Difficile, almeno per me, parlare dell'otto marzo.
Da un lato questa è una data che, come dicono molte donne, ci ha
r8, perché diventata nel corso del tempo una commemorazione
senz'anima, un modo per lavarsi la coscienza, una data rituale.
Però questo giorno ha in sé anche una storia grande,
potente, che racconta alcune tappe del cambiamento che le donne hanno
portato nella società, nel rapporto tra le persone, nel mondo
del lavoro.
L'8 marzo quest'anno compie 100 anni. La data simbolo dell'8 marzo 1908
forse non è storicamente documentata: alcuni storici sostengono
che l'incendio in una fabbrica tessile in cui morirono più di
cento operaie in sciopero non accadde quell'anno, altri che non
accadde a New York, ma a Chicago.
Quando le disquisizioni tecniche prendono il sopravvento è
perché vogliono celare la verità più evidente e
più rivoluzionaria: le donne hanno cominciato a prendere
coscienza di essere vessate non solo come classe operaia e subalterna,
ma anche come donne.
Da allora il movimento delle donne ne ha fatta di strada.
E così dopo 100 anni che hanno visto cambiamenti profondissimi e lotte altrettanto ampie, ci troviamo al presente.
Da due anni il movimento delle donne ha ripreso con forza le sue lotte,
non uscendo dal silenzio perché non le donne non erano mai state
zitte, ma piuttosto uscendo dal particolarismo e riprendendo un
percorso comune di lotta e di confronto.
Il 23 e il 24 febbraio scorso a Roma si è tenuta una grossa
assemblea di femministe e lesbiche che ha discusso strategie di
resistenza e trasformazione del mondo.
Assemblee di donne in tutta Italia hanno preparato questo otto marzo
con lo slogan "Tra la festa, il rito e il silenzio scegliamo la lotta",
promuovendo moltissimi e diverse iniziative, disertando i luoghi in cui
si celebra una festa priva di significato e rituale, perché,
come leggo su uno dei tanti volantini, "le donne sono dappertutto, ma
non dove voi ve le aspettate…".
Per raccontare la situazione di noi donne mi piacerebbe fare un collage
di titoli di giornale, anche solo dell'ultima settimana: una donna
viene brutalmente picchiata sul luogo di lavoro perché aveva
osato reclamare il diritto di andare in bagno, un'altra abortisce dopo
esser stata picchiata dal marito perchè era incinta di una
femmina, una donna di 21 anni rischia la morte per emorragia
perché le avevano praticato un aborto clandestino… e parliamo di
donne rimaste vive, ad altre va molto peggio. Parliamo di donne la cui
storia è stata raccontata: male, parzialmente, mettendo in luce
solo ciò che faceva più comodo, ma comunque la cui storia
può diventare per altre momento di riflessione e far montare la
rabbia.
Così come mi piacerebbe riportare le mille esperienze di lotta
ed auto-organizzazione che in tutto il mondo le donne stanno
realizzando, ma che riescono ad essere lette solo su alcuni siti di
donne.
Non mi piace invece parlare di diritti, di necessità di difendere qualche legge.
Negli ultimi tempi le donne vengono sempre più spesso definite egoiste ed irresponsabili.
Ma questo attacco continuo può trasformarsi in una trappola che
inchioda le donne ad una posizione di difesa permanente, impedendoci di
affrontare altre tematiche.
Perché questa campagna di odio: proviamo a chiedercelo.
Quale paura incutono le donne? Perché ora?
Tutto intorno parla di necessità di ritorno alla famiglia,
facendo leva su temi "morali", ma anche molto pratici quali le
difficoltà economiche in cui tutti ci stiamo dibattendo: ogni
giorno in tv ci insegnano dove e come fare la spesa per far quadrare il
bilancio.
Se si ritorna alla famiglia, se la dimensione pubblica deve far paura,
se si ritorna a vivere dentro le 4 mura (ma quanti ne erano
usciti), allora queste 4 mura devono avere un potere forte. Così
come un potere forte deve esserci all'esterno. Ed ecco che l'ingerenza
dello stato diventa sempre più invasiva: la legge sulla
procreazione assistita, le leggi sugli asili, su tutto. Come se la
legge potesse aiutare. Invece ingabbia, norma, santifica, può
essere utilizzata in modi diversi a seconda delle occasioni.
Proviamo a chiederci se la legge sullo stalking, le quote rosa, sono
davvero modi per vedere tutelati i diritti, o se non sia meglio uscire
dalla gabbia che ci fa credere che le leggi possano tutelare dei
diritti, quando invece sono un pretesto per ridurci a soggetti da
proteggere. Per guardare la vita, donne e uomini, non con gli occhi del
neutro e vedere che il pensiero delle donne, ma anche quello degli
uomini, e il corpo femminile sono tollerati solo quando si rendono
conformi al modello. Modello che riusciremo a frantumare.
R.P.