Umanità Nova, n.9 del 9 marzo 2008, anno 88

Né con il Vaticano né con la Cgil. Sommosse femministe


Sotto il segno delle donne stanno accadendo strani "sommovimenti".
Il 23 e 24 febbraio infatti si è tenuta a Roma un'assemblea molto importante per il movimento femminista, da subito chiamata con l'acronimo FLAT: Femministe e Lesbiche Ai Tavoli.
Spiegarne la denominazione è spiegarne la provenienza e la storia.
La storia.
Il 24 novembre è autoconvocata una grande manifestazione "separatista" - circa 150mila presenze - contro la violenza maschile ai danni delle donne: una risposta all'assassinio di Giovanna Reggiani e di opposizione antirazzista all'immediata approvazione del "pacchetto sicurezza" governativo. In quell'occasione, lo ricorderete, la cacciata delle Ministre e delle donne "istituzionali" fu oggetto di aspra polemica e presa di distanza da parte delle solite donne "di apparato" (poco importa distinguerne il posizionamento politico, ma in maggioranza Pd), messe di fronte al fatto compiuto che le donne, eh si, non erano minorenni e non delegavano a nessuna e nessuno la propria giustificata rabbia e volontà di autodeterminazione. Tenete a mente questo episodio perché tornerà utile alla comprensione del seguito.
Facendo un molto opportuno utilizzo dell'intelligenza, il neo-ritrovato o neo-nato (come volete, a seconda della vostra origine, storia, età) movimento femminista dribbla velocemente una troppo enfatizzata discussione sul senso della scelta "separatista" del corteo e si accinge a ri-unirsi nel weekend di febbraio, appena pochi giorni fa.
Perché nominarsi "femministe e lesbiche" e non semplicemente "donne"? Se lo chiedono in molte, tra le quali con punta polemica e eccessivamente professorale Ida Dominijanni su Il Manifesto. Per il buon motivo che nominarsi significa resistere a chi vorrebbe spegnere una presenza "eccentrica", contraria a quella che il pensiero lesbico definisce "istituzione obbligatoria dell'eterosessualità".
Le eterosessuali, d'altra parte, non ci stanno ad essere "donne", se questo significa annullare il portato di resistenza e non collaborazione a "comandamenti" vaticani o a ingerenze elettorali sulla propria libertà. Nominarsi le une e le altre in ciò che non le differenzia ma le unisce, ovvero in questo eccedere la norma imposta da Stato e Chiesa, è certamente accettare la preoccupazione di cui parla Teresa De Lauretis a proposito del termine "queer": qualcosa che non definisca lesbismo ed eterosessualità come i negativi l'uno dell'altra, ma ne valorizzi positivamente percorsi e teorie originarie. Nominarsi è anche il primo passo implicito del tentativo di superare la frammentazione della soggettività femminista alla quale, purtroppo, siamo abituate fin troppo bene e da tempo lontanissimo.
La due giorni è stata preparata mesi prima attraverso la libera espressione e il libero confronto in una partecipatissima mailing list, chiamata "sommosse", nella quale si sono confrontate singole donne, collettivi femministi, centri antiviolenza, sindacaliste, donne di partito. Tutta la galassia che ha volto lo sguardo verso quell'appuntamento, divenuto immediatamente centrale per la ripresa di una narrazione fino a quel momento a patchwork.
Ma accade qualcosa di inaspettato: la grande maggioranza delle intervenute si dichiara contraria alla presenza strumentale di partiti all'interno della FLAT, in particolare dei centrosinistri responsabili di guerre e politiche familiste e sessiste. Il confronto diventa scontro, e riemergono le stesse ammonizioni e recriminazioni sulla violenza (!?) usata da alcune manifestanti ai danni di povere donne Ministro. La polemica è aspra ma nessuna fa un passo indietro. La consapevolezza di giocarsi molto del proprio futuro è grande così come quella di avere una chance irripetibile per affermare una soggettività autonoma ed autodeterminata: è grande soprattutto la consapevolezza di essere in piena campagna elettorale, che si distingue per gli accesi toni medioevali intorno alla sessualità e al suo controllo.
Si giunge all'assemblea FLAT, nella quale si trovano a discutere 400 donne, in buona parte giovani e giovanissime, che si uniscono ai tavoli tematici per poi stilare un documento finale. Nell'ultimo paragrafo l'assemblea si dichiara indisponibile ad accettare strumentalizzazioni partitiche e elettorali individuandone un esempio concreto nella convocazione del comizio nazionale della triplice confederale proprio l'8 marzo, giustificato da un improbabile e antistorico "centenario della festa della donna".
Inutile soffermarsi, credo, sul senso di convocare il "comizio" dei padri-padroni della triplice – tutti e tre maschietti – prima dell'inizio di un'assemblea nazionale autoconvocata dalle femministe. Ricordate la rabbia per la "violenta" cacciata delle Ministre? Non vi pare una risposta bella e pronta per depotenziare la spinta radicale di pratiche e contenuti del movimento femminista?
Potete immaginarvi l'indignazione e la rabbia in Cgil. Parte all'attacco Susanna Camusso, segreteria gen. Cgil Lombardia, con una lettera vittimistica e noiosa, che al di là delle edulcorate parole di moderazione concretamente accusa di settarismo il movimento lesbo-femminista. Le risponde una giovane militante "flat" ma in realtà la sua lettera parla a voce di tutte le lesbiche e femministe che l'hanno sostanzialmente condivisa nella lista di discussione, e le risponde per le rime, affermando che "la nostra radicalità è necessaria e per nulla strategica" e sostenendo che "il conflitto è salutare anche quando non è compreso".
Nel documento finale dell'assemblea si propone un 8 marzo di lotta autoconvocato nelle piazze di ogni città con lo slogan: tra la festa, il rito e il silenzio noi scegliamo la lotta!.
La conclusione è l'inizio di una avventura che speriamo duratura e conflittuale, e le premesse si trovano nel calendario delle prossime iniziative e campagne, tra le quali spicca per concretezza e radicalità la campagna Obiettiamo gli Obiettori che creerà non pochi problemi a chi straparla di 194, sia a destra che a sinistra.

magù

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