La vicenda Alitalia permette di fare qualche riflessione sulla
politica, il sindacato, il lavoro in questo scorcio di 2008 in cui
tanto si sta muovendo nella società italiana. Il fatto che la
compagnia aerea "di bandiera" sia sull'orlo del fallimento è
cosa nota da molti anni. Proprio il fatto che Alitalia fosse pubblica e
poi semipubblica, ha consentito la più classica applicazione del
principio della socializzazione delle perdite e della privatizzazione
dei profitti. La drammatica situazione dei conti della società
ha legittimato la nomina di soggetti chiamati ai vertici per il
risanamento e pagati cifre astronomiche sia nei pochi anni di
amministrazione che al momento di liquidazioni milionarie (in euro).
L'attuale presidente delle ferrovie Cimoli è uno di questi
"uomini della provvidenza", di questi manager prezzolati le cui ricette
sono, di solito, "tagli&privatizzazioni", salvo riempirsi per primi
le tasche per un po' di tempo e andarsene poi, fallito sempre per colpa
altrui il "grande progetto di rinnovamento", verso altri lucrosi lidi.
Alitalia è stata anche la vacca da mungere di una pletora di
dirigenti che sull'onda delle tanto strombazzate "privatizzazioni"
hanno costituito società di cui sono andati a fare gli
amministratori, ricevendo appalti dai loro ex colleghi. Alitalia
è stata il trampolino di lancio di politici che, partiti come
dirigenti, diventati parlamentari, distribuiti incarichi, soldi,
appalti per un po' di anni, son tornati a fare i dirigenti, se non in
Alitalia, in una delle società beneficiate. Serbatoio di voti,
di "piaceri" agli amici degli amici, di denaro e carriere facili,
Alitalia è lo specchio dello sfacelo economico e sociale che
destra e sinistra sono riusciti a fare negli ultimi quindici anni di
vita del paese. Giacché la competizione tra Roma "ladrona" e
Milano "ruscona" si è giocata anche su questo: può
l'Italia permettersi due grandi aeroporti come Malpensa e Fiumicino?
Che senso ha tutto questo in una dimensione continentale? Moltiplicare
i voli su Milano per giustificare l'esistenza di una "cattedrale"
raggiungibile via terra a fatica come Malpensa, fiore all'occhiello di
una "padania" che non è mai esistita se non nei deliri leghisti;
pista di decollo di un nord troppo legato agli affari di bottega per
spiccare davvero il volo in una prospettiva economica ad ampio respiro.
Così si è andati avanti con l'Ulivo/Unione ad invocare le
leggi del "mercato" e i berluscones scatenati nella difesa dei "posti
di lavoro del nord". E i lavoratori? Vittime, comparse, complici? Forse
un poco tutte queste cose. Sport abbastanza diffuso, specie a
"sinistra", quello di accusare chi sta ai piani bassi della gerarchia
aziendale di non "capire" la modernità, la flessibilità,
la novità di questo mercato senza regole e scrupoli. Mentre i
loro dirigenti scialacquavano con la connivenza dei partiti dell'intero
arco costituzionale, impiegati e operai di Alitalia "se la godevano"
con i loro stipendi non certo da metalmeccanici. Hanno ballato
sull'orlo del vulcano? Forse: ma saranno loro a pagare il prezzo
più alto, nessuno chiederà indietro i soldi a Cimoli.
Paradossalmente, mentre a destra ci si batte ipocritamente per "i posti
di lavoro del nord", a "sinistra" va in onda lo spettacolo del
moralismo d'accatto del "ben gli sta a 'sti fannulloni". E se i
lavoratori mandassero a quel paese destra e sinistra e i sindacati loro
valletti e "spiccassero il volo" da soli? E se i lavoratori Alitalia
prendessero in mano il loro futuro senza delegarlo a nessuno?
W.B.