L'assemblea nazionale cubana ha deciso: Raul Castro succede a Fidel
Castro, che nella settimana precedente aveva espresso la sua intenzione
di non ricandidarsi dopo "soli" 49 anni al vertice del potere statale
dell'isola caraibica. La trasmissione del potere per via familiare
ormai non è più una sola caratteristica delle monarchie:
le democrazie parlamentari o quelle sedicenti popolari non ne sono di
certo esenti e se negli USA ad un Bush è successo un altro Bush
e a Clinton vorrebbe succedergli la moglie a Cuba il potere rimane un
affare di famiglia.
Già alla fine dell'anno scorso Fidel, minato dalla malattia,
aveva dichiarato di non volere rimanere aggrappato alla poltrona e
diventare un ostacolo al rinnovamento della classe dirigente del
partito/stato, e aveva espresso l'intenzione di diventare un
consigliere, un nume tutelare della vita politica cubana, forte della
memoria dei 49 anni vissuti come Presidente del Consiglio di Stato.
Queste parole avevano sollevato molti interrogativi – e molte speranze
– intorno alla sua successione anche se in realtà esse
riflettevano una più generale spinta al cambiamento proveniente,
in primis, dalle stesse strutture ufficiali del regime. Negli ultimi
mesi del 2007 milioni di cubani erano stati coinvolti nel dibattito
sollecitato da Raul Castro sulla necessità di introdurre
cambiamenti strutturali e di principio nel paese per far si che la
"rivoluzione" potesse sopravvivere.
Il dibattito, sviluppatosi in un clima non esente da grandi tensioni,
aveva evidenziato la grande richiesta, proveniente da tutti gli strati
della popolazione, di un grande cambiamento economico, sociale e
politico. Fidel fu costretto ad ammettere - con un occhio rivolto anche
a fattori esterni come la sconfitta nel referendum istituzionale di
Hugo Chavez, grande fornitore di petrolio a Cuba - che "la risposta
alla situazione attuale della società cubana richiede più
tipi di risposta a ciascun problema concreto di quelli contenuti in una
scacchiera".
Raul si spinse più avanti ammettendo che la società
cubana è vittima di un "eccesso di divieti e di provvedimenti
legali che opprimono i cubani" e che la trasformazione deve procedere
con la velocità che le sarà consentita dalle
possibilità economica di un sistema decisamente "alla frutta".
Studiare, organizzare, pianificare sono gli strumenti indispensabili,
secondo Raul, per individuare le priorità indispensabili per far
partire il processo di trasformazione ormai indispensabile. Intanto per
meglio capire come intendono procedere basta osservare la nuova
normativa del lavoro che è stata introdotta nell'aprile scorso.
I nuovi regolamenti sono presentati come parte di un piano per
rilanciare l'economia e aumentare la produttività e
l'efficienza, e sono basati su un aumento dell'orario di lavoro
settimanale a 44 ore e la minaccia di licenziamento per quanti non si
attengono ai "regolamenti disciplinari interni". Fidel, a questo
proposito il 14 dicembre scorso ha confermato quanto aveva già
dichiarato al primo ministro canadese nel 2001 riguardo all'Accordo
delle Nazioni Unite in merito ai diritti economici, sociali e culturali
e cioè l'impossibilità per Cuba di accettare l'articolo
dell'accordo riguardante la libertà di organizzazione sindacale,
vista come un grimaldello della struttura piramidale del sistema
burocratico cubano imperniato sul partito ed il sindacato unico,
strumenti del potere di un oligarchia ben consolidata.
In questa situazione mentre appelli per il cambiamento interno delle
proprie strutture di riferimento vengono dalle personalità
più critiche dell'establishment che invitano a ripensare alla
"rivoluzione" cubana e a dire a voce alta quello che si pensa delle
storture del sistema per rompere l'immobilismo che circonda la vita dei
cubani, segnali di resistenza e di lotta provengono da settori operai e
contadini.
A questo riguardo è sintomatico anche l'atteggiamento della
stessa chiesa cattolica che guarda con favore alla trasformazione
sempre che essa avvenga con "gradualità". "La gradualità
è più conveniente di un radicalismo impetuoso e veloce"
affermava recentemente la rivista cattolica "Palabra Nueva" e si
capisce bene il perché. Nella gradualità i poteri, tutti
i poteri, sono in grado di guidare i processi e di condurli nella
direzione voluta, senza pericolosi scossoni e soprattutto senza il
pericolosissimo sviluppo di tendenze autonome e libertarie.
Con stipendi da pochi dollari al mese, le contraddizioni macroscopiche
innestate dallo sviluppo del settore turistico, gli effetti deleteri
del blocco economico statunitense, Il modello cinese sembra quindi
quello di riferimento per una classe dirigente intenzionata a spremere
ulteriormente, ma con efficienza e modernità, il proletariato
cubano al quale è vietata ogni forma di organizzazione autonoma
in un clima di repressione costante delle varie forme di opposizione
culturale e sociale.
max.var