Di fronte all'offensiva dei gruppi industriali che vorrebbero
ulteriormente impiagare il territorio di centrali elettriche,
inceneritori, rigassificatori, gasdotti, elettrodotti, ecc. le
popolazioni si difendono costituendo organismi di base che "smontano"
le argomentazioni di chi progetta impianti sicuramente inquinanti ma
spesso anche inutili (si pensi agli inceneritori che trasformano
materie riciclabili o riutilizzabili in agenti tossici, alle centrali
elettriche che producono energia che serve ormai solo ad essere
sprecata e ai rigassificatori che porterebbero gas da utilizzare come
business rivendendolo ai paesi del centro Europa, tanto per citare gli
esempi più clamorosi).
Per contrastare i comitati popolari, i favorevoli al progetto –
industriali, politici, scienziati e opinionisti - non sanno fare di
meglio che parlare della "sindrome di Nimby", acronimo di "Not in my
backyard" (non nel mio giardino). Accusandoli di essere espressione di
sentimenti egoistici ("l'impianto fatelo dove vi pare ma non nei pressi
di casa mia!" si cerca di far dire ai comitati) questi signori vogliono
delegittimare i comitati dei cittadini.
I "pensatoi"
Negli ultimi anni, di fronte alle resistenze delle popolazioni, sono
stati creati diversi pensatoi dedicati proprio alla questione di come
vincere le resistenze popolari. Il primo di questi centri di studio
è stato il Nimby forum, costituito nel 2004 dall'Agenzia di
comunicazione ARIS che al modico prezzo di 5000 euro più IVA
consente ad un nutrito gruppo di imprese industriali impegnate nella
devastazione del territorio (Actelios-Falck, inceneritori, Autostrade
per l'Italia, CMC, impegnata nel TAV, Edison, centrali elettriche,
gasdotti e rigassificatori, Endesa Italia, centrali elettriche e
rigassificatori, ENEL, centrali elettriche e rigassificatori, HERA,
inceneritori, Italgest, inceneritori, WASTE Italia, inceneritori,
Impregilo, grandi opere e inceneritori, Siemens, elettrodotti, FS TAV,
Teseco, inceneritori) oltre che al Gestore della rete elettrica, GRTN,
a TERNA, all'Assoelettrica ma anche a Cittadinanza attiva e agli Amici
della Terra, di partecipare a convegni a tema per affinare le tecniche
capaci di superare le resistenze popolari. Il Nimby forum vanta anche
un comitato scientifico di cui fanno parte, potremmo dire, il diavolo e
l'acqua santa, cioè scienziati come Franco Battaglia,
collaboratore di Libero e noto, fra l'altro, per essere il capofila
dello sparuto gruppo di scienziati italiani che negano ogni
validità alle tesi dell'IPCC-ONU sulle cause umane dei
cambiamenti climatici, ma anche il presidente di Legambiente, Vittorio
Cogliati Dozza e il responsabile delle politiche ambientali del Partito
Democratico, Roberto della Seta. Nel comitato scientifico c'è
anche l'ex-UDC Tabacci, noto per le sue posizioni filonucleari. Un
altro pensatoio dello stesso genere è l'Associazione Pimby,
fondata nel 2007 dall'ex-ambientalista Chicco Testa, presidente ENEL ai
tempi del primo governo Prodi e attuale presidente di Roma
Metropolitana oltre che consigliere di amministrazione di Lloyd
Adriatico, RAS e Telit, da Paolo Messa, fido dell'ex-UDC Marco Follini
e collaboratore de Il Foglio e de Il Riformista, da Patrizia Ravaioli,
direttore generale della Lega italiana per la lotta contro i tumori
(sic) ma con un passato di dirigente in CONSIEL (gruppo Telecom) e
dall'assessore del Comune di Roma, Giancarlo D'Alessandro,
ex-funzionario della CGIL. Ci dilunghiamo sull'identikit di questi
personaggi perché il loro curriculum dimostra che la questione
di come spezzare le reni ai Comitati popolari sia trasversale a destra
e sinistra. Sia il Nimby forum che l'Associazione Pimby si sono dotati
di osservatori che sfornano analisi su come la comunicazione considera
i movimenti di opposizione e sull'avanzamento delle grandi opere.
l'Associazione Pimby ha anche promosso un premio annuale per le
amministrazioni comunali virtuose, che non sono quelle che realizzano
progetti ecologici ma quelle che riescono ad imporre alle popolazioni
inceneritori, discariche, centrali turbogas, ecc.
Un altro centro di studi particolarmente attivo sulla questione grandi
opere è l'Agici che ha avuto il suo momento di gloria
nell'autunno 2006 quando i giornali diedero parecchio risalto ad un suo
studio sui costi del non fare, che questo pensatoio valutava in 200
miliardi di euro entro il 2020. Corbezzole!
Monetizzare il rischio
Se si visitano i siti dei pensatoi si trovano tanti bei discorsi:
occorre "sviluppare e diffondere la cultura della comunicazione, del
dialogo e della partecipazione in ambito territoriale" e ancora
"è indispensabile creare un clima di fiducia reciproca fra
l'impresa e il territorio" e quindi "diventa essenziale avviare fin da
subito una politica del consenso intrinseca al progetto" (Nimby forum).
In cosa si traducono questi bei discorsi ce lo dice però il
resoconto pubblicato da Altraeconomia di un convegno organizzato da
Nimby forum e svoltosi a Torino il 5 ottobre 2006 (sia detto per inciso
questo pensatoio ha organizzato finora ben 23 convegni!). Il problema
per questi signori è la comunicazione. "Il paese – dice il
presidente del pensatoio Alessandro Beulcke – non è contrario
alle opere ma di fronte alla sindrome Nimby le aziende fanno una
cattiva comunicazione. I proponenti devono parlare più con i
media, fare comunicazione". A parte che è evidente che queste
società di comunicazione fanno sostanzialmente pubblicità
a se stesse, rimane il fatto che il prodotto che esse vendono alle
aziende sono pacchetti di interventi mediatici tesi a propagandare le
opere fra la gente. Il piano di queste comunicazioni è semplice:
prima di tutto esaltare l'opera, poi sminuire le proteste e infine
proporre sostanziose compensazioni territoriali tese a monetizzare il
danno causato dall'impianto che si vuol realizzare. Nel citato articolo
di Altraeconomia si riporta il decalogo dell'attuale responsabile della
comunicazione di Edison: "presentare informalmente il progetto alle
istituzioni locali prima della presentazione ufficiale, incontrare
tutti gli attori (separatamente), concordare col sindaco le azioni da
fare sul "suo" territorio; negoziare col Comune una convenzione. Per la
popolazione: organizzare assemblee pubbliche, convegni, speciali
editoriali, un sito web, brochure, programmi e concorsi nelle scuole."
La strategia viene così sintetizzata dai promotori del premio
Pimby: "mostrare come sia possibile trovare soluzioni innovative, in
grado di coinvolgere nei processi decisionali tutte le parti
interessate e di rendere le comunità locali partecipi dei
benefici derivanti da soluzioni e impianti a cui solitamente si guarda
con diffidenza." Insomma: lavorarsi i politici locali, lanciare
campagne mediatiche per rincoglionire la gente e, per finire,
monetizzare il danno!
Gli ipocriti ambientalisti del fare
Come si è visto, in questi pensatoi un ruolo non secondario
viene svolto dagli uomini di Legambiente, da tempo organici a
Democratici di sinistra e Margherita e oggi entrati armi e bagagli nel
Partito democratico. "Tra le malattie italiane – dice Della Seta –
c'è anche l'eccesso di Nimby. Il modo per risolvere i blocchi
passa attraverso l'avvio di un reale e concreto processo di
partecipazione e informazione dei cittadini sul modello del francese
debat public. L'ambientalismo del Pd è quello propositivo che
prova a confrontarsi con le necessità del fare." Questi signori
fanno riferimento, a chiacchiere, alla possibilità che la
decisione di costruire un inceneritore, un rigassificatore, un
elettrodotto, ecc. sia preceduta da un dibattito pubblico alla
francese, coordinato da un moderatore super partes. Fanno solo
chiacchiere perché nel programma del loro partito di questo
debat public non si parla affatto ma si sostiene con forza la
necessità di "snellire e centralizzare i processi decisionali
per i grandi progetti infrastrutturali. Veltroni ha citato
specificamente l'Alta Velocità, i rigassificatori e i
termovalorizzatori, tutti progetti bloccati per «gestione
incompetente».", come scrive il giornale della Confindustria del
28 febbraio. Oggi i procedimenti VIA sono congeniati in modo che chi
dovrebbe tutelare l'interesse pubblico – amministrazioni regionali e
ministeri competenti – si limita ad accettare le tesi delle
società proponenti, magari facendo alcune prescrizioni. La
partecipazione popolare si riduce, nella migliore delle ipotesi, alla
presentazione di osservazioni ma non si prevede l'obbligo per gli
organi pubblici di far effettuare studi indipendenti sui progetti. Oggi
le VIA non sono altro che procedimenti nei quali funzionari pubblici
danno autorizzazioni su questioni che non conoscono sulla base di
decisioni politiche. E di questo la gente si è accorta
benissimo. Altro che dibattito pubblico!
Le ragioni dei Comitati
In realtà un'analisi appena approfondita di quanto prodotto da
questi pensatoi mostra un miscuglio di arroganza, ignoranza e
incapacità culturale a rapportarsi al nuovo fenomeno costituito
dai comitati popolari. Non c'è modo più stupido per
affrontare i nodi posti dai movimenti territoriali emersi in Italia
negli ultimi anni che ridurli a numeri come ha fatto l'Espresso
pubblicando lo scorso 14 marzo il rapporto del Nimby forum. Secondo il
rapporto, ci sarebbero in Italia 193 opere «bloccate» per
le proteste delle popolazioni locali, naturalmente facendo passare
l'idea che tutte le resistenze popolari sono immotivate. Ebbene andiamo
a vedere questi blocchi. Prendiamo, ad esempio, i progetti bloccati di
nuove centrali per la produzione di energia elettrica. Da quanto
pubblicato da l'Espresso e dal sito di Limes, ricaviamo che dei 193
progetti bloccati ben 33 sono relativi a nuove centrali elettriche. Per
rendersi conto di cosa vorrebbero dire 33 nuove centrali elettriche in
Italia, poniamo che ognuna di essa abbia una potenza di 300 MW,
ciò equivarrebbe ad una potenza aggiuntiva pari a 10.000 MW (ma
si tratta di una stima al ribasso). Se si pensa che l'attuale potenza
del parco elettrico italiano è pari a circa 70.000 MW, che
l'Italia continua a importare dai 4.000 alle 7.000 MW da Svizzera e
Francia (grazie a contratti vantaggiosi per l'Italia), che il consumo
mentre scriviamo (28 marzo) è pari a 44.000 MW e che il picco
dei consumi, registrato nel dicembre 2007, è stato pari a 56.000
MW ci si rende conto che non ha senso aumentare di circa il 15% la
potenza elettrica: per produrre energia per cosa? Certo il Gestore di
rete e gli industriali parlano di un aumento notevole della richiesta
di energia, giustificato dal massiccio aumento dell'utilizzo dei
condizionatori, dei frigoriferi per la catena del freddo (supermercati)
e dalla diffusione delle tecnologie informatiche. Peccato che questi
signori dimentichino di ricordare come in Italia manchi una efficace
politica per il recupero e il risparmio energetico. Tutti dicono che
risparmio ed efficienza sono la prima fonte rinnovabile ma poi nessuno
fa nulla. Solo la resistenza dei Comitati può permettere di
intraprendere le buone pratiche ambientalmente accettabili.
Nel suo vaneggiante studio sui costi del non fare l'Agici auspica la
costruzione, entro il 2020, di 100 termovalorizzatori (oggi sono 48),
80 siti di compostaggio, 7 centrali a carbone ("non farle costerebbe
dai 4 ai 7 miliardi di euro"), 16 centrali a gas, 3 impianti di
rigassificazione, 1.300 chilometri di autostrade più 600 di
raccordi ("non farli costerebbe 133 miliardi di euro"). Si sono
dimenticati le centrali nucleari ma ci ha pensato l'Edison che
recentemente ne ha previste almeno 5 (ma meglio 10) entro il 2015.
Siamo alla follia. Meno male che ci sono i Comitati, meno male che la
gente si ribella a questa classe dirigente, di destra, di centro e di
sinistra, con poche eccezioni, pavida e capace solo di piegarsi agli
interessi confindustriali.
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