Umanità Nova, n.9 del 9 marzo 2008, anno 88

Senza stato né legge. 8 marzo: per liberarsi dalle tutele, frantumare i modelli, riprenderci la vita


Difficile, almeno per me, parlare dell'otto marzo.
Da un lato questa è una data che, come dicono molte donne, ci ha r8, perché diventata nel corso del tempo una commemorazione senz'anima, un modo per lavarsi la coscienza, una data rituale. Però questo giorno ha in sé anche una storia grande, potente, che racconta alcune tappe del cambiamento che le donne hanno portato nella società, nel rapporto tra le persone, nel mondo del lavoro.
L'8 marzo quest'anno compie 100 anni. La data simbolo dell'8 marzo 1908 forse non è storicamente documentata: alcuni storici sostengono che l'incendio in una fabbrica tessile in cui morirono più di cento  operaie in sciopero non accadde quell'anno, altri che non accadde a New York, ma a Chicago.
Quando le disquisizioni tecniche prendono il sopravvento è perché vogliono celare la verità più evidente e più rivoluzionaria: le donne hanno cominciato a prendere coscienza di essere vessate non solo come classe operaia e subalterna, ma anche come donne.
Da allora il movimento delle donne ne ha fatta di strada.
E così dopo 100 anni che hanno visto cambiamenti profondissimi e lotte altrettanto ampie, ci troviamo al presente.
Da due anni il movimento delle donne ha ripreso con forza le sue lotte, non uscendo dal silenzio perché non le donne non erano mai state zitte, ma piuttosto uscendo dal particolarismo e riprendendo un percorso comune di lotta e di confronto.
Il 23 e il 24 febbraio scorso a Roma si è tenuta una grossa assemblea di femministe e lesbiche che ha discusso strategie di resistenza e trasformazione del mondo.
Assemblee di donne in tutta Italia hanno preparato questo otto marzo con lo slogan "Tra la festa, il rito e il silenzio scegliamo la lotta", promuovendo moltissimi e diverse iniziative, disertando i luoghi in cui si celebra una festa priva di significato e rituale, perché, come leggo su uno dei tanti volantini, "le donne sono dappertutto, ma non dove voi ve le aspettate…".
Per raccontare la situazione di noi donne mi piacerebbe fare un collage di titoli di giornale, anche solo dell'ultima settimana: una donna viene brutalmente picchiata sul luogo di lavoro perché aveva osato reclamare il diritto di andare in bagno, un'altra abortisce dopo esser stata picchiata dal marito perchè era incinta di una femmina, una donna di 21 anni rischia la morte per emorragia perché le avevano praticato un aborto clandestino… e parliamo di donne rimaste vive, ad altre va molto peggio. Parliamo di donne la cui storia è stata raccontata: male, parzialmente, mettendo in luce solo ciò che faceva più comodo, ma comunque la cui storia può diventare per altre momento di riflessione e far montare la rabbia.
Così come mi piacerebbe riportare le mille esperienze di lotta ed auto-organizzazione che in tutto il mondo le donne stanno realizzando, ma che riescono ad essere lette solo su alcuni siti di donne.
Non mi piace invece parlare di diritti, di necessità di difendere qualche legge.
Negli ultimi tempi le donne vengono sempre più spesso definite egoiste ed irresponsabili.
Ma questo attacco continuo può trasformarsi in una trappola che inchioda le donne ad una posizione di difesa permanente, impedendoci di affrontare altre tematiche.
Perché questa campagna di odio: proviamo a chiedercelo.
Quale paura incutono le donne? Perché ora?
Tutto intorno parla di necessità di ritorno alla famiglia, facendo leva su temi "morali", ma anche molto pratici quali le difficoltà economiche in cui tutti ci stiamo dibattendo: ogni giorno in tv ci insegnano dove e come fare la spesa per far quadrare il bilancio.
Se si ritorna alla famiglia, se la dimensione pubblica deve far paura, se si ritorna  a vivere dentro le 4 mura (ma quanti ne erano usciti), allora queste 4 mura devono avere un potere forte. Così come un potere forte deve esserci all'esterno. Ed ecco che l'ingerenza dello stato diventa sempre più invasiva: la legge sulla procreazione assistita, le leggi sugli asili, su tutto. Come se la legge potesse aiutare. Invece ingabbia, norma, santifica, può essere utilizzata in modi diversi a seconda delle occasioni.
Proviamo a chiederci se la legge sullo stalking, le quote rosa, sono davvero modi per vedere tutelati i diritti, o se non sia meglio uscire dalla gabbia che ci fa credere che le leggi  possano tutelare dei diritti, quando invece sono un pretesto per ridurci a soggetti da proteggere. Per guardare la vita, donne e uomini, non con gli occhi del neutro e vedere che il pensiero delle donne, ma anche quello degli uomini, e il corpo femminile sono tollerati solo quando si rendono conformi al modello. Modello che riusciremo a frantumare.

R.P.

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