Sotto il segno delle donne stanno accadendo strani "sommovimenti".
Il 23 e 24 febbraio infatti si è tenuta a Roma un'assemblea
molto importante per il movimento femminista, da subito chiamata con
l'acronimo FLAT: Femministe e Lesbiche Ai Tavoli.
Spiegarne la denominazione è spiegarne la provenienza e la storia.
La storia.
Il 24 novembre è autoconvocata una grande manifestazione
"separatista" - circa 150mila presenze - contro la violenza maschile ai
danni delle donne: una risposta all'assassinio di Giovanna Reggiani e
di opposizione antirazzista all'immediata approvazione del "pacchetto
sicurezza" governativo. In quell'occasione, lo ricorderete, la cacciata
delle Ministre e delle donne "istituzionali" fu oggetto di aspra
polemica e presa di distanza da parte delle solite donne "di apparato"
(poco importa distinguerne il posizionamento politico, ma in
maggioranza Pd), messe di fronte al fatto compiuto che le donne, eh si,
non erano minorenni e non delegavano a nessuna e nessuno la propria
giustificata rabbia e volontà di autodeterminazione. Tenete a
mente questo episodio perché tornerà utile alla
comprensione del seguito.
Facendo un molto opportuno utilizzo dell'intelligenza, il neo-ritrovato
o neo-nato (come volete, a seconda della vostra origine, storia,
età) movimento femminista dribbla velocemente una troppo
enfatizzata discussione sul senso della scelta "separatista" del corteo
e si accinge a ri-unirsi nel weekend di febbraio, appena pochi giorni
fa.
Perché nominarsi "femministe e lesbiche" e non semplicemente
"donne"? Se lo chiedono in molte, tra le quali con punta polemica e
eccessivamente professorale Ida Dominijanni su Il Manifesto. Per il
buon motivo che nominarsi significa resistere a chi vorrebbe spegnere
una presenza "eccentrica", contraria a quella che il pensiero lesbico
definisce "istituzione obbligatoria dell'eterosessualità".
Le eterosessuali, d'altra parte, non ci stanno ad essere "donne", se
questo significa annullare il portato di resistenza e non
collaborazione a "comandamenti" vaticani o a ingerenze elettorali sulla
propria libertà. Nominarsi le une e le altre in ciò che
non le differenzia ma le unisce, ovvero in questo eccedere la norma
imposta da Stato e Chiesa, è certamente accettare la
preoccupazione di cui parla Teresa De Lauretis a proposito del termine
"queer": qualcosa che non definisca lesbismo ed eterosessualità
come i negativi l'uno dell'altra, ma ne valorizzi positivamente
percorsi e teorie originarie. Nominarsi è anche il primo passo
implicito del tentativo di superare la frammentazione della
soggettività femminista alla quale, purtroppo, siamo abituate
fin troppo bene e da tempo lontanissimo.
La due giorni è stata preparata mesi prima attraverso la libera
espressione e il libero confronto in una partecipatissima mailing list,
chiamata "sommosse", nella quale si sono confrontate singole donne,
collettivi femministi, centri antiviolenza, sindacaliste, donne di
partito. Tutta la galassia che ha volto lo sguardo verso
quell'appuntamento, divenuto immediatamente centrale per la ripresa di
una narrazione fino a quel momento a patchwork.
Ma accade qualcosa di inaspettato: la grande maggioranza delle
intervenute si dichiara contraria alla presenza strumentale di partiti
all'interno della FLAT, in particolare dei centrosinistri responsabili
di guerre e politiche familiste e sessiste. Il confronto diventa
scontro, e riemergono le stesse ammonizioni e recriminazioni sulla
violenza (!?) usata da alcune manifestanti ai danni di povere donne
Ministro. La polemica è aspra ma nessuna fa un passo indietro.
La consapevolezza di giocarsi molto del proprio futuro è grande
così come quella di avere una chance irripetibile per affermare
una soggettività autonoma ed autodeterminata: è grande
soprattutto la consapevolezza di essere in piena campagna elettorale,
che si distingue per gli accesi toni medioevali intorno alla
sessualità e al suo controllo.
Si giunge all'assemblea FLAT, nella quale si trovano a discutere 400
donne, in buona parte giovani e giovanissime, che si uniscono ai tavoli
tematici per poi stilare un documento finale. Nell'ultimo paragrafo
l'assemblea si dichiara indisponibile ad accettare strumentalizzazioni
partitiche e elettorali individuandone un esempio concreto nella
convocazione del comizio nazionale della triplice confederale proprio
l'8 marzo, giustificato da un improbabile e antistorico "centenario
della festa della donna".
Inutile soffermarsi, credo, sul senso di convocare il "comizio" dei
padri-padroni della triplice – tutti e tre maschietti – prima
dell'inizio di un'assemblea nazionale autoconvocata dalle femministe.
Ricordate la rabbia per la "violenta" cacciata delle Ministre? Non vi
pare una risposta bella e pronta per depotenziare la spinta radicale di
pratiche e contenuti del movimento femminista?
Potete immaginarvi l'indignazione e la rabbia in Cgil. Parte
all'attacco Susanna Camusso, segreteria gen. Cgil Lombardia, con una
lettera vittimistica e noiosa, che al di là delle edulcorate
parole di moderazione concretamente accusa di settarismo il movimento
lesbo-femminista. Le risponde una giovane militante "flat" ma in
realtà la sua lettera parla a voce di tutte le lesbiche e
femministe che l'hanno sostanzialmente condivisa nella lista di
discussione, e le risponde per le rime, affermando che "la nostra
radicalità è necessaria e per nulla strategica" e
sostenendo che "il conflitto è salutare anche quando non
è compreso".
Nel documento finale dell'assemblea si propone un 8 marzo di lotta
autoconvocato nelle piazze di ogni città con lo slogan: tra la
festa, il rito e il silenzio noi scegliamo la lotta!.
La conclusione è l'inizio di una avventura che speriamo duratura
e conflittuale, e le premesse si trovano nel calendario delle prossime
iniziative e campagne, tra le quali spicca per concretezza e
radicalità la campagna Obiettiamo gli Obiettori che
creerà non pochi problemi a chi straparla di 194, sia a destra
che a sinistra.
magù