"C..zo, compagni, porcoddio". Così, con ammirevole
regolarità, iniziava il proprio intervento in assemblea un
compagno di allora, oggi stimatissimo professore di un prestigioso
ateneo italiano. E così potrei iniziare io, per tentare di
rendere l'idea di cosa anche fosse il Sessantotto. Ma essendo ormai
diventato persona educata e "civile", vedrò di esporre le mie
argomentazioni in un modo un po' più serio e articolato.
Come credo di avere sommariamente spiegato nei numeri precedenti, il
Sessantotto fu il punto di arrivo di un fervore culturale e sociale che
veniva da lontano e fu, al tempo stesso, il punto di partenza di una
trasformazione che avrebbe interessato progressivamente tutta la
società italiana. Una trasformazione resa possibile dall'impegno
militante e dalla presenza nelle piazze e nelle aule universitarie di
una minoranza attiva di giovani, la cui azione avrebbe poi coinvolto,
in un procedimento a cascata, il modo di pensare e di agire di tutti.
Una trasformazione dall'onda lunghissima che, nonostante le successive
rimozioni e i numerosi transfughi e pentiti, preoccupati di farsi
perdonare quelle benedette esuberanze giovanili, ancora oggi permea di
sè, direi in maniera irreversibile, le forme nelle quali si
manifestano i rapporti sociali e personali di tutti noi. Una
trasformazione che probabilmente non potrà ripetersi data la sua
evidente unicità, perché l'anno della contestazione non
fu solamente la conseguenza di una tensione che cercava le risposte sul
consueto piano politico e militante, ma rappresentò anche un
rivolgimento culturale ed esistenziale che arricchì e
implementò in modo esponenziale gli esiti dell'intervento
politico. E infatti fu proprio l'incontro, la contaminazione fra questi
due livelli, che rese travolgenti e definitivi gli effetti dell'azione
dei "contestatori".
Due treni paralleli, dunque, che movendo dalla comune esigenza di
modificare e trasformare una realtà ingabbiata in apparati
autoritari e convenzioni sociali quanto mai restii a lasciarsi
riformare, erano destinati, a onta delle famose convergenze parallele,
a incontrarsi e fondersi. L'estraniazione ribelle della cultura beat da
una società alla quale non si apparteneva più, il rifiuto
all'integrazione, l'ostentazione formale della diversità,
trovarono uno sbocco "operativo" e una nuova ragion d'essere
nell'incontro con un'altra realtà giovanile, quella del nascente
impegno politico e sociale. Una realtà non estranea ma altra,
che muoveva i propri passi partendo da esigenze concrete, come la
scuola, la selezione, l'esclusione, la violenza dell'autoritarismo,
ecc. E fu proprio il meticciato fra le esigenze "spirituali" e i
bisogni "materiali", che finalmente e per la prima volta si
riconoscevano su un piano paritario, a rendere ricca, vivace e
soprattutto "vincente" quella lotta. Fino ad allora, infatti, questi
due piani erano rimasti abbastanza separati, distanti. La politica
tradizionale, non solo dei grandi partiti di massa e delle
organizzazioni giovanili, ma anche delle residuali organizzazioni non
irreggimentate, e fra queste quelle anarchiche, non concedeva
granché ai bisogni esistenziali delle giovani generazioni, ma
piuttosto perseguiva, con compiaciuto conformismo, l'obiettivo del
soddisfacimento dei bisogni delle "masse". La vera, grande,
straordinaria innovazione del 68 fu proprio la capacità di
mettere insieme le due cose, dando vita alle molteplici forme
espressive, ormai sedimentate, che conosciamo. Cosa di più
immateriale e distante dalla politica dei fronti popolari, dell'ormai
classico slogan "l'immaginazione al potere"?
In assemblea, a differenza di quel che si è portati a pensare,
nessuno "comandava" davvero. C'erano i leaderini, senza dubbio,
ascoltati, apprezzati e molto ammirati per le indubbie capacità
oratorie, ma erano ancora troppi i galli nel pollaio perché
qualcuno potesse imporre la linea.
La prima sostanziale e rivoluzionaria novità fu metodologica: la
consuetudine di prendere tutte le decisioni operative in modo autonomo
e in ambito di assemblea. Le iniziative, gli interventi - parlo
soprattutto del 1968 perché già con il 1969 e
l'assestamento dei partitini e dei gruppuscoli, le cose cambieranno -
sono decisi collettivamente e accettati dagli studenti in modo
spontaneo e autonomo, senza interventi dall'alto e che qualcuno potesse
"dirti" cosa fare e non fare. Una novità non da poco per chi
faceva politica nelle federazioni giovanili e nelle associazioni
goliardiche dove si doveva obbedire alle disposizioni impartite dai
vertici adulti del partito.
E infatti, completamente spiazzati da questa imprevista libertà,
i partitini universitari si scioglieranno come neve al sole senza
lasciare rimpianti, mentre le varie Fuci, Fgsi e Fgci tenteranno di
sopravvivere riciclandosi malamente e ancor più malamente
eseguendo ordini sempre più incomprensibili. Penso che questa
pratica genuinamente anarchica, di decidere solo in sede assembleare,
largamente accettata e a lungo strenuamente difesa dalla base
studentesca, fu possibile per il fatto che la maggioranza dei
partecipanti non veniva dalle organizzazioni di partito ma si
affacciava per la prima volta alla politica, e quindi questa oggettiva
"verginità" rendeva più naturale e istintiva l'adozione
dell'assemblearismo come metodologia. Che ci si richiamasse ai soviet,
ai consigli operai, all'esperienza dell'anarchismo o chissà a
che altro – grande era la confusione sotto il cielo – non aveva
importanza. Contava l'adesione spontanea alla democrazia orizzontale.
La pratica assembleare, inoltre, aveva l'effetto di promuovere
l'elaborazione "teorica" collettiva, e questo, anziché
dimostrarsi un limite nell'individuazione di mezzi e fini,
rappresentò l'arma vincente del movimento. E difatti l'analisi
fu a tutto campo e la "contestazione del sistema" globale. Del resto,
come si sarà già capito, i motivi per renderci
così arrabbiati, e soprattutto determinati, erano tanti.
Ricordo, in una accesissima discussione fra studenti e agit-prop del
Pci nella piazza della mia città, lo stupore, incredulo e
scandalizzato, di fronte alla radicalità delle nostre posizioni:
"Ma come, non vi va bene neanche la Rossanda?". Sembrava impossibile,
al ligio militante, che quei rompipalle di cinesi potessero essere
ancora più radicali di una che era appena stata buttata fuori
dal partito per "estremismo". Da parte nostra, del resto, era ovvio
fare nostre le parole di Cohn-Bendit, quando definiva il
parlamentarismo "malattia senile del comunismo".
Fra i tanti luoghi comuni sul 68 c'è quello che ci avrebbe
voluti tutti borghesi e prepolitici. E come tutti i luoghi comuni, si
tratta di una madornale sciocchezza. Indubbiamente, dato che il
movimento era partito dalle Università, la componente borghese
non era secondaria, ma proprio perché i temi principali
dell'impegno riguardavano momenti sostanziali della vita di tutti, non
ci volle molto perché si aggregassero e diventassero componente
attiva anche quei figli di proletari che avevano accesso all'istruzione
superiore. Quando poi il movimento si estese alle scuole secondarie, la
partecipazione alla lotta fu trasversale e comprensiva di tutte le
componenti sociali. Non pochi, poi, erano quelli in libera uscita dalle
organizzazioni di partito, finalmente emancipati dalle pastoie di una
pratica politica semplicemente oppressiva.
Anche la componente cattolica, figlia diretta del Concilio, fu numerosa
e agguerrita, e bisogna riconoscere che spesso il suo apporto, radicale
e moralmente intransigente, fu parte determinante e imprescindibile del
movimento. Del resto la nostra fu la prima generazione pienamente
figlia del consumismo e fu anche la prima, non essendone ancora stata
conquistata del tutto, a contestarne fortemente le manifestazioni
più vistose, andando dalla analisi economica, che vedeva nel
capitalismo la matrice dello sfruttamento materiale del proletariato di
fabbrica e giovanile, a quella morale - e qui era più evidente
la presenza dei cattolici - rivolta alla produzione di bisogni
materiali indotti e non necessari. Un forte moralismo, come si
può immaginare, si accompagnava regolarmente ai portati del
cosiddetto materialismo scientifico...
E gli anarchici? Beh, direi che a parte alcune località nelle
quali si era mantenuta una presenza attiva e manifesta dell'anarchismo
storico, i libertari non fossero ancora particolarmente presenti.
Indubbiamente si cominciava a registrare una ripresa militante e qua e
là nascevano nuovi gruppi, però il peso dell'anarchismo
come movimento restava inadeguato rispetto ai contenuti fortemente
libertari espressi nelle lotte studentesche. La generazione precedente
alla nostra, troppo precedente alla nostra, si rivelò ovviamente
molto più aperta di quanto non fossero gli apparati dei partiti
della sinistra, e va dato atto che ci fu sempre un notevole sforzo di
comprensione da parte dei vecchi compagni, però lo stacco
generazionale, e soprattutto quello contenutistico erano troppo forti e
netti perché non se ne vedessero gli effetti. Da un lato la
lucida intuizione che il pensiero libertario si affacciava nuovamente
sul palcoscenico della storia, dall'altro la difficoltà a
riconoscerne gli sviluppi in quei giovani così radicali e
trasgressivi. Il contrasto fra i giovani del maggio francese e i vecchi
compagni al Congresso internazionale di Carrara non fu solo sugli
anarchici cubani, fu davvero qualcosa di più. Lentamente,
però, questa lontananza esistenziale veniva riconosciuta, da
entrambe le parti, come un peso da scrollarsi di dosso, e di lì
a poco, ne sono anch'io diretto testimone, l'incontro fu pieno e
solidale.
Mi rendo conto, giunto a questa terza "puntata", che gli argomenti da
trattare sono almeno altrettanti di quelli che ho fin qui sfiorato: la
totalità dell'impegno politico; la nascita di nuove forme
espressive e nuovi schemi mentali; un nuovo linguaggio che non si
può ridurre ai cioè, al limite, e nella misura in cui; i
rapporti fra compagni paritari e rispettosi; l'affacciarsi in massa
dell'universo femminile in quello che era stato il campo d'azione del
maschio; l'incontro fra proletariato e figli della borghesi e tante
altre cose di cui, credo, bisognerebbe continuare a parlare. Se qualcun
altro volesse farsi avanti...
Massimo Ortalli