Misteri dei numeri. Una cifra tonda, a più zeri, colpisce
maggiormente l'immaginazione: lo sanno bene i commercianti quando
scrivono i prezzi della merce in vendita. Forse per questa ragione, la
notizia che il computo ufficiale delle perdite militari Usa in Iraq ha
raggiunto quota 4.000, è stata oggetto di attenzione da parte
dei media internazionali.
Ma anche 3.999 o 4.001 morti, in poco più di cinque anni di
guerra, sono una cifra ragguardevole specialmente per una
società come quella statunitense che, tra l'altro, aveva voluto
credere alla propaganda trionfalistica di Bush.
Una vittoria festeggiata troppo presto, così come quella
più volte annunciata per la guerra in Afganistan che, dopo sette
anni di conflitto, è ben lontana da una conclusione e conta, tra
e truppe Usa, 419 perdite ufficiali.
Le altre cifre, sempre ufficiali, della guerra in Iraq completano il
quadro: circa il 97% dei morti statunitensi risultano caduti dopo la
"vittoriosa" presa di Baghdad, con una media di quasi mille morti
all'anno. A questi vanno aggiunti 308 soldati uccisi tra i contingenti
alleati (inclusi 175 britannici e 33 italiani) e almeno 8.000 tra
militari e poliziotti delle forze governative irachene colpiti dalla
guerriglia. Inoltre si sa di circa duemila vittime tra i contractor e i
mercenari assoldati dal governo Usa.
Va comunque tenuto ben presente che si tratta di cifre ufficiali e assolutamente al di sotto della realtà.
Esse infatti non comprendono i militari Usa non ancora riconosciuti
cittadini statunitensi (con la famosa Green Card), per i quali talvolta
non è previsto neppure il rimpatrio delle salme; inoltre, tale
computo non comprende quei soldati feriti (stimati in un numero 15
volte superiori a quello dei morti) e poi deceduti in ospedali lontani
dalle zone di guerra (in Germania, soprattutto).
Inoltre, è ovvio, che i comandi e il governo di Washington non
hanno alcun interesse a rendere note le reali cifre della loro guerra;
come dimostra la censura di immagini riguardanti persino le bare dei
caduti in guerra, sulla base di un regolamento introdotto da Bush padre
nel 1991, ai tempi della prima guerra del Golfo costata ufficialmente
poche centinaia di vittime tra le forze armate Usa. Secondo alcuni
analisti che hanno studiato tale aspetto in altri conflitti, il numero
ufficiale dei militari Usa morti in guerra potrebbe riferirsi ad appena
il 10% delle effettive perdite.
Persino l'entità delle spese per finanziare la guerra appare
lontana da quella inizialmente prevista dall'amministrazione Bush (50
miliardi di dollari): ormai fonti autorevoli tra cui Joseph Stiglitz,
già premio Nobel per l'economia nel 2001, hanno calcolato un
costo di 3 mila miliardi di dollari.
Non meno dissimulate le dimensioni della strage di civili iracheni,
vittime dei bombardamenti e dell'occupazione militare, ma anche della
feroce repressione statale e della guerra civile alimentata dagli
stessi occupanti. Secondo le fonti governative irachene i morti tra la
popolazione civile varierebbe tra un minimo di 82.349 e un massimo di
89.867 (precisione paradossale volta, appunto, a non fornire cifre con
troppi zeri), ma attendibili studi statistici ipotizzano che soltanto
nei primi 40 mesi della guerra le vittime civili possano oscillare tra
i 450.000 e i 600.000 e che, d'altra parte, si sia nell'ordine delle
centinaia di migliaia è avvalorato persino dalle fonti ufficiali
vaticane.
Di fronte a questa contabilità di morte, diversi commentatori
italiani hanno osservato che in fondo, rispetto ai quattromila soldati
americani morti in Iraq, ben più rilevanti sono i dati inerenti
le vittime in Italia degli incidenti sul lavoro o di quelli stradali.
Un raffronto, questo, cinicamente ipocrita e non pertinente, ma del
tutto funzionale a sostenere che, tutto sommato, in Iraq e in
Afganistan sono in corso delle guerre a bassa intensità. E tale
sospetto è rafforzato dal fatto che in queste ultime settimane
è stata avanzata la prospettiva di un ritorno delle truppe
italiane in Iraq (attualmente presenti con un un'ottantina di
consulenti ed esperti). In merito a tale intenzione, ventilata dall'ex
ministro della Difesa Martino, prevedibile il commento positivo del
generale David Petraeus a capo delle forze Usa in Iraq: "non esiste un
comandante militare nella storia che non darebbe il benvenuto a
più soldi e più truppe".
Le obiezioni però dovrebbero venire da quello che un tempo era
il movimento contro la guerra; ma è forse chiedere troppo,
considerato che gran parte di coloro che ne fecero parte ignorano
persino che l'intervento militare in Iraq non è mai finito.
U.F.
PS. Il titolo dell'articolo è ispirato da una dichiarazione di
Madeleine Albright, risalente al 1996. In un'intervista, l'allora
ambasciatore Usa alle Nazioni Unite, riguardo al mezzo milione di
bambini iracheni vittime dell'embargo, ebbe a commentare: "noi
riteniamo che il prezzo sia giusto".