Venerdì 7 marzo le strade di Vienna sono state percorse da
allegro e combattivo corteo organizzato dall'associazione
internazionale antiproibizionista Encod (e a cui hanno partecipato
centinaia di attivisti antipro provenienti da tutta Europa. Per
l'Italia erano presenti MDMA e LiberiTutti/Canapisa Crew) ha
attraversato le vie del centro ed ha raggiunto la sede delle Nazioni
Unite per dire basta all'inutile, crudele e dispendiosa War On Drugs.
Dal 10 al 14 marzo si sono riuniti, infatti, nella capitale austriaca i
delegati di 53 governi che compongono la Cnd, - la Commissione
internazionale sugli stupefacenti -, per discutere dei
«progressi» fatti nella ultradecennale lotta globale alle
droghe ed in particolare per "avviare la valutazione" della strategia
politica mondiale approvata dall'assemblea generale Onu di New York nel
1998 quando, durante la Sessione speciale sulle droghe dell'Assemblea
generale dell'Onu per valutare l'impatto delle politiche di lotta agli
stupefacenti in vigore dal 1961, il governo statunitense era riuscito a
imporre di prolungare la strategia di «guerra mondiale alla
droga» per altri 10 anni, con l'esplicito obiettivo di
«eliminare o ridurre sensibilmente produzione, commercio e
traffico di sostanze psicotrope nel mondo». Il 2008 è
arrivato e di riduzione o di eliminazione dell'offerta di sostanze
illecite non se ne vede traccia e così il vero appuntamento di
verifica dei dieci anni di azioni globali contro la droga è
stato rimandato al 2009, quando, sempre a Vienna, si decideranno
criteri e modalità di valutazione dei risultati raggiunti
nell'ultimo decennio, oltre che la linea politica in materia di
controllo internazionale del fenomeno delle droghe. Già ora,
comunque, le cifre dei report annuali sulla produzione e consumo di
droghe, comprese quelle dell'ultimo World drugs report 2007 confermano
spietatamente il fallimento della strategia di lotta portata avanti
dall'ONU. Dal 1998 la produzione globale di droghe [cannabis, cocaina,
anfetaminici] è cresciuta, mentre quella di oppio ha addirittura
raggiunto livelli record dopo l'invasione dell'Afganistan e la fine del
potere talebano nel paese, in particolare nelle province meridionali.
Allo stesso modo, la maggior parte della coltivazione globale di coca
si è concentrata in Colombia, Bolivia e Perù. La
strategia applicata è stata in tutti i casi quella di tentare
con la forza l'eradicazione delle coltivazioni attraverso misure
repressive e militari. Il progetto – costato 70 miliardi di euro l'anno
di soldi pubblici – di eliminare su tutto il pianeta la produzione
delle sostanze proibite avrebbe dovuto vedere nel 2008 "il mondo libero
dalla droga" (secondo lo slogan coniato all'epoca dall'allora
presidente USA Bill Clinton), ma qualcosa non ha funzionato. Nel '98
gli USA proprio per "liberare" il mondo dalle droghe diedero vita al
famigerato Plan Colombia con lo scopo di stroncare o, quantomeno,
ridurre fortemente la produzione di cocaina, soprattutto attraverso
l'azione dei reparti militari appositamente addestrati
nell'individuazione e distruzione dei laboratori clandestini,
altrochè nella fumigazione delle piantagioni scoperte. Gli Stati
Uniti, dopo aver direttamente provveduto all'addestramento dei reparti
militari speciali colombiani, hanno continuato, anno dopo anno, ad
elargire al governo della Colombia un'enorme quantità di denaro
(in tutto circa 12.000 miliardi delle vecchie lire), nonostante il Plan
Colombia stesse chiaramente andando incontro al risultato opposto a
quello ufficialmente perseguito: secondo i dati dell'Onu, la produzione
colombiana di cocaina è, infatti, passata dalle 326 tonnellate
del 1998 a 610 tonnellate nel 2006. Se prima che il Piano intervenisse
la Colombia produceva il 40% della cocaina mondiale, dopo sette anni di
sviluppo del Piano è giunta a produrne circa il 70%. Intanto,
l'esercito colombiano è diventato il più potente della
regione: da sole le forze armate di Uribe contano un numero di
effettivi maggiore di quelle di Bolivia, Ecuador e Venezuela messi
insieme.
Per anni gli uffici dell'ONU hanno cercato di nascondere il fallimento
del Plan Colombia: con il Report del 2005, l'Onu si era spinto oltre
ogni limite di credibilità, affermando che nel 2004 su 687
tonnellate di cocaina prodotte a livello mondiale, ben 588 (cioè
l'86%!) erano state sequestrate. Il 15 giugno dell'anno successivo
l'associazione Libera ha denunciato pubblicamente l'assurdità di
queste percentuali ed un mese e mezzo dopo il nuovo Report dell'Onu ha
"corretto" da 687 a 937 tonnellate (!) la stima della produzione
mondiale di cocaina e, con uno stratagemma contabile, ha "ridotto" da
588 a 356 le tonnellate di cocaina sequestrata.
Inoltre, fino a poco tempo fa si è voluto far credere che la
produzione mondiale di cocaina fosse inferiore alle 700 tonnellate poi,
qualche mese fa, l'Onu ha ammesso che essa è superiore a 1.000
tonnellate (e peraltro da una recentissima ricerca dell'autorevole
TransNational Institute di Amsterdam emerge una produzione di 1.500
tonnellate). La situazione non è molto diversa in Afganistan: la
produzione, di fatto, come si legge anche nel recente rapporto
dell'UNODC (United Nations Office on Drugs and Crime), diretto
dall'italiano Antonio Costa, è raddoppiata negli ultimi due anni
e in Afganistan si produce il 90% dell'oppio mondiale. per poi
riversarsi sotto forma di eroina sui mercati internazionali. Il
fallimento delle strategie applicate hanno portato l'Unodc a rivedere
la terminologia, passando ora a porsi come obiettivo per i prossimi
anni il «contenimento» del fenomeno droghe al posto della
«significativa riduzione» immaginata nel 1998. Questo
cambio di obiettivo in corso d'opera è alla base delle
dichiarazioni trionfalistiche di Costa, che ha difeso l'operato
dell'agenzia «vantando» una sostanziale stabilità
nella produzione e nel consumo, stabilità anch'essa posta in
discussione dalle conclusioni presentate da numerosi enti indipendenti.
In tal senso vanno i dati contenuti nella relazione dell'Osservatorio
europeo sulle Droghe, che nel Report 2007 lancia un preciso allarme: i
consumi aumentano in maniera costante e le morti per overdose sono
cresciute sensibilmente nell'ultimo anno.
In questa situazione le proposte delle agenzie dell'ONU presentate a
Vienna si muovono tra il ridicolo e il tragico. Se Costa, ha denunciato
il lassismo delle autorità di fronte alle celebrità che
si drogano e che in questo modo inviano un messaggio sbagliato ai
giovani ed ha invitato i giudici ad essere più severi con le
star del cinema e della musica pop che consumano sostanze proibite,
l'altra agenzia ONU, l'Incb (International Narcotic Control Board) ha
condannato la Bolivia perché non persegue l'uso tradizionale
della foglia di coca (e tace sui paesi che applicano la pena di morte)
ed ha chiesto di chiudere le stanze del consumo (tacendo sulla
richiesta dell'Oms di distribuire siringhe pulite in carcere). Secondo
l'Incb in questo momento la strategia primaria è mettere fine ai
programmi di riduzione del danno. Il direttore dell'International
Narcotics Control Board ha infatti chiesto al governo canadese di
chiudere Insite, l'unica stanza del consumo medicalmente controllato in
Canada e di sospendere tutti quei programmi che "favoriscano il consumo
delle droghe, e che non siano più distribuiti i kit per un
consumo sicuro del crack".
Riduzione del danno, espressione associata principalmente alla adozione
di misure di salute pubblica per i consumatori, che li aiutino a non
contrarre infezioni, ma anche ad evitare overdose ed altre conseguenze
sanitarie negative che possono derivare loro dal consumo di droghe,
è la nuova parola proibita degli zar antidroga dell'ONU che
evidentemente sono per l'aumento del danno, nella sadica convinzione
che l'unico modo per arrestare la diffusione delle sostanze proibite
sia quello di perseguitare i consumatori e, se possibile, di aumentare
le loro sofferenze. Non per niente Costa e i suoi colleghi hanno sempre
speso parole d'elogio per le violazione dei diritti umani perpetrata da
molti paesi nel proclamato intento di adempiere gli obblighi previsti
dalle Convenzioni. A Vienna sono state citati tra i "buoni" la Cina, il
Vietnam, l'Arabia Saudita e l'Iran che applicano la pena di morte per
il traffico di droghe e il futuro si preannuncia più nero che
mai: basti pensare alla Cina che in vista delle Olimpiadi ha annunciato
di voler rinchiudere un milione di consumatori in centri di
disintossicazione coatta, mentre la Thailandia ha intenzione di
riscatenare la guerra alla droga che nel 2003 portò
all'uccisione senza processo di oltre tremila persone.
L'aperto sadismo dei responsabili delle agenzie Onu ha portato
però molte Ong a schierarsi con decisione contro la ripetizione
all'infinito delle strategie repressive proibizioniste. Addirittura il
terzo Congresso Mondiale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa sulle
Tossicodipendenze, ospitato a Barcellona dalla Croce Rossa Spagnola, ha
approvato un documento finale che si appella all'Onu perché via
sia una politica umanitaria verso "i 200 milioni di drogati che nel
mondo vengono umiliati, discriminati e stigmatizzati come criminali".
L'appello insiste sulla necessità di un nuovo approccio alle
problematiche delle droghe, che sia basato sulla ragione e sulla
compassione e su misure di salute pubblica che contribuiscono alla
prevenzione del Contagio da HIV e al recupero sociale dei
tossicodipendenti attraverso politiche di riduzione del danno quali la
distribuzione di siringhe sterili e l'utilizzo di Terapie sostitutive
Le strategie dell'"aumento del danno" si stanno comunque diffondendo
anche in Italia. Il Comune di Milano retto dalla podestà Letizia
Moratti (notissima ammiratrice e finanziatrice del torturatore Vincenzo
Muccioli) è il capofila in questo settore. Alcuni mesi fa sono
state eliminate le macchine scambiasiringhe che hanno l'unica colpa di
aver salvato un po' di tossici dall'HIV, mentre è di questi
giorni la notizia che è disponibile gratis dal 10 marzo in tutte
le farmacie di Milano il kit antidroga proposto dal Comune alle
famiglie con figli da 13 a 16 anni, che riceveranno via lettera un
coupon anonimo per ritirare il test rivelatore. Dall'assessorato alla
Salute sono partite infatti a fine febbraio 35 mila lettere con coupon
allegato e consigli sugli esperti cui rivolgersi in caso di
necessità. Sono state inoltre allertate 360 farmacie private e
comunali, invitandole a collaborare. La distribuzione dei kit era stata
preceduta da una "fase pilota" in Zona 6 che ha coinvolto 3.887
famiglie, che hanno ritirato 249 test. I genitori, fortunatamente, non
vogliono trasformarsi in cani da guardia: quindi giustamente evitano di
ritirare questi kit in farmacia e di sottoporre i loro figli a test
antidroga fai-da-te che hanno praticamente l'unico obiettivo di creare
problemi in famiglia. A Milano come a Crema il kit antidroga è
stato un fallimento, ma il Comune non ha rinunciato a diffondere paura
e insicurezza fra i cittadini… a spese loro! 16mila euro, infatti,
è la tutt'altro che esigua spesa per iniziare la "fase due"
della distribuzione di massa dei kit, mentre tra le altre misure
"antidroga" adottate dalla giunta meneghina c'è un investimento
di 680 mila euro per finanziare progetti di prevenzione rivolti ai
giovani in scuole, oratori etc. Inoltre è stato deciso il
potenziamento della "linea verde antidroga" che peraltro continua a
ricevere pochissime telefonate al giorno. Il criminale fascista
Riccardo De Corato (AN) vice Sindaco e assessore alla Sicurezza ha
difeso le scelte del Comune citando un sondaggio apparso sul Magazine
del Corriere della Sera secondo il quale il 72,8% dei votanti si dice
convinto dalle iniziative della Giunta Moratti. È evidente,
però, che il sondaggio on line di corriere.it sul kit antidroga
non ha valenza statistica (basta che uno organizzi un bel gruppo di
persone al computer per ottenere il risultato voluto), mentre le
farmacie della zona 6 hanno ancora i magazzini pieni dei kit antidroga
che non sono stati ritirati…
Di fatto, nonostante il lavaggio del cervello dei media di regime,
trova sempre meno consenso l'infinita "guerra alla droga" che dura da
decenni senza aver mai ottenuto altro risultato che quello di
perseguitare decine di milioni di persone colpevoli solo di consumare
sostanze proibite dalle convenzioni internazionali. Il proibizionismo
amplifica le conseguenze negative delle sostanze (che vengono spesso
assunte in condizioni sanitarie precarie e che vengono sempre prodotte
e confezionate senza alcun controllo igienico) e tende spesso a
favorire la diffusione delle droghe pesanti. Lo dimostrano in Italia
gli effetti della Legge Fini, ormai in vigore da due anni, che prevede
le stesse pene per le droghe leggere e di quelle pesanti. L'effetto
più immediato della Legge Fini è stato un grosso aumento
in tutta la Penisola del consumo di cocaina (che nei mesi
immediatamente successivi all'approvazione della nuova legge ha visto
diminuire i suoi prezzi della metà). Il fenomeno, probabilmente
è destinato ad aumentare: secondo le fosche previsioni di un
gruppo di esperti riunitisi all'Università cattolica di Milano
per il convegno "L'altra faccia della coca", entro il 2010, in base ai
dati dell'Osservatorio del dipartimento dipendenze patologiche dell'Asl
di Milano, il consumo di cocaina registrerà un incremento pari
al 40%, e il numero degli italiani consumatori sarà compreso tra
gli 800 mila e il milione e 100 mila individui (circa il 3% della
popolazione italiana tra i 15 e i 54 anni). Non c'è da stupirsi
visto che, come è stato scritto su Fuoriluogo, "aver equiparato
tutte le sostanze alla stessa maniera ha intrecciato i mercati delle
droghe leggere con quelle pesanti e sta provocando soprattutto tra i
più giovani la banalizzazione del consumo di droghe. Oggi gli
adolescenti consumano alla stessa maniera le sostanze leggere e quelle
pesanti, e il tutto avviene in totale incoscienza".
Intanto, continuano ad arrivare ogni giorno notizie di fumatori di
cannabis perseguitati dalla legge. L'ultima "follia" dei giudici ha
colpito un trentacinquenne catanese "sorpreso" con qualche grammo di
hashish che avrà per due anni l'obbligo di dimora, di firma
quotidiana, non potrà guidare, né far tardi la sera,
visto che potrà uscire solo per andare a lavorare. Insomma,
dovrà sottostare ad una serie di gravissime limitazioni alla
libertà personale che equivalgono ad una condanna agli arresti
domiciliari, inflittagli senza neanche un processo, con il kafkiano
sistema delle sanzioni "amministrative".
robertino