Umanità Nova, n.12 del 6 aprile 2008, anno 88

Nimby forum & C. Gioco di inganni


Di fronte all'offensiva dei gruppi industriali che vorrebbero ulteriormente impiagare il territorio di centrali elettriche, inceneritori, rigassificatori, gasdotti, elettrodotti, ecc. le popolazioni si difendono costituendo organismi di base che "smontano" le argomentazioni di chi progetta impianti sicuramente inquinanti ma spesso anche inutili (si pensi agli inceneritori che trasformano materie riciclabili o riutilizzabili in agenti tossici, alle centrali elettriche che producono energia che serve ormai solo ad essere sprecata e ai rigassificatori che porterebbero gas da utilizzare come business rivendendolo ai paesi del centro Europa, tanto per citare gli esempi più clamorosi).
Per contrastare i comitati popolari, i favorevoli al progetto – industriali, politici, scienziati e opinionisti - non sanno fare di meglio che parlare della "sindrome di Nimby", acronimo di "Not in my backyard" (non nel mio giardino). Accusandoli di essere espressione di sentimenti egoistici ("l'impianto fatelo dove vi pare ma non nei pressi di casa mia!" si cerca di far dire ai comitati) questi signori vogliono delegittimare i comitati dei cittadini.

I "pensatoi"
Negli ultimi anni, di fronte alle resistenze delle popolazioni, sono stati creati diversi pensatoi dedicati proprio alla questione di come vincere le resistenze popolari. Il primo di questi centri di studio è stato il Nimby forum, costituito nel 2004 dall'Agenzia di comunicazione ARIS che al modico prezzo di 5000 euro più IVA consente ad un nutrito gruppo di imprese industriali impegnate nella devastazione del territorio (Actelios-Falck, inceneritori, Autostrade per l'Italia, CMC, impegnata nel TAV, Edison, centrali elettriche, gasdotti e rigassificatori, Endesa Italia, centrali elettriche e rigassificatori, ENEL, centrali elettriche e rigassificatori, HERA, inceneritori, Italgest, inceneritori, WASTE Italia, inceneritori, Impregilo, grandi opere e inceneritori, Siemens, elettrodotti, FS TAV, Teseco, inceneritori) oltre che al Gestore della rete elettrica, GRTN, a TERNA, all'Assoelettrica ma anche a Cittadinanza attiva e agli Amici della Terra, di partecipare a convegni a tema per affinare le tecniche capaci di superare le resistenze popolari. Il Nimby forum vanta anche un comitato scientifico di cui fanno parte, potremmo dire, il diavolo e l'acqua santa, cioè scienziati come Franco Battaglia, collaboratore di Libero e noto, fra l'altro, per essere il capofila dello sparuto gruppo di scienziati italiani che negano ogni validità alle tesi dell'IPCC-ONU sulle cause umane dei cambiamenti climatici, ma anche il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dozza e il responsabile delle politiche ambientali del Partito Democratico, Roberto della Seta. Nel comitato scientifico c'è anche l'ex-UDC Tabacci, noto per le sue posizioni filonucleari. Un altro pensatoio dello stesso genere è l'Associazione Pimby, fondata nel 2007 dall'ex-ambientalista Chicco Testa, presidente ENEL ai tempi del primo governo Prodi e attuale presidente di Roma Metropolitana oltre che consigliere di amministrazione di Lloyd Adriatico, RAS e Telit, da Paolo Messa, fido dell'ex-UDC Marco Follini e collaboratore de Il Foglio e de Il Riformista, da Patrizia Ravaioli, direttore generale della Lega italiana per la lotta contro i tumori (sic) ma con un passato di dirigente in CONSIEL (gruppo Telecom) e dall'assessore del Comune di Roma, Giancarlo D'Alessandro, ex-funzionario della CGIL. Ci dilunghiamo sull'identikit di questi personaggi perché il loro curriculum dimostra che la questione di come spezzare le reni ai Comitati popolari sia trasversale a destra e sinistra. Sia il Nimby forum che l'Associazione Pimby si sono dotati di osservatori che sfornano analisi su come la comunicazione considera i movimenti di opposizione e sull'avanzamento delle grandi opere. l'Associazione Pimby ha anche promosso un premio annuale per le amministrazioni comunali virtuose, che non sono quelle che realizzano progetti ecologici ma quelle che riescono ad imporre alle popolazioni inceneritori, discariche, centrali turbogas, ecc.
Un altro centro di studi particolarmente attivo sulla questione grandi opere è l'Agici che ha avuto il suo momento di gloria nell'autunno 2006 quando i giornali diedero parecchio risalto ad un suo studio sui costi del non fare, che questo pensatoio valutava in 200 miliardi di euro entro il 2020. Corbezzole!

Monetizzare il rischio
Se si visitano i siti dei pensatoi si trovano tanti bei discorsi: occorre "sviluppare e diffondere la cultura della comunicazione, del dialogo e della partecipazione in ambito territoriale" e ancora "è indispensabile creare un clima di fiducia reciproca fra l'impresa e il territorio" e quindi "diventa essenziale avviare fin da subito una politica del consenso intrinseca al progetto" (Nimby forum). In cosa si traducono questi bei discorsi ce lo dice però il resoconto pubblicato da Altraeconomia di un convegno organizzato da Nimby forum e svoltosi a Torino il 5 ottobre 2006 (sia detto per inciso questo pensatoio ha organizzato finora ben 23 convegni!). Il problema per questi signori è la comunicazione. "Il paese – dice il presidente del pensatoio Alessandro Beulcke – non è contrario alle opere ma di fronte alla sindrome Nimby le aziende fanno una cattiva comunicazione. I proponenti devono parlare più con i media, fare comunicazione". A parte che è evidente che queste società di comunicazione fanno sostanzialmente pubblicità a se stesse, rimane il fatto che il prodotto che esse vendono alle aziende sono pacchetti di interventi mediatici tesi a propagandare le opere fra la gente. Il piano di queste comunicazioni è semplice: prima di tutto esaltare l'opera, poi sminuire le proteste e infine proporre sostanziose compensazioni territoriali tese a monetizzare il danno causato dall'impianto che si vuol realizzare. Nel citato articolo di Altraeconomia si riporta il decalogo dell'attuale responsabile della comunicazione di Edison: "presentare informalmente il progetto alle istituzioni locali prima della presentazione ufficiale, incontrare tutti gli attori (separatamente), concordare col sindaco le azioni da fare sul "suo" territorio; negoziare col Comune una convenzione. Per la popolazione: organizzare assemblee pubbliche, convegni, speciali editoriali, un sito web, brochure, programmi e concorsi nelle scuole." La strategia viene così sintetizzata dai promotori del premio Pimby: "mostrare come sia possibile trovare soluzioni innovative, in grado di coinvolgere nei processi decisionali tutte le parti interessate e di rendere le comunità locali partecipi dei benefici derivanti da soluzioni e impianti a cui solitamente si guarda con diffidenza." Insomma: lavorarsi i politici locali, lanciare campagne mediatiche per rincoglionire la gente e, per finire, monetizzare il danno!

Gli ipocriti ambientalisti del fare
Come si è visto, in questi pensatoi un ruolo non secondario viene svolto dagli uomini di Legambiente, da tempo organici a Democratici di sinistra e Margherita e oggi entrati armi e bagagli nel Partito democratico. "Tra le malattie italiane – dice Della Seta – c'è anche l'eccesso di Nimby. Il modo per risolvere i blocchi passa attraverso l'avvio di un reale e concreto processo di partecipazione e informazione dei cittadini sul modello del francese debat public. L'ambientalismo del Pd è quello propositivo che prova a confrontarsi con le necessità del fare." Questi signori fanno riferimento, a chiacchiere, alla possibilità che la decisione di costruire un inceneritore, un rigassificatore, un elettrodotto, ecc. sia preceduta da un dibattito pubblico alla francese, coordinato da un moderatore super partes. Fanno solo chiacchiere perché nel programma del loro partito di questo debat public non si parla affatto ma si sostiene con forza la necessità di "snellire e centralizzare i processi decisionali per i grandi progetti infrastrutturali. Veltroni ha citato specificamente l'Alta Velocità, i rigassificatori e i termovalorizzatori, tutti progetti bloccati per «gestione incompetente».", come scrive il giornale della Confindustria del 28 febbraio. Oggi i procedimenti VIA sono congeniati in modo che chi dovrebbe tutelare l'interesse pubblico – amministrazioni regionali e ministeri competenti – si limita ad accettare le tesi delle società proponenti, magari facendo alcune prescrizioni. La partecipazione popolare si riduce, nella migliore delle ipotesi, alla presentazione di osservazioni ma non si prevede l'obbligo per gli organi pubblici di far effettuare studi indipendenti sui progetti. Oggi le VIA non sono altro che procedimenti nei quali funzionari pubblici danno autorizzazioni su questioni che non conoscono sulla base di decisioni politiche. E di questo la gente si è accorta benissimo. Altro che dibattito pubblico!

Le ragioni dei Comitati
In realtà un'analisi appena approfondita di quanto prodotto da questi pensatoi mostra un miscuglio di arroganza, ignoranza e incapacità culturale a rapportarsi al nuovo fenomeno costituito dai comitati popolari. Non c'è modo più stupido per affrontare i nodi posti dai movimenti territoriali emersi in Italia negli ultimi anni che ridurli a numeri come ha fatto l'Espresso pubblicando lo scorso 14 marzo il rapporto del Nimby forum. Secondo il rapporto, ci sarebbero in Italia 193 opere «bloccate» per le proteste delle popolazioni locali, naturalmente facendo passare l'idea che tutte le resistenze popolari sono immotivate. Ebbene andiamo a vedere questi blocchi. Prendiamo, ad esempio, i progetti bloccati di nuove centrali per la produzione di energia elettrica. Da quanto pubblicato da l'Espresso e dal sito di Limes, ricaviamo che dei 193 progetti bloccati ben 33 sono relativi a nuove centrali elettriche. Per rendersi conto di cosa vorrebbero dire 33 nuove centrali elettriche in Italia, poniamo che ognuna di essa abbia una potenza di 300 MW, ciò equivarrebbe ad una potenza aggiuntiva pari a 10.000 MW (ma si tratta di una stima al ribasso). Se si pensa che l'attuale potenza del parco elettrico italiano è pari a circa 70.000 MW, che l'Italia continua a importare dai 4.000 alle 7.000 MW da Svizzera e Francia (grazie a contratti vantaggiosi per l'Italia), che il consumo mentre scriviamo (28 marzo) è pari a 44.000 MW e che il picco dei consumi, registrato nel dicembre 2007, è stato pari a 56.000 MW ci si rende conto che non ha senso aumentare di circa il 15% la potenza elettrica: per produrre energia per cosa? Certo il Gestore di rete e gli industriali parlano di un aumento notevole della richiesta di energia, giustificato dal massiccio aumento dell'utilizzo dei condizionatori, dei frigoriferi per la catena del freddo (supermercati) e dalla diffusione delle tecnologie informatiche. Peccato che questi signori dimentichino di ricordare come in Italia manchi una efficace politica per il recupero e il risparmio energetico. Tutti dicono che risparmio ed efficienza sono la prima fonte rinnovabile ma poi nessuno fa nulla. Solo la resistenza dei Comitati può permettere di intraprendere le buone pratiche ambientalmente accettabili.
Nel suo vaneggiante studio sui costi del non fare l'Agici auspica la costruzione, entro il 2020, di 100 termovalorizzatori (oggi sono 48), 80 siti di compostaggio, 7 centrali a carbone ("non farle costerebbe dai 4 ai 7 miliardi di euro"), 16 centrali a gas, 3 impianti di rigassificazione, 1.300 chilometri di autostrade più 600 di raccordi ("non farli costerebbe 133 miliardi di euro"). Si sono dimenticati le centrali nucleari ma ci ha pensato l'Edison che recentemente ne ha previste almeno 5 (ma meglio 10) entro il 2015.
Siamo alla follia. Meno male che ci sono i Comitati, meno male che la gente si ribella a questa classe dirigente, di destra, di centro e di sinistra, con poche eccezioni, pavida e capace solo di piegarsi agli interessi confindustriali.

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