Umanità Nova, n.13 del 13 aprile 2008, anno 88

L'Afganistan e il summit della Nato. Girotondo di guerra


Sicuramente al summit Nato di Bucarest il punto principale all'ordine del giorno era la guerra che l'Alleanza Atlantica sta sostenendo in Afganistan da cinque anni, soprattutto in considerazione della prevista ripresa primaverile della cosiddetta insorgenza, a fronte di un risicato 30% del territorio afgano sotto controllo governativo.
Lo stesso segretario generale della Nato, Jaap de Hoop Scheffer, ha annunciato l'approvazione di un nuovo piano politico-militare (la prevista Fase 2) per la missione Isaf. Tale piano, nelle dichiarazioni ufficiali del suo massimo comandante, appare in tutta la sua ambiguità: trasferimento progressivo dei compiti inerenti la sicurezza alle forze governative afgane e maggiore impegno nell'assistenza civile, nella ricostruzione economica, nell'addestramento e nel supporto istituzionale. Obiettivi questi che stridono clamorosamente con la dichiarata esigenza di rimuovere i rimanenti caveat, ossia le regole d'ingaggio e quindi di combattimento, che limitano l'impiego bellico dei diversi contingenti nazionali, così come da tempo sollecitato dai comandi Usa e britannici, nonché da Bush in persona che più volte ha invitato gli alleati a impegnarsi di più "per vincere una battaglia vitale".
Da questo punto di vista, infatti, l'amministrazione statunitense sembra aver conseguito dei risultati concreti che vedono anche l'approvazione delle Nazioni Unite, dell'Unione Europea e della Banca Mondiale: rafforzamento dell'impegno Nato in Afganistan con un aumento di almeno 3.000 soldati e ulteriori coinvolgimenti operativi. Stati quali Germania, Spagna e Italia che non possono o non vogliono accrescere il numero delle loro truppe né mandarle in prima linea sul fronte sud,  dovranno comunque aumentare il proprio apporto, a partire dal fornire uomini per il piano (Operational Mentoring Liaison Team) predisposto dai comandi Nato che prevede l'affiancamento di nuclei di istruttori dell'Alleanza ai reparti afgani impegnati al fronte. Inoltre gli Stati Uniti sono riusciti ad evitare il ventilato disimpegno delle forze canadesi duramente impegnate nei combattimenti. Per loro è prevista una rotazione e a sostituirli nell'area meridionale ci saranno i reparti Usa a loro volta rimpiazzati dai rinforzi (altri 700 unità) inviati dal governo francese.
Per quanto riguarda l'Italia (presente ufficialmente, al febbraio 2008, con 2.880 unità), una parte consistente dei militari attualmente dispiegati a Kabul sarà trasferita nella provincia occidentale di Herat, rafforzandovi il contingente italiano già attivo. In tal modo, entro settembre, il Regional Command West a guida italiana potrà contare su 2.000 effettivi, mentre nella capitale rimarrebbero circa 400 alpini, mentre altrettanti soldati dovrebbero teoricamente essere rimpatriati dopo aver assolto al ruolo di supporto nel periodo in cui il Capital Command-Kabul è stato assunto dagli italiani (in agosto avrà termine tale responsabilità di comando).
In compenso, secondo alcune indiscrezioni, sarà formato un secondo Battle Group di circa 450 fanti appartenenti alla Brigata aeromobile Friuli, in grado di operare in tutto il settore ovest grazie al supporto elicotteristico, in sostituzione della ridotta Forza di reazione rapida italo-spagnola. La Brigata Friuli ha già operato nei Balcani e in Iraq, mentre una compagnia del 66° reggimento fu inviato nel 2006 a Herat, partecipando ai combattimenti nella provincia di Farah con le truppe speciali Usa nell'ambito dell'operazione Wyconda Pincer.
D'altra parte, il governo dimissionario ha già provveduto a potenziare la forza militare in Afganistan; i 17 blindati Puma sono stati muniti di torrette Hitrole (prodotte dalla Oto Melara) munite di mitragliatrice Browning con puntatori laser e visori infrarossi. Da tempo, inoltre, è previsto il raddoppio del numero degli elicotteri d'attacco al suolo AB-129 Mangusta e l'attivazione di un altro velivolo telecomandato Predator.
Il prossimo governo, di qualunque segno e tonalità sia, dovrà soltanto formalizzare tale escalation bellica; anche perché chiunque s'insedierà alla Casa Bianca in primo luogo richiederà alla Nato più truppe per la guerra in Afganistan, così come anticipato anche dalla democratica Hillary Clinton.
Per concludere, non si può non citare la presentazione nel corso del vertice rumeno di natochannel.tv, il neonato canale televisivo dell'Alleanza con annesso sito web. L'emittente realizzerà dieci servizi a settimana, soprattutto sulla situazione afgana, con l'arruolamento di cinque troupe televisive grazie al rilevante contributo economico del governo danese. Nell'ambito delle Psycological Operations, lo scopo sarebbe quello di contrastare l'offensiva mediatica dei gruppi estremisti, ma più verosimilmente sarà finalizzata a ridurre il dissenso sociale verso la guerra all'interno dei paesi appartenenti alla Nato.
Segno che, con l'avanzare della primavera, il ghiaccio si fa sottile.

U.F.

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