Umanità Nova, n.8 del 2 marzo 2008, anno 88

Come ti inCastro Cuba. Un affare di famiglia


L'assemblea nazionale cubana ha deciso: Raul Castro succede a Fidel Castro, che nella settimana precedente aveva espresso la sua intenzione di non ricandidarsi dopo "soli" 49 anni al vertice del potere statale dell'isola caraibica. La trasmissione del potere per via familiare ormai non è più una sola caratteristica delle monarchie: le democrazie parlamentari o quelle sedicenti popolari non ne sono di certo esenti e se negli USA ad un Bush è successo un altro Bush e a Clinton vorrebbe succedergli la moglie a Cuba il potere rimane un affare di famiglia.
Già alla fine dell'anno scorso Fidel, minato dalla malattia, aveva dichiarato di non volere rimanere aggrappato alla poltrona e diventare un ostacolo al rinnovamento della classe dirigente del partito/stato, e aveva espresso l'intenzione di diventare un consigliere, un nume tutelare della vita politica cubana, forte della memoria dei 49 anni vissuti come Presidente del Consiglio di Stato.
Queste parole avevano sollevato molti interrogativi – e molte speranze – intorno alla sua successione anche se in realtà esse riflettevano una più generale spinta al cambiamento proveniente, in primis, dalle stesse strutture ufficiali del regime. Negli ultimi mesi del 2007 milioni di cubani erano stati coinvolti nel dibattito sollecitato da Raul Castro sulla necessità di introdurre cambiamenti strutturali e di principio nel paese per far si che la "rivoluzione" potesse sopravvivere.
Il dibattito, sviluppatosi in un clima non esente da grandi tensioni, aveva evidenziato la grande richiesta, proveniente da tutti gli strati della popolazione, di un grande cambiamento economico, sociale e politico. Fidel fu costretto ad ammettere - con un occhio rivolto anche a fattori esterni come la sconfitta nel referendum istituzionale di Hugo Chavez, grande fornitore di petrolio a Cuba - che "la risposta alla situazione attuale della società cubana richiede più tipi di risposta a ciascun problema concreto di quelli contenuti in una scacchiera".
Raul si spinse più avanti ammettendo che la società cubana è vittima di un "eccesso di divieti e di provvedimenti legali che opprimono i cubani" e che la trasformazione deve procedere con la velocità che le sarà consentita dalle possibilità economica di un sistema decisamente "alla frutta". Studiare, organizzare, pianificare sono gli strumenti indispensabili, secondo Raul, per individuare le priorità indispensabili per far partire il processo di trasformazione ormai indispensabile. Intanto per meglio capire come intendono procedere basta osservare la nuova normativa del lavoro che è stata introdotta nell'aprile scorso. I nuovi regolamenti sono presentati come parte di un piano per rilanciare l'economia e aumentare la produttività e l'efficienza, e sono basati su un aumento dell'orario di lavoro settimanale a 44 ore e la minaccia di licenziamento per quanti non si attengono ai "regolamenti disciplinari interni". Fidel, a questo proposito il 14 dicembre scorso ha confermato quanto aveva già dichiarato al primo ministro canadese nel 2001 riguardo all'Accordo delle Nazioni Unite in merito ai diritti economici, sociali e culturali e cioè l'impossibilità per Cuba di accettare l'articolo dell'accordo riguardante la libertà di organizzazione sindacale, vista come un grimaldello della struttura piramidale del sistema burocratico cubano imperniato sul partito ed il sindacato unico, strumenti del potere di un oligarchia ben consolidata.
In questa situazione mentre appelli per il cambiamento interno delle proprie strutture di riferimento vengono dalle personalità più critiche dell'establishment che invitano a ripensare alla "rivoluzione" cubana e a dire a voce alta quello che si pensa delle storture del sistema per rompere l'immobilismo che circonda la vita dei cubani, segnali di resistenza e di lotta provengono da settori operai e contadini.
A questo riguardo è sintomatico anche l'atteggiamento della stessa chiesa cattolica che guarda con favore alla trasformazione sempre che essa avvenga con "gradualità". "La gradualità è più conveniente di un radicalismo impetuoso e veloce" affermava recentemente la rivista cattolica "Palabra Nueva" e si capisce bene il perché. Nella gradualità i poteri, tutti i poteri, sono in grado di guidare i processi e di condurli nella direzione voluta, senza pericolosi scossoni e soprattutto senza il pericolosissimo sviluppo di tendenze autonome e libertarie.
Con stipendi da pochi dollari al mese, le contraddizioni macroscopiche innestate dallo sviluppo del settore turistico, gli effetti deleteri del blocco economico statunitense, Il modello cinese sembra quindi quello di riferimento per una classe dirigente intenzionata a spremere ulteriormente, ma con efficienza e modernità, il proletariato cubano al quale è vietata ogni forma di organizzazione autonoma in un clima di repressione costante delle varie forme di opposizione culturale e sociale.

max.var

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