Una decina di anni fa il sociologo francese Alain Ehrenberg (direttore
del gruppo di ricerca "Psychotropes, Politique, Société"
del CNR d'Oltralpe), ha pubblicato un testo molto interessante, "La
fatica di essere se stessi" che cerca d'indagare sul rapporto "tra
depressione e società". Ehrenberg mostra come quella che viene
chiamata "depressione" è strettamente collegata alla dinamiche
sociali della nostra epoca. "Negli anni quaranta la depressione non era
che una sindrome associata a molte malattie mentali. Negli anni
settanta la psichiatria dimostrò che si trattava del disturbo
mentale più diffuso nel mondo. In anni più recenti essa
ha raggiunto una diffusione tale che la si ritiene responsabile della
maggior parte delle difficoltà che incontriamo nella vita
quotidiana: stanchezza, inibizione, insonnia, ansia, sarebbero tutte
causate da questa 'malattia'". Incrociando le problematiche del sapere
medico con l'analisi degli stili di vita, Ehrenberg suggerisce che la
depressione è strettamente legata a una società come
quella contemporanea, dove le norme della convivenza civile non sono
più fondate sui concetti di appartenenza alla comunità,
ma sulla responsabilità e sullo spirito d'iniziativa che sono
richieste dai nuovi mutamenti economici, in particolare a quelli legati
al mercato del lavoro (in cui, mentre si spezzano le forme tradizionali
di organizzazione e resistenza dei lavoratori, a questi viene richiesto
non solo di eseguire i propri compiti, ma di farlo anche con
convinzione e con "creatività"). In un contesto in cui
l'individuo è schiacciato dalla necessità di mostrarsi
sempre all'altezza, la depressione non è che la contropartita
delle grandi riserve di energia che ciascuno di noi deve spendere per
soddisfare le aspettative della "competizione sociale": "la fatica di
essere se stessi" è quella che vive l'individuo che deve
adeguare la propria vita al sistema produttivo. Non ci sono più
i conflitti sociali che permettono alle persone di riconoscersi come
membri di comunità fondate sui desideri e sui bisogni comuni e a
chi non riesce ad avere successo secondo i modelli imposti dai
"paradigmi della pubblicità" (che descrivono un mondo illusorio
popolato da ricchi e brillanti) rimangono solo i frutti della "ricerca
farmacologica" e, soprattutto, "la democratizzazione delle nevrosi
legate al risentimento". Secondo Ehrenberg viviamo in "una vera e
propria cultura del risentimento, in cui i singoli individui dissipano
grandi energie nel rincorrere mete irraggiungibili, con la conseguenza
di accumulare frustrazioni e rancore". E, mentre "le istituzioni si
mostrano incapaci di uscire da logiche meccaniche imposte dalla
crescente complessità dell'economia", si diffonde a livello
sociale "il rancore" a cui neanche "il consumo compulsivo" riesce a
fare da palliativo. È un rancore che sostituisce la rabbia che
un tempo veniva indirizzata contro i padroni e i governanti e che viene
sapientemente indirizzata dall'apparato mediatico contro altri "popoli"
(basta pensare alla lista degli "stati canaglia" che viene
periodicamente compilata dalla Casa Bianca), ma anche contro tutta una
serie di figure sociali marginali (di volta in volta l'immigrato, il
drogato, il malato di mente, l'ultrà del calcio, il graffitista
etc) che diventano bersaglio di odio e di paura. E lo Stato è
lesto a raccogliere questo clima di paura con azioni di polizia e leggi
che colpiscono direttamente persone che non hanno altra colpa se non
quella di non essere conformi al modello antropologico dominante.
La "democratizzazione del rancore" può essere utile per capire
perché, mentre tutti i dati e le statistiche dimostrano che i
reati più gravi sono in diminuzione (gli omicidi negli ultimi
anni sono stati meno in termini assoluti – non percentuali! – di quelli
registrati negli anni '60 dell'Ottocento, quando Firenze era la
capitale del Regno d'Italia che non comprendeva ancora il Lazio e le
Venezie...), al tempo stesso "la paura della delinquenza" sembra essere
un sentimento dominante del nostro tempo.
Gli italiani naturalmente hanno tutti i buoni motivi per essere
arrabbiati e avere paura. Sono sempre più poveri (secondo un
recente rapporto dell'Eurispes, solo dal 2002 ad ora i salari dei
lavoratori dipendenti hanno perso il 35% del proprio potere
d'acquisto). Sono sempre più malati e avvelenati (nonostante i
progressi della medicina, le morti da tumore sono in aumento per
effetto delle patologie legate all'inquinamento). Sono sempre
più tartassati (le diminuzione delle imposte indirette per i
ricchi vengono ripagate dall'aumento delle imposte indirette su IVA,
tariffe, tasse etc). Devono decidere se rassegnarsi a vivere tra
montagne di immondizia o a immettersi l'immondizia direttamente nei
polmoni termovalorizzata nell'aria. Etc etc (l'elenco dei buoni motivi
per essere arrabbiati e avere paura è troppo lungo e triste per
essere riportato per l'ennesima volta qui).
I media di regime rispondono a queste paure reali con degli allarmi
inventati che fanno diventare senso comune la propaganda fascista e
leghista per cui il pericolo sono "i diversi", quelli che vengono da
altri paesi, coloro che non si rassegnano a fare una vita che ha come
unica regola produci-consuma-crepa. E i politici di tutti i colori si
accodano. In fin dei conti, se con una buona operazione di lavaggio del
cervello, riesci a far credere che i rom sono la causa di tutti i mali
del mondo, è molto più facile sgomberare un campo nomadi
che aumentare gli stipendi o abbattere le sostanze inquinanti...
Chi ha abbastanza stomaco da seguire la tristissima campagna elettorale
in corso, sa quanto le tematiche securitarie siano al centro dei
programmi-fotocopia del Pd e del Pdl che danno entrambi il massimo
rilievo appunto alla "sicurezza". Se Berlusconi promette che
costruirà nuovi CPT "per la difesa dei cittadini" che si
appresta a bombardare con le particelle radioattive delle centrali
nucleari che costruirà a tempo di record, la proposta del Pd
contro la pedofilia è l'apoteosi di questa vomitevole rincorsa a
"più polizia e più galera". È stata illustrata
personalmente da Veltroni in una conferenza stampa per presentare una
proposta di legge a camere sciolte. Nella proposta di legge virtuale
del Pd si prevede che la violenza sessuale nei confronti dei minori
possa essere punita sino a 20 anni, ridotti a 18 se la vittima è
un minore tra i 10 e i 14 anni. Non va dimenticato che la violenza
è sempre presunta. Per cui rischia una pena carceraria infinita
anche il ragazzino di 15 anni che fa l'amore con la ragazzina di 13.
Persino la castrazione chimica, l'ex buonista Veltroni non l'ha
esclusa. Ha detto soltanto che non ne è dimostrata l'efficacia.
Quattro anni fa Valter si indignò come tutti gli altri politici
dell'allora opposizione di centro-sinistra di fronte alla proposta
dell'allora ministro delle riforme Calderoli. Oggi è pronto a
far capire agli elettori di essere pronto ad usare anche la castrazione
chimica (ma se verranno trovati dei sistemi "efficaci"). I pedofili
violenti, per fortuna, esistono nelle luride fantasie di chi scrive i
copioni dei telegiornali molto più che nella realtà, ma,
come ha scritto l'associazione Antigone, "conta la promessa di mano
dura, non la prevenzione effettiva di violenze nei confronti dei
minori. In questo modo ci verrà restituita una società
dove nessuno avrà più fiducia nell'altro, dove non
potremo più accarezzare innocentemente un bambino su un
autobus". Promettere di colpire uno dei crimini più odiosi serve
a conquistare le simpatie degli elettori a colpa di rancore
"democratico"...
Alla fine tutti questi allarmi inventati si trasformano, però,
in carceri vere piene di uomini veri e di donne vere che scontano
sofferenze vere per soddisfare la fame di capri espiatori di una
società incapace di curare sé stessa. In questi giorni
sono stati diffusi i dati di un'inchiesta sulla situazione carceraria
negli Stati Uniti, il paese dove per primo a partire dagli anni '80 di
Reagan s'è diffusa la barbarie della "tolleranza zero". Una
ricerca realizzata dal Pew research center - uno dei più
autorevoli istituti di ricerca statistica statunitensi - ci spiega che
le persone in carcere sono aumentate di 25mila unità nel 2007,
arrivando a un milione e 600mila nelle galere federali e a 726mila
nelle "county jail" le carceri gestite da sceriffi e giudici locali. In
totale 2 milioni e 326 persone: in pratica, per la prima volta nella
storia degli Stati Uniti l'1 per cento dei cittadini americani adulti
vive in cella. Naturalmente i poveri ci vivono di più: un
ispanico adulto su 36 e un afroamericano su 15 è galeotto - uno
su nove tra i neri tra i 20 e i 35. Il sistema carcerario, peraltro, ha
dei costi enormi: un impiegato statale su nove lavora per il sistema
penitenziario e che i costi per questa grande galera siano tali da non
essere più sostenibili - il 7% dei bilanci dei singoli Stati, la
voce più cara dopo sanità, scuola e trasporti. I costi
sono aumentati del 127% rispetto al 1987, arrivando a 44 miliardi di
dollari. Dallo stesso anno il numero di carcerati è quasi
triplicato. La ricerca sottolinea che gli Stati Uniti sono primatisti
delle incarcerazioni sia come numeri globali che come flusso di nuovi
prigionieri. La popolazione carceraria Usa di 2,3 milioni di adulti
è la più alta del pianeta, seguita da 1,5 milioni di
detenuti in Cina (dove il numero degli abitanti è però
molte volte superiore) e da 890.000 detenuti in Russia. "L'America
è il leader globale nel ritmo di incarcerazione dei suoi
cittadini, molto più rapido di paesi come il Sudafrica e
l'Iran", afferma lo studio.
Con i politici italiani che fanno la gara a chi è più
"americano" dell'altro, c'è poco da stare tranquilli anche per
il nostro futuro...
robertino