Umanità Nova, n.12 del 6 aprile 2008, anno 88

Iraq. Ok, il prezzo è giusto


Misteri dei numeri. Una cifra tonda, a più zeri, colpisce maggiormente l'immaginazione: lo sanno bene i commercianti quando scrivono i prezzi della merce in vendita. Forse per questa ragione, la notizia che il computo ufficiale delle perdite militari Usa in Iraq ha raggiunto quota 4.000, è stata oggetto di attenzione da parte dei media internazionali.
Ma anche 3.999 o 4.001 morti, in poco più di cinque anni di guerra, sono una cifra ragguardevole specialmente per una società come quella statunitense che, tra l'altro, aveva voluto credere alla propaganda trionfalistica di Bush.
Una vittoria festeggiata troppo presto, così come quella più volte annunciata per la guerra in Afganistan che, dopo sette anni di conflitto, è ben lontana da una conclusione e conta, tra e truppe Usa, 419 perdite ufficiali.
Le altre cifre, sempre ufficiali, della guerra in Iraq completano il quadro: circa il 97% dei morti statunitensi risultano caduti dopo la "vittoriosa" presa di Baghdad, con una media di quasi mille morti all'anno. A questi vanno aggiunti 308 soldati uccisi tra i contingenti alleati (inclusi 175 britannici e 33 italiani) e almeno 8.000 tra militari e poliziotti delle forze governative irachene colpiti dalla guerriglia. Inoltre si sa di circa duemila vittime tra i contractor e i mercenari assoldati dal governo Usa.
Va comunque tenuto ben presente che si tratta di cifre ufficiali e assolutamente al di sotto della realtà.
Esse infatti non comprendono i militari Usa non ancora riconosciuti cittadini statunitensi (con la famosa Green Card), per i quali talvolta non è previsto neppure il rimpatrio delle salme; inoltre, tale computo non comprende quei soldati feriti (stimati in un numero 15 volte superiori a quello dei morti) e poi deceduti in ospedali lontani dalle zone di guerra (in Germania, soprattutto).
Inoltre, è ovvio, che i comandi e il governo di Washington non hanno alcun interesse a rendere note le reali cifre della loro guerra; come dimostra la censura di immagini riguardanti persino le bare dei caduti in guerra, sulla base di un regolamento introdotto da Bush padre nel 1991, ai tempi della prima guerra del Golfo costata ufficialmente poche centinaia di vittime tra le forze armate Usa. Secondo alcuni analisti che hanno studiato tale aspetto in altri conflitti, il numero ufficiale dei militari Usa morti in guerra potrebbe riferirsi ad appena il 10% delle effettive perdite.
Persino l'entità delle spese per finanziare la guerra appare lontana da quella inizialmente prevista dall'amministrazione Bush (50 miliardi di dollari): ormai fonti autorevoli tra cui Joseph Stiglitz, già premio Nobel per l'economia nel 2001, hanno calcolato un costo di 3 mila miliardi di dollari.
Non meno dissimulate le dimensioni della strage di civili iracheni, vittime dei bombardamenti e dell'occupazione militare, ma anche della feroce repressione statale e della guerra civile alimentata dagli stessi occupanti. Secondo le fonti governative irachene i morti tra la popolazione civile varierebbe tra un minimo di 82.349 e un massimo di 89.867 (precisione paradossale volta, appunto, a non fornire cifre con troppi zeri), ma attendibili studi statistici ipotizzano che soltanto nei primi 40 mesi della guerra le vittime civili possano oscillare tra i 450.000 e i 600.000 e che, d'altra parte, si sia nell'ordine delle centinaia di migliaia è avvalorato persino dalle fonti ufficiali vaticane.
Di fronte a questa contabilità di morte, diversi commentatori italiani hanno osservato che in fondo, rispetto ai quattromila soldati americani morti in Iraq, ben più rilevanti sono i dati inerenti le vittime in Italia degli incidenti sul lavoro o di quelli stradali. Un raffronto, questo, cinicamente ipocrita e non pertinente, ma del tutto funzionale a sostenere che, tutto sommato, in Iraq e in Afganistan sono in corso delle guerre a bassa intensità. E tale sospetto è rafforzato dal fatto che in queste ultime settimane è stata avanzata la prospettiva di un ritorno delle truppe italiane in Iraq (attualmente presenti con un un'ottantina di consulenti ed esperti). In merito a tale intenzione, ventilata dall'ex ministro della Difesa Martino, prevedibile il commento positivo del generale David Petraeus a capo delle forze Usa in Iraq: "non esiste un comandante militare nella storia che non darebbe il benvenuto a più soldi e più truppe".
Le obiezioni però dovrebbero venire da quello che un tempo era il movimento contro la guerra; ma è forse chiedere troppo, considerato che gran parte di coloro che ne fecero parte ignorano persino che l'intervento militare in Iraq non è mai finito.

U.F.


PS. Il titolo dell'articolo è ispirato da una dichiarazione di Madeleine Albright, risalente al 1996. In un'intervista, l'allora ambasciatore Usa alle Nazioni Unite, riguardo al mezzo milione di bambini iracheni vittime dell'embargo, ebbe a commentare: "noi riteniamo che il prezzo sia giusto".

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