Sicuramente al summit Nato di Bucarest il punto principale all'ordine
del giorno era la guerra che l'Alleanza Atlantica sta sostenendo in
Afganistan da cinque anni, soprattutto in considerazione della prevista
ripresa primaverile della cosiddetta insorgenza, a fronte di un
risicato 30% del territorio afgano sotto controllo governativo.
Lo stesso segretario generale della Nato, Jaap de Hoop Scheffer, ha
annunciato l'approvazione di un nuovo piano politico-militare (la
prevista Fase 2) per la missione Isaf. Tale piano, nelle dichiarazioni
ufficiali del suo massimo comandante, appare in tutta la sua
ambiguità: trasferimento progressivo dei compiti inerenti la
sicurezza alle forze governative afgane e maggiore impegno
nell'assistenza civile, nella ricostruzione economica,
nell'addestramento e nel supporto istituzionale. Obiettivi questi che
stridono clamorosamente con la dichiarata esigenza di rimuovere i
rimanenti caveat, ossia le regole d'ingaggio e quindi di combattimento,
che limitano l'impiego bellico dei diversi contingenti nazionali,
così come da tempo sollecitato dai comandi Usa e britannici,
nonché da Bush in persona che più volte ha invitato gli
alleati a impegnarsi di più "per vincere una battaglia vitale".
Da questo punto di vista, infatti, l'amministrazione statunitense
sembra aver conseguito dei risultati concreti che vedono anche
l'approvazione delle Nazioni Unite, dell'Unione Europea e della Banca
Mondiale: rafforzamento dell'impegno Nato in Afganistan con un aumento
di almeno 3.000 soldati e ulteriori coinvolgimenti operativi. Stati
quali Germania, Spagna e Italia che non possono o non vogliono
accrescere il numero delle loro truppe né mandarle in prima
linea sul fronte sud, dovranno comunque aumentare il proprio
apporto, a partire dal fornire uomini per il piano (Operational
Mentoring Liaison Team) predisposto dai comandi Nato che prevede
l'affiancamento di nuclei di istruttori dell'Alleanza ai reparti afgani
impegnati al fronte. Inoltre gli Stati Uniti sono riusciti ad evitare
il ventilato disimpegno delle forze canadesi duramente impegnate nei
combattimenti. Per loro è prevista una rotazione e a sostituirli
nell'area meridionale ci saranno i reparti Usa a loro volta rimpiazzati
dai rinforzi (altri 700 unità) inviati dal governo francese.
Per quanto riguarda l'Italia (presente ufficialmente, al febbraio 2008,
con 2.880 unità), una parte consistente dei militari attualmente
dispiegati a Kabul sarà trasferita nella provincia occidentale
di Herat, rafforzandovi il contingente italiano già attivo. In
tal modo, entro settembre, il Regional Command West a guida italiana
potrà contare su 2.000 effettivi, mentre nella capitale
rimarrebbero circa 400 alpini, mentre altrettanti soldati dovrebbero
teoricamente essere rimpatriati dopo aver assolto al ruolo di supporto
nel periodo in cui il Capital Command-Kabul è stato assunto
dagli italiani (in agosto avrà termine tale
responsabilità di comando).
In compenso, secondo alcune indiscrezioni, sarà formato un
secondo Battle Group di circa 450 fanti appartenenti alla Brigata
aeromobile Friuli, in grado di operare in tutto il settore ovest grazie
al supporto elicotteristico, in sostituzione della ridotta Forza di
reazione rapida italo-spagnola. La Brigata Friuli ha già operato
nei Balcani e in Iraq, mentre una compagnia del 66° reggimento fu
inviato nel 2006 a Herat, partecipando ai combattimenti nella provincia
di Farah con le truppe speciali Usa nell'ambito dell'operazione Wyconda
Pincer.
D'altra parte, il governo dimissionario ha già provveduto a
potenziare la forza militare in Afganistan; i 17 blindati Puma sono
stati muniti di torrette Hitrole (prodotte dalla Oto Melara) munite di
mitragliatrice Browning con puntatori laser e visori infrarossi. Da
tempo, inoltre, è previsto il raddoppio del numero degli
elicotteri d'attacco al suolo AB-129 Mangusta e l'attivazione di un
altro velivolo telecomandato Predator.
Il prossimo governo, di qualunque segno e tonalità sia,
dovrà soltanto formalizzare tale escalation bellica; anche
perché chiunque s'insedierà alla Casa Bianca in primo
luogo richiederà alla Nato più truppe per la guerra in
Afganistan, così come anticipato anche dalla democratica Hillary
Clinton.
Per concludere, non si può non citare la presentazione nel corso
del vertice rumeno di natochannel.tv, il neonato canale televisivo
dell'Alleanza con annesso sito web. L'emittente realizzerà dieci
servizi a settimana, soprattutto sulla situazione afgana, con
l'arruolamento di cinque troupe televisive grazie al rilevante
contributo economico del governo danese. Nell'ambito delle Psycological
Operations, lo scopo sarebbe quello di contrastare l'offensiva
mediatica dei gruppi estremisti, ma più verosimilmente
sarà finalizzata a ridurre il dissenso sociale verso la guerra
all'interno dei paesi appartenenti alla Nato.
Segno che, con l'avanzare della primavera, il ghiaccio si fa sottile.
U.F.