L'origine degli antichi giochi olimpici (che per l'esattezza venivano
chiamati Agoni, parola che ha la stessa radice di agonia, e che
significa sforzo, competizione) si è persa nei meandri del
tempo, anche se esistono molte leggende circa le loro origini. Dalla
prima registrazione scritta della celebrazione dei giochi ad Olimpia
risalente al 776 a.C., si sa che all'inizio i Giochi erano
essenzialmente una manifestazione locale, ma che divennero lentamente
sempre più importanti in tutta la Grecia antica, raggiungendo
l'apice nel VI e nel V secolo a.C. Il numero di gare crebbe e le
celebrazioni si estendevano su più giorni, mentre i vincitori
delle gare erano ammirati e immortalati in poemi e statue. I Giochi si
tenevano ogni quattro anni e il periodo tra le due celebrazioni divenne
noto come Olimpiade. Le Olimpiadi avevano anche un'importanza
religiosa, in quanto si svolgevano in onore di Zeus, del quale una
enorme statua si trovava ad Olimpia, ma soprattutto segnavano una sorta
di spazio neutrale nei complicati conflitti politici e militari che
opponevano tra di loro le varie città-stato dell'antica Grecia.
È noto che per l'intera durata dei giochi venivano sospese le
guerre in tutta la Grecia (durante la tregua chiamata Ekecheiria) ed
anche la scelta stessa di Olimpia come sede dei giochi era legata al
fatto che questa città era sempre stata neutrale durante le
guerre tra le città elleniche. Inoltre, anche se prima delle
gare venivano a volte effettuate delle selezioni nelle diverse
città, non esistevano rappresentanze "ufficiali" delle varie
città: la partecipazione era aperta a tutti i greci liberi che
potessero vantare antenati greci (anche se naturalmente la
necessità di dedicare molto tempo agli allenamenti comportava
che solo i membri delle classi più facoltose potessero prendere
in considerazione di partecipare), mentre le donne erano completamente
escluse.
I Giochi persero comunque gradualmente importanza con l'aumentare del
potere Romano in Grecia. Quando il cristianesimo divenne la religione
ufficiale dell'Impero Romano, i Giochi Olimpici vennero visti come una
festa "pagana", e nel 393, l'imperatore Teodosio I li vietò,
ponendo fine a una storia durata 1000 anni.
Il mito delle Olimpiadi sopravvisse comunque alla scomparsa della
Grecia Classica. Già nel XVII secolo un festival sportivo che
prendeva il nome dalle Olimpiadi si teneva in Inghilterra, mentre nei
secoli seguenti eventi simili vennero organizzati in Francia e in
Grecia. L'interesse nella rinascita dei Giochi Olimpici crebbe quando
le rovine dell'antica Olimpia vennero scoperte da archeologi tedeschi
alla metà del XIX secolo. Contemporaneamente un aristocratico
francese, il barone Pierre de Coubertin, cercava una spiegazione alla
sconfitta francese nella guerra franco-prussiana (1870-1871) giungendo
alla conclusione che i francesi non avevano ricevuto un'educazione
fisica adeguata, mentre l'esperienza della Comune di Parigi mostrava
quanto la classe lavoratrice mancasse di "spirito nazionale". De
Coubertin propose così la rinascita dei Giochi Olimpici per
"permettere ai giovani del mondo di confrontarsi in una competizione
sportiva, piuttosto che in guerra", convinto che la diffusione delle
pratiche sportive avrebbe permesso di raggiungere entrambi gli
obiettivi, di diffondere tanto "l'educazione fisica" quanto "lo spirito
nazionale" indispensabili per una buona preparazione militare di massa.
Le idee di De Coubertin trovarono ampio eco sulla stampa quotidiana che
alla fine del XIX Secolo si stava diffondendo in tutta Europa e nel
NordAmerica. I quotidiani inglesi e francesi che avevano avuto il loro
boom di vendite durante la Guerra di Crimea avevano infatti "in tempo
di pace sostituito le corrispondenze di guerra con le cronache delle
gare sportive" (come scrisse Mark Twain) che, dopo essere state per
secoli appannaggio delle elite aristocratiche, erano perfette per
suscitare l'interesse del pubblico dei nuovi lettori dei ceti borghesi
colti. Forte dell'appoggio della stampa internazionale, De Coubertin
organizzò nel giugno 1894 un congresso "mondiale" presso
l'università della Sorbona a Parigi e nell'ultimo giorno del
congresso, venne deciso che i primi Giochi Olimpici dell'era moderna si
sarebbero svolti nel 1896 ad Atene, in Grecia, la terra dove erano nati
in antichità. Fu fondato il Comitato Olimpico Internazionale
(CIO) per organizzare l'evento, sotto la presidenza del greco Demetrius
Vikelas, mentre nei paesi che aderivano alla manifestazioni vennero
istituiti dei Comitati Olimpici Nazionali col compito di selezionare le
rappresentanze dei vari stati. Ammantate di retorica pacifista, ma
perfettamente funzionali alle esigenze di addestramento militare di
massa e di rinvigorimento dello spirito patriottico degli Stati che da
lì a poco avrebbero mandato decine di milioni di loro cittadini
a scannarsi nelle trincee della Prima Guerra Mondiale, nacquero
così le Olimpiadi moderne. La loro popolarità crebbe con
la diffusione delle tecnologie di comunicazione: i quotidiani prima,
poi la radio e i cinegiornali ed infine la televisione (la prima TV
nazionale fu inaugurata dalla Germania nazista proprio in occasione
delle Olimpiadi di Berlino del 1936) trasformarono in oggetto di
interesse popolare quello che fino a pochi decenni prima era stato il
passatempo di giovani ricchi annoiati. L'ideologia sportiva col suo
spirito di sacrificio, competizione e disciplina e con tutte le sue
insulsaggini, da "vinca il migliore" a "l'importante non è
vincere, ma partecipare", si è rivelata così un potente
strumento di consenso per le strutture del dominio, fatta propria di
volta in volta dai fascisti e dai nazisti quanto dalle dittature
marxiste, dai sostenitori della meritocrazia capitalista quanto dalle
religioni di tutto il pianeta. Ammainata da subito l'idea di fare come
nell'antica Grecia e di proclamare un periodo di tregua bellica durante
i Giochi (durante le due Guerre Mondiali, semplicemente i Giochi del
1916, del 1940 e del 1944 non sono stati disputati) e trasformate in
una gara tra squadre nazionali che si svolge di volta in volta in
città e paesi diversi, le Olimpiadi moderne sono state da parte
loro delle piccole guerre simulate non solo sul terreno di gara (basti
pensare alla sfrenata competizione tra USA ed Europa Occidentale da una
parte ed Unione Sovietica e paesi satelliti dall'altra durante il
periodo della Guerra Fredda), ma anche su quello diplomatico. Ogni
Olimpiade è stata di fatto anche un evento politico, al di
là di tutte le lacrimevoli retoriche sulla purezza dello sport
ed altre cretinerie del genere, che vengono puntualmente citate quando
sono i movimenti di liberazione ad utilizzare il palcoscenico olimpico
per dare visibilità alle proprie lotte e alle proprie proteste
(ad esempio, i giornali e le televisioni della penisola un paio d'anni
fa si sono riempiti di solerti sostenitori degli "ideali" sportivi in
occasione delle decine di contestazioni che hanno accompagnato il
passaggio nelle città italiane della fiamma olimpica
sponsorizzata dalla Coca-Cola Company diretta verso le Olimpiadi
invernali di Torino).
Le Olimpiadi di Pechino che inizieranno ufficialmente con la cerimonia
d'apertura dell'8 agosto sono il suggello e l'apoteosi del regime
postmaoista che grazie al suo mix di controllo poliziesco in puro stile
marxista-leninista e selvaggio sfruttamento dei lavoratori in puro
stile neoliberista sta diventando una delle principali potenze
economiche planetarie. La Cina, però, è un paese
tutt'altro che pacificato a livello sociale e proprio per questo la
potente macchina repressiva del Partito Comunista è sempre
all'opera. Solo nel 2006, secondo Human Rights Watch, tra le 50mila e
le 70mila persone sono state imprigionate per aver partecipato a
campagne di boicottaggio, scioperi illegali ed azioni di resistenza
contro gli sgomberi forzati, mentre tra le 150 e le 250 persone
sarebbero state uccise in scontri con l'esercito e la polizia. Per dare
un'idea del livello di repressione, basti pensare a quello che è
successo nella città di Guangzhou solo poche settimane fa. Al
termine del capodanno cinese i 700 dipendenti del calzaturificio Panyu
Li Chang Footwear Co. Ltd hanno fatto ritorno in fabbrica per
riprendere il lavoro e incassare gli arretrati dello stipendio, ma
hanno trovato una brutta sorpresa: i cancelli chiusi e il proprietario
scomparso insieme a tutti i macchinari e a dieci anni di trattenute
assicurative mai versate. Rimasti anche senza alloggio (la maggior
parte di loro viveva in dormitori accanto alla fabbrica), in 400 si
sono incamminati pacificamente verso gli uffici governativi della
città, ma lungo il tragitto sono stati bloccati dalla polizia
che ha effettuato una cinquantina di fermi e cinque arresti con
l'accusa di assembramento e manifestazione illegali. Secondo il
quotidiano Panyu Daily, cinque lavoratori sono stati costretti a salire
su un palco mentre veniva pubblicamente dichiarato il loro arresto.
Fatti come questi sono cronaca quotidiana in tutta la Cina, ma vengono
sistematicamente ignorati dai media e dai governi occidentali, che
certo non hanno nessuna voglia di rimproverare ai cinesi di fare quello
che vorrebbero fare loro. In occasione dell'approssimarsi delle
Olimpiadi, anzi, l'11 marzo il Dipartimento di Stato USA ha
ufficialmente depennato la Repubblica Popolare Cinese dalla lista nera
delle nazioni dove si commettono le più gravi violazioni dei
diritti umani. Solo la disperata rivolta tibetana (dove la repressione
cinese ha provocato tra le 20 e le 150 vittime, a seconda delle fonti)
ha riproposto la questione della violazione dei diritti umani in Cina,
ma ancora una volta i governanti occidentali se la sono cavata con
salomoniche dichiarazioni di condanna accompagnate da
disponibilità ed "apertura"(???). Solo il presidente francese
Sarkozy s'è spinto a dichiarare che parteciperà alla
cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi prevista per il prossimo 8
agosto, se "termineranno le violenze contro la popolazione tibetana e
saranno liberati i prigionieri" e che deciderà se partecipare o
meno all'inaugurazione dei giochi solo dopo aver verificato
"l'evoluzione degli avvenimenti" e dopo essersi consultato con i leader
europei. Nessuno, comunque, parla di boicottare i Giochi Olimpici.
Dopotutto, le televisioni di tutto il mondo hanno già sborsato
montagne di quattrini per poter trasmettere in diretta le Olimpiadi,
che sono sponsorizzate d'altra parte dalle più potenti
multinazionali europee e nordamericane (a partire dall'immancabile
Coca-Cola Company). E poi è per conto delle multinazionali
europee e nordamericane che lavorano le fabbriche cinesi dove si
consumano i peggiori sorprusi...
robertino