Una tradizione teorica sulla nazione, in ambito marxista, che affonda
le sue radici negli scritti di Engels di metà ottocento, ha
lasciato, in modo non estemporaneo, i suoi segni non solo nelle
elaborazioni dottrinali successive del movimento operaio e socialista,
ma anche nelle mentalità collettive della sinistra. Gli scritti
di Engels comparirono, a partire dal 1849, sulla Nuova Gazzetta Renana
e poi in "Rivoluzione e controrivoluzione in Germania" del 1852. I
concetti attorno ai quali ruotavano le riflessioni di Engels, sotto le
influenze dell'idealismo Hegeliano delle "Lezioni sulla filosofia della
storia", riguardavano "le nazioni senza storia", ovvero quelle nazioni
con "nazionalità e vitalità politica (...) spente da un
pezzo", in virtù delle quali "hanno dovuto seguire le orme di
una nazione più forte, loro conquistatrice" (1851). Era quindi
giusto per Engels che "gli energici yankees abbiano strappato la
meravigliosa California ai pigri messicani che non sapevano cosa
farsene", perché gli americani, così facendo "hanno
dischiuso l'Oceano Pacifico alla civiltà e dato una nuova
direzione al commercio mondiale"(1849). Sulla base di queste premesse
teoriche Engels sostenne che il diritto ad autodeterminarsi delle
"nazioni senza storia" dovesse inevitabilmente soccombere di fronte al
progresso civile, sociale e produttivo delle grandi nazioni.
Non voglio qui entrare nel merito delle rappresentazioni teoriche
sull'autodeterminazione e sulla nazione, che ebbero diverse evoluzioni
ed involuzioni negli stessi ambiti marxisti (quelle espresse da Lenin
saranno significativamente diverse da ciò che sostenne Rosa
Luxemburg); quello che mi preme invece sottolineare è come poco
alla volta all'interno del movimento operaio socialista, sia nella
versione socialdemocratica che in quella rivoluzionaria, l'idea e la
funzione della nazione prima e dello stato poi abbiano poco alla volta
soppiantato e sostituito l'internazionalismo, diventando essi stessi
meta finale e non transitoria del processo rivoluzionario. La prima
tappa del disfacimento teorico dell'internazionalismo si ebbe nel 1914
di fronte alla Prima guerra mondiale, mentre il secondo, assai
controverso, si ebbe durante la rivoluzione bolscevica, quando la
direzione del partito comunista abolì e soppresse, in chiave di
rafforzamento statuale, sulla necessità presunta della difesa
rivoluzionaria (di cui la mancata estensione del processo
rivoluzionario in Europa non può che essere una parziale ma
insufficiente giustificazione), non solo tutte le altre opposizioni
operaie ma gli stessi consigli (soviet) che sarebbero dovuti essere sia
il fulcro della nuova organizzazione sociale sia il modello della
futura dissoluzione statuale.
Nell'elaborazione engelsiana, ma anche in quella di tutto il marxismo
definito "ortodosso" (parzialmente derivato dallo stesso Marx), da
Labriola a Kautsky, lo sviluppo delle forze produttive e dei modelli
produttivi vanno di pari passo con l'evoluzione delle forme
organizzative statuali:
- La linea di progresso storica ed evolutiva dell'umanità
avviene per stadi, che si realizzano dialetticamente. La linea
positivistico - hegeliana su cui si innesta Marx è di questo
tipo: economia feudale (varianti asiatiche) – sistema mercantile
(borghesie commerciali) – sistema pre-capitalistico – capitalismo -
socialismo –comunismo. Tutto ciò che dal punto di vista
dell'organizzazione sociale e quindi anche statuale impedisca il libero
sviluppo delle forze produttive capitalistiche va contro le linee di
tendenza della Storia.
- Questo implica che lo Stato borghese capitalistico sia forma
superiore a quelle precedenti e che lo Stato socialista sia forma
superiore, e conseguente, dello Stato capitalistico.
- In questa ipotesi la liberazione nazionale è forma essenziale
e non transitoria dello sviluppo delle forze produttive, che poi,
entrando in contraddizione con i modelli produttivi, daranno esito al
socialismo, organizzato in stato e poi al comunismo, società
a-statuale di liberi ed eguali.
Uscendo da questa impostazione rigidamente determinista, quello che
accomuna ancora oggi, a mio parere, giovani e vecchi marxisti di varia
sorta e nuove destre più o meno camuffate è l'idolatria
nei confronti dell'entità Statuale. Il socialismo novecentesco,
tranne in pochissime eccezione spazzate via dalla repressione, si
è realizzato esclusivamente nella forma statuale: ben lungi dal
prevederne l'esaurimento, lo Stato è diventato strumento di
affermazione delle caste politiche ed elemento di ridistribuzione
controllata delle risorse. In cambio della sicurezza materiale lo
Stato, nelle forme del socialismo realizzato, ha conformato, per i
tratti essenziali la società in una grande caserma a cielo
aperto ed ha garantito al capitalismo sfruttatore gestito da una
ristretta cerchia di soggetti di riprodurre, in maniera assolutamente
disfunzionale, se stesso ed i propri apparati.
La sinistra storica, in gran parte delle sue varianti, non è mai
riuscita a rielaborare la fuoriuscita (esaurimento) delle funzioni
amministrative e repressive dello Stato, non riconoscendo che esso
è la funzione propria (novecentesca) della riproduzione
capitalistica. Dando forma all'autorità non si può che
grottescamente uscire fuori con altrettanta e consapevole
autorità. Di qui gli stati positivi e le nazioni positive che
aspirano a farsi stato e gli stati negativi e le nazioni negative che
aspirano a farsi stato, ma che dovrebbero quantomeno sparire o almeno
non rompere troppo: "(...) Farò un semplice esempio, la Russia e
la Cecenia. Io sono del tutto avverso all'indipendentismo ceceno, e
dunque sono con Putin contro gli indipendentisti ceceni, e questo per
molte ragioni, che qui compendierò in tre, di cui la terza
è la più importante. Primo i russi non perseguono
assolutamente il genocidio della nazione cecena, e neppure
l'espropriazione delle sue terre, come ad esempio fanno i sionisti in
Palestina, ma lottano solo contro un progetto indipendentista. Secondo,
non vedo perché i ceceni non possano comportarsi esattamente
come gli osseti, gli ingiscezi, i daghestani..., ed altre decine di
etnie non russe, nessuna delle quali è a rischio di estinzione,
genocidio eccetera. Terzo, solo un amico dell'impero americano
può veramente auspicare che la Russia, non più comunista
ma pur sempre (grazie a Dio!) grande potenza geopolitica e militare,
possa disintegrarsi in cento staterelli combattenti. Anzi, così
com'è è fin troppo piccola. Chi scrive in compagnia di
Solenitsin, auspicherebbe una riunificazione almeno fra Russia, Ucraina
e Bielorussia e la parte russa dfel Kazakistan, ed anche un impedimento
a mettere basi americane nei paesi baltici, caucasicie centro asiatici.
In proposito (UDITE UDITE! NdR) ritengo che Putin non pecchi di
militarismo eccessivo, ma purtroppo di eccessiva debolezza."
Ecco qui il processo di sostituzione tipico, ed ovviamente falsato sul
piano della verità pena di perderne la credibilità, di
uno stato ad un altro, di un potere feroce, autoritario e violento
(Putin) ad un altro (Bush o chi per lui). In questo senso penso che il
ragionamento previano sia paradigmatico non solo del suo ristretto
mondo di appartenenza politica, ma uno ben più vasto di
tradizione prettamente staliniana (benché il filosofo torinese
voglia disfarsi in casa propria delle "rigidità politiche" che
accetterebbe in casa altrui). In questo processo l'unico esito
giustificativo rimane il tasso, assolutamente falso tra le altre cose,
di antagonismo geopolitico agli Stati Uniti e ad Israele. E con esso
scompaiono i vissuti materiali di milioni di abitanti e delle loro
costrizioni carcerarie, di sfruttamento, di sottomissione e di stragi
perpetuate a loro danno, dentro e fuori confini patri.
L'intercambiabilità dei concetti ed il loro uso misurato fa da
contraltare ultimo a questo processo storico-semantico: così
come il capitalismo imperialistico nostrano codifica il linguaggio
dell'aggressione definendo cosa è o non è terrorismo,
allo stesso modo questa sinistra antimperialista definisce, in modo
altrettanto improprio cosa è o non è genocidio, cosa
è o non è repressione, cosa è o non è
liberazione.
Ed è questa la ragione fondamentale di "incredibili" convergenze
tra aree dell'estrema sinistra e dell'estrema destra (compresi di
scambi editoriali e di altre amenità): la vera convergenza sta
nel binomio stato-nazione ed autorità. Laddove si prevede che
solo una forma statuale sia forma propria dell'organizzazione del
socialismo e laddove l'autorità dominante con tutti i suoi
corollari (esercito, tribunali, polizie, carceri, torture...) sia
l'elemento di organizzazione della stessa la convergenza non può
che essere "naturale". Bisognerebbe poi chiedere a questi signori in
quale misura dovrebbero preferire un padrone russo autarchico ad un
padrone statunitense liberal, oppure un interrogatorio in una questura
irachena di Saddam ad una nostrana e via cantando. Il processo di
sostituzione e di preferenza riconosce in sé
l'impossibilità di opporsi al Regime migliore, risultandone solo
i più servili tra i servi che vi albergano. Esattamente
così come facevano gli stalinisti nostrani nei confronti di
coloro che parlavano male delle fantastiche conquiste del socialismo
realizzato. Altro che fuoriuscita dalla storia del socialismo
novecentesco (sia nelle forme tradizionali che ortodosse)!
Le ragioni che come anarchici e non da ora (circa dalla Prima
Internazionale) ci distinguono da alcune prassi e da alcuni
ragionamenti di derivazione "marxiana" sono essenzialmente queste:
- Rifiuto di una visione teleologica, ovvero finalistica, della storia:
l'evoluzione della storia non è preordinata e predeterminata per
stadi che si impongono dialetticamente, per cui compito delle forze
rivoluzionarie, organizzate in partito, è quello di
"accompagnare", dirigendolo, il naturale svolgersi degli eventi. Se si
è intimamente convinti di seguire il "vero" corso della storia,
chiunque vi si opporrà, sarà trattato come nemico
irriducibile e quindi eliminato. Lo stalinismo è stato un
fulgido esempio di questo processo "intellettivo". Un altro concetto
tipico dell'autoritarismo poggia ne "lo stato di necessità",
idea che è strettamente congiunta alla nozione, storicistica, di
causa - effetto: la storia sarebbe una sequenza di cause e di effetti
tra loro conseguenti, immodificabili e necessari. La necessità
storica giustifica, in sé, non solo il verificarsi di eventi
terribili, ma anche la loro programmazione.
Al contrario, la nostra visione sulla trasformazione sociale è
essenzialmente volontaristica: le cose succedono, a partire dal
contesto dato, quindi all'interno di un modello teorico che si supporta
ampiamente del materialismo storico, soltanto se le si vuole produrre.
- Rifiutiamo una visione economicista nella lettura degli accadimenti
mondani. Pur partendo da valutazioni materiali dei processi sociali ed
economici (l'economia è essa stessa una modalità di
relazione sociale) non pensiamo che debbano necessariamente andare
verso una direzione univoca, né essere unico fondamento delle
contraddizioni presenti. Contraddizione ambientali, di genere etc. sono
altrettanto fondamentali.
- Rifiutiamo di attribuire allo stato una funzione necessariamente
progressiva, come tappa di un processo di liberazione per stadi.
- Metodo, prassi e finalità fanno parte di uno stesso progetto.
I gulag, esempio estremo, non posso essere in sintonia, nemmeno
transitoria, con un processo di liberazione.
Perché questo discorso su Iraq, guerre ed altro?
Sicuramente perché crediamo che esistano oppressi ed oppressori:
le guerre e tutte le guerre sono contro di noi. Ma pensiamo lo stesso
anche degli eserciti, dei sistemi di produzione di morte (armi), della
militarizzazione della società e di ogni forma di coercizione,
imposizione e sottomissione. Coerentemente con questa visione non
prendiamo in considerazione il fatto che ci si possa liberare
opprimendo: pur rispettando diverse concezioni del mondo, tanto per
capirci, non potremmo accettare di combattere un sopraffattore
alleandoci tatticamente e temporaneamente con l'Opus Dei.
Invece, forse, per alcune componenti del movimento antibellico prevalgono le seguenti ipotesi:
- La prima, nazionalistica, di cui sopra. "L'Iraq agli iracheni"
è uno slogan piuttosto diffuso sia nella sinistra riformista che
in quella rivoluzionaria, ed è un "peccato" che non sia
estendibile ovunque e che se applicato in casa nostra puzzi lontano
mille miglia di revanscismo fascista. Non ci chiediamo poi
perché alcuni elementi di estrema destra trovino interessanti
ipotesi di antimperialismo congiunto.
- L'antiamericanismo, ovvero la sovrapposizione tra il governo, le
genti e le culture che abitano un determinato territorio. In questo ci
sono due varianti: una riformista che pensa che l'Europa sia buona,
bella e pacifica (da Prodi a Vattimo), al contrario degli Stati Uniti
brutti e cattivi, "dimenticando" (volutamente) gli interessi economici
ed imperiali di questa fetta di mondo; l'altra rivoluzionaria, che
traspone ogni qualità positiva al cosiddetto "Terzo mondo".
Nella variabile terzomondista prevale la concezione della massa
popolare buona e repressa, come se tra popoli e dirigenze politiche,
economiche e militari non ci fosse alcuna connessione di sorta. Questo
non toglie nulla al fatto che milioni di persone non abbiano mai scelto
i propri carnefici, né che li sceglieranno mai. Di conseguenza,
ogni stato che si opponga all'occidente, poco importa che sia composto
da altrettanti massacratori di professione, va bene perché
antimperialistico "in sé". L'imperialismo si riduce così
ad essere un epifenomeno della cultura occidentale. In questo modello
teorico, specularmente alle masse buone dei paesi "sottosviluppati"
c'è la tendenza ad accorpare ed identificare gli occidentali in
toto, in particolare statunitensi ed abitanti dello stato di Israele,
al potere politico ivi costituito. Queste forme di riduzionismo
sottovalutano gli interessi e le funzioni delle borghesie e dei
capitalisti all'interno dei loro paesi.
- La terza da gemellaggio ultras. Prima facciamo il mazzo agli altri e poi, sui cadaveri dei nemici, ce la vediamo tra di noi.
Non pensiamo nemmeno, come anarchici, che lo stato nazionale e o
plurinazionale sia in quanto tale un principio di libertà:
spesso si rivela esattamente l'opposto. Sostituire padroni con altri
padroni non fa parte del nostro immaginario di liberazione.
Pietro Stara