all'indomani della disastrosa
terza guerra d'indipendenza. In un paese tanto malamente organizzato e
socialmente ingiusto quanto impegnato a celebrare l'epopea della
propria unità, Una nobile follia del Tarchetti, apparso in
appendice sul giornale "Il Sole" in ventisette puntate tra il novembre
1866 e il marzo 1867, si propose fin da subito come vero e proprio
incunabolo dell'ideologia pacifista proprio negli anni in cui
l'esaltazione patriottica si trasformava in vieto nazionalismo. Suo
obiettivo polemico il militarismo e insieme i valori risorgimentali.
Il romanzo racconta la storia di Vincenzo D., giovane colto e
sensibile, amante della natura e dell'arte, innamorato di una donna,
incapace di violenza che viene chiamato a prestare il servizio
militare: "Incominciò la mia notte: notte immensa, tenebrosa,
terribile… Fui soldato. Questa parola esprime tutto. Affetti, memorie,
doveri, aspirazioni, diritti, indipendenza, dignità conculcata –
assoldato, tenuto a soldo, venduto".
Nelle esperienze della vita militare del protagonista l'assimilazione
dolorosa e forzata della disciplina coincide con il progressivo
annullamento della propria personalità: "così si uccide
un uomo e si forma un soldato, - la nazione lo tollera, vi ha di
più, la nazione applaude, illusa come un fanciullo insensato
alla vista dei pennacchi azzurri, delle sciabole lucide, e del suono
delle trombette: i pochi onesti fremono e tacciono".
Ridotto a una macchina per uccidere, Vincenzo parte per la guerra,
quella di Crimea (1852 – 1855) e il 16 agosto 1855 partecipa alla
battaglia del fiume Cernaia. Tarchetti descrive questa vicenda bellica,
che nei manuali di storia viene ancora oggi presentata come
"strategica" nella politica estera cavouriana di inserimento del
piccolo regno di Sardegna nella grande politica europea, come quello
che in realtà fu: un macello, un massacro crudele e insensato,
privo di ogni attrazione eroica ed estetica. Lo scrittore non tace
nulla al lettore, insistendo, anzi, sugli aspetti più macabri,
ripugnanti di quello scontro armato, di ogni scontro armato: "Allora
viene emanato un ordine terribile: - innalzare una trincea di cadaveri.
– Ci accingiamo unanimi e impazienti a questo lavoro. I cavalli feriti
o morti sono trascinati pel campo e collocati d'innanzi alle nostre
linee, i corpi dei russi e dei sardi sovrapposti ad essi, e disposti a
larghi strati incrociati; noi li cerchiamo frettolosi per la pianura, e
non abbiamo tempo a riconoscere se non siano ancora spirati… Noi ci
collochiamo dietro quel vallo di carne; ci afferriamo ai capelli o ai
piedi dei morti, e spariamo contro il nemico, spingendo le nostre
carabine negli spazi esistenti tra l'uno e l'altro cadavere".
Nel feroce corpo a corpo successivo all'ultima carica della cavalleria
russa contro lo schieramento sardo, Vincenzo D. colpisce mortalmente un
nemico, un giovane ufficiale polacco di sentimenti patriottici e
liberali, e assiste alla sua agonia.
"- Oh vivi – esclamai gettandomi sopra di lui – vivi -; e prorompendo
in lacrime, tentai di abbracciarlo, quasi avessi potuto infondergli con
quell'amplesso la vita giovine e vigorosa che ardeva in tutte le mie
fibre. Ma a mezzo atto me ne trattenni: egli aveva richiusi gli occhi,
e il sangue gli usciva in maggior copia dalla ferita, fui atterrito: -
dopo un istante incominciò a delirare…" Una terribile esperienza
che favorisce la fuga dal campo di battaglia, la diserzione del
protagonista a cui dopo la perdita della donna amata non resterà
che la pazzia e il suicidio.
La pubblicazione di Una nobile follia suscitò sensazione e
scandalo e valse al suo giovane autore una certa fama, sia pure
"maledetta". Tarchetti divenne agli occhi di settori minoritari, ma
importanti, di opinione pubblica italiana il "corifeo di una battaglia
contro il conformismo e la tradizione più gretta rappresentata
dall'istituzione militare in nome di un ideale umanitario,
ideologicamente imprecisato, ma ricco di una forte carica suggestiva,
proprio in quanto, al tramonto dell'epopea risorgimentale, dopo Lissa e
Custoza, rimetteva in discussione quello che era stato considerato uno
degli elementi fondamentali della riscossa nazionale" (Ghidetti).
I vertici delle gerarchie militari, allora, preoccupati della
circolazione e dai favorevoli riscontri di pubblico ottenuti da Una
nobile follia operarono per correre ai ripari e presentare
l'istituzione militare in una luce più positiva: si affidarono,
quindi, alla bella penna di un giovane tenente che esordiva in quegli
anni alla carriera giornalistico – letteraria, Edmondo De Amicis
(Oneglia 1846 – Bordighera 1908), giovane direttore de "Italia
militare", organo del Ministero della guerra. Nacque così La
vita militare (1868), primo grande successo dell'autore di Cuore, venti
convenzionali, accattivanti bozzetti sull'esercito e i suoi personaggi
di sempre: coscritti semplici e ingenui, sottufficiali burberi,
graduati ricchi di umanità, eroici caduti, feriti valorosi,
mutilati… I ricordi delle campagne del 1866, il ruolo svolto
dall'esercito italiano durante il colera del 1867…
Nulla di più lontano dall'aspro antimilitarismo "a tesi" del
Tarchetti: De Amicis esprime, e con sincera convinzione, un punto di
vista organico a quello dei ceti borghesi che si riconoscevano senza
incertezze nella istituzione militare e nei suoi valori. Due visioni
dell'esercito e del suo ruolo, ma anche due diverse idee della
letteratura: manzoniano "senza se e senza ma" il De Amicis, alle soglie
di una fortunata carriera che lo avrebbe portato a diventare il
propagandista della morale laica e dei valori patriottici e sociali
dell'Italia umbertina; fervente antimanzoniano il Tarchetti, ribelle
scapigliato, che, ripudiando le "belle forme" della scrittura e
valorizzando contenuti dai bordi frastagliati e lacerati, puntava a
escludere il pubblico borghese.
Salvatore Farina (Sassari 1846 – Milano 1918), il letterato a cui
sarebbe toccato in sorte scrivere le ultime pagine di Fosca, il romanzo
più famoso e riuscito dell'amico Tarchetti che rischiava di
rimanere incompiuto per la sua prematura scomparsa, ebbe a sostenere
che l'antimilitarismo di Igino non fu l'impegno di un solo libro,
piuttosto un aspetto, quello letterario, di un'attività politica
che intendeva essere ancora più larga e penetrante. Farina
racconta, infatti, che nel periodo della stesura di Una nobile follia,
il Tarchetti elaborò un manifesto – programma antimilitarista e
ne curò la circolazione tra i soldati, suscitando le ire degli
ufficiali e dei circoli militari. "Insomma letteratura come 'impegno',
o, gramscianamente, letteratura come parte di un lavoro 'intellettuale'
e, perciò stesso, politico. Letto oggi, a quasi un secolo e
mezzo di distanza, Una nobile follia appare come libro volto a
demistificare la guerra, ogni guerra" (Carnero).
Luciano Luciani