Umanità Nova, n.9 del 9 marzo 2008, anno 88

Lottare e non votare


La campagna elettorale da poco iniziata sta fornendo, a nostro avviso, un ritratto assai preoccupante del quadro politico e istituzionale del nostro paese. Sarebbe sufficiente pensare al pretesto con cui il governo Prodi sia effettivamente caduto (dimissioni del ministro Mastella e conseguente ritiro dell'Udeur dalla maggioranza governativa come rappresaglia alle indagini a carico della signora Mastella, presidente del consiglio regionale campano) per comprendere l'infimo livello etico e politico raggiunto dalla classe dirigente italiana che oggi si ripropone agli elettori per governare un paese sotto molti aspetti ormai allo stremo. Ma a giudicare dai lineamenti assunti negli ultimi mesi dal panorama partitico e istituzionale, abbiamo ragione di credere che qualcosa è davvero cambiato e, se mai fosse possibile, addirittura in peggio.
Ci siamo già espressi sul Partito democratico, su Veltroni e sull'operazione sottesa alla nascita di questo mostro politico, frutto dell'unione malsana tra il peggio della cultura democristiana e il peggio della cultura comunista del defunto Pci. Ma se fino a qualche tempo fa il Pd si era spacciato come nuova forza propulsiva all'interno della ben conosciuta cornice del Centrosinistra intesa come alleanza politico-elettorale, il piccolo terremoto politico successivo alla caduta del governo ha svelato gli inquietanti propositi autoritari di questo partito che, a partire dallo sterile dibattito sulla necessità della riforma della legge elettorale per cambiare il volto istituzionale del paese, si candida come unico referente non solo e non tanto del classico elettorato di Centrosinistra ma, soprattutto, come soggetto rappresentativo degli interessi dell'elettorato di centro e, addirittura, di quello di destra. Non è quindi casuale che il Pd stia orgogliosamente candidando tra le proprie file tutto e il contrario di tutto: dall'operaio della Thyssenkrupp al presidente di Federmeccanica, dal prefetto Serra al generale Del Vecchio, a dimostrazione della volontà di superare – con un'attitudine corporativa ed egemonica – gli steccati culturali e politici che pur esistevano tra destra, centro e sinistra, tra conservatorismo e riformismo, tra progresso e reazione. Veltroni è stato chiaro: il Pd non si riconosce nella lotta di classe né può più considerarsi un partito di sinistra, perché non c'è più bisogno di distinguere in questo senso. L'unica priorità è voltare pagina, come si legge nei manifesti elettorali del partito, e – quindi – cambiare il paese. La direzione del cambiamento può conciliarsi con gli interessi di Veltroni solo se si tiene presente che tutto lo scontro politico deve ridursi a due grandi soggetti in gara, il Pd – per l'appunto – e il Popolo della Libertà di Berlusconi e Fini. Tanto che Veltroni e Berlusconi sono oggi più che mai uguali e speculari nel loro appello a non disperdere le preferenze elettorali con il "voto inutile" dato ai partiti più piccoli, siano essi di destra o di sinistra. Anche questa posizione ci mette in allarme. Mai, nella storia dell'Italia repubblicana, una campagna elettorale si era caratterizzata per una delegittimazione degli avversari giocata su un piano tecnico-politico. Vale a dire che nel panorama politico della cosiddetta prima repubblica, non ci si sarebbe mai sognati di dire che un voto al Psdi o al Pri – giusto per fare un esempio di vecchie formazioni "piccole" – sarebbe stato un voto inutile o sprecato. La battaglia politica e ideologica, seppur apparentemente aspra, si combatteva su una comune condivisione della rappresentanza parlamentare come ambito legittimo del gioco democratico attraverso le elezioni e la libera espressione delle differenti opzioni politiche. Tutto questo era possibile non solo perché la generale caratura della classe dirigente italiana era senz'altro superiore a quella degli impresentabili politici di oggi, ma anche in virtù di un sistema elettorale (di tipo proporzionale) che si confaceva perfettamente al sistema politico e partitico dell'Italia del dopoguerra. Un pluralismo parlamentarista che garantiva a tutti piena legittimità e cittadinanza nell'arena politica. Negli anni a venire, la corsa al bipartitismo (figlia di un proverbiale provincialismo tutto italiano) ha poi dato origine a un bipolarismo assolutamente ridicolo, sostenuto da leggi elettorali ibride e mal congegnate che, in ogni caso, hanno garantito l'esistenza di un pluralismo che non è soltanto il prodotto di una volontà di garantire poteri e poltrone, ma è lo specchio di una tradizionale frammentazione culturale che appartiene al codice genetico dell'Italia. Oggi, la volontà di imporre un modello perfettamente bipartitico accomuna Pd e PdL nel tentativo di egemonizzare la campagna elettorale per veicolare un principio autoritario e fortemente antidemocratico. D'altra parte, il patto di ferro tra Berlusconi e Fini – che dovrebbe portare, in prospettiva, alla piena confluenza di Alleanza nazionale nel nuovo soggetto politico, a dimostrazione del fatto che i fascisti sono da sempre i servi sciocchi di ogni potere – offre un esempio indicativo di come la destra italiana confermi la propria indole autoritaria e populista incarnata da Berlusconi e Fini, sempre pronti a fornire ricette a base di sicurezza, controllo sociale, repressione e sostegno alle imprese e al padronato. Esattamente tutto ciò di cui parla Veltroni nel suo programma.
Questa identità di vedute tra Pd e PdL su molti temi della campagna elettorale fa sì che i toni siano in generale meno virulenti e avvelenati del solito, almeno per il momento. Ma davvero Veltroni e Berlusconi pensano di poter rappresentare l'intero quadro politico italiano?
Veniamo ai cosiddetti piccoli, allora. Casini – orfano della Casa delle Libertà – prosegue la sua interlocuzione con la Rosa bianca di Pezzotta in un'operazione che ha senz'altro una sua ragion d'essere per dare vita a un centro democristiano che soddisfi le esigenze di un elettorato moderato che non si riconosce nel PdL né, tanto meno, nel Pd. Scorrendo l'arco parlamentare, la Sinistra arcobaleno si propone come l'ala dura e pura della sinistra cosiddetta radicale, quella di lotta e di governo, quella che cerca la poltrona e scende in piazza, quella che è contro le guerre ma vota le missioni militari, quella che è antirazzista ma istituisce i centri di permanenza temporanea, e così via. Talmente alternativi a quei "rinnegati" del Pd che, in Sicilia, ci si sono alleati. Infine, neanche il tempo di ricomporre quindici anni di diaspora socialista che il neonato e ricostituito (forse definitivamente) Partito socialista non sa che pesci prendere: il Pd non li ha voluti tra i piedi e la "cosa rossa" è per loro improponibile. Correranno da soli ma non si sa bene dove andranno a finire. Dalla parte opposta, la chincaglieria fascista de La Destra di Storace e della Fiamma tricolore candida quella gran signora della Santanchè la quale chiede a gran voce sicurezza, controllo sociale e repressione un po' come fa la Lega Nord (che sostiene, fedelissima, Berlusconi) con la variante della castrazione chimica per i pedofili. Un'opzione che, d'altronde, Veltroni ha dichiarato di prendere in considerazione, non sia mai che fallisca il suo tentativo di superare a destra chiunque intralci la sua corsa al potere. Al momento, ciascuno è libero di diffondere la propria propaganda, avocando a sé il diritto esclusivo di rappresentare gli interessi del popolo italiano e, nello specifico, di intercettare le esigenze di chi si riconosce in una certa visione della società e dei suoi problemi.
Ma, detto questo, ci pare assai difficile che il Pd o il PdL riescano, da soli, ad assicurarsi la maggioranza assoluta delle preferenze e quindi, come nella più consolidata tradizione italiana, è assai probabile che il dopo-elezioni si caratterizzerà per il classico balletto delle interlocuzioni, delle alleanze, degli appoggi esterni o interni, proprio come si faceva nell'Italia del quadripartito o del pentapartito.
Quello che resta, nell'atmosfera pestifera di questa campagna elettorale, è l'inquietante sensazione che tutti – da destra a sinistra – vogliano "mettere ordine" in un paese la cui deriva economica e sociale è stata causata proprio da loro. Ma sappiamo bene che quando l'ordine viene agitato in maniera così insistente e pretestuosa come argomento forte di un dibattito politico è necessario stare all'erta per controllare le pulsioni autoritarie che già da tempo battono nel ventre molle del sistema.
Noi, che siamo da sempre irriducibili e incompatibili a ogni potere e a ogni gerarchia, non possiamo che riproporre la scelta astensionista come unica risposta sensata all'orripilante teatrino della politica istituzionale. Una scelta che resta valida non certo perché le cose sembrano andare peggio di prima, ma perché rappresenta una premessa essenziale per un altro modo di concepire i rapporti sociali e l'organizzazione della vita collettiva e individuale, lontano anni luce dai trasformismi di Mastella, dall'inquietante autoritarismo di Veltroni, dalla miseria politica di Berlusconi, dall'insostenibile ipocrisia di Bertinotti, dalla volgare ottusità di Bossi o dalla retorica ambiguità di Casini. Bisogna cambiare il paese e voltare pagina, è vero. Bisogna lottare e non votare.

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