"Stiamo costruendo know how attorno al nucleare. Vogliamo essere
protagonisti della ricerca della nuova generazione". Lo ha detto Pier
Luigi Bersani, ministro dello Sviluppo economico nel governo Prodi,
commentando la notizia che Edison sta studiando con i soci francesi il
rilancio del nucleare e la costruzione di alcune centrali in Italia.
Prima di lui era stata la volta di Massimo D'Alema, nel suo discorso di
chiusura del World energy council: "L'argomento è delicato, ma
questo governo è impegnato a recuperare il tempo perduto e
intende rilanciare la ricerca sul nucleare". Poi il governo è
stato sfiduciato, ma il tema del rilancio del nucleare "italiano"
è ormai in ogni dove, accompagnato da miti e leggende come si
confà quando si tratta di dare l'avvio ad una poderosa impresa
economica in sintonia con il pressing a livello mondiale sull'atomo. A
tale proposito l'Agenzia Internazionale per l'Energia ci comunica che
tra il 1992 ed il 2005 il nucleare da fissione - quello più
costoso ed inquinante - ha usufruito del 46 per cento degli
investimenti di ricerca e di sviluppo, quello da fusione del 12 per
cento, mentre alle rinnovabili è andato solo l'11 per cento. Le
centrali di quarta generazione "a sicurezza intrinseca" – tanto
sbandierate dai politici – sono ancora alla fase di studio e
progettazione e potrebbero essere pronte, in teoria, solo tra una
ventina d'anni, e pur riducendo notevolmente i pericoli di impianti
simili a quello di Chernobyl, non risolverebbero il problema delle
scorie e del loro smaltimento, per lasciare un'eredità
pesantissima sulle spalle delle generazioni future: quale opera umana
può ragionevolmente pensare di sfidare l'usura del tempo per
garantire il mantenimento delle condizioni di sicurezza richieste da
rifiuti radioattivi che mantengono la loro capacità di
contaminazione per migliaia di anni?
Nonostante questa banale constatazione, arricchita dall'esperienza
acquisita in Campania con la vicenda dei rifiuti e delle discariche che
dimostra la voracità di un sistema politico-affaristico che
manovra le emergenze a proprio esclusivo vantaggio, la locomotiva
nucleare si è rimessa in movimento. Approfittando dell'aumento
del prezzo del petrolio, dei cambiamenti climatici indotti dall'uso
forsennato dei combustibili fossili, il partito nucleare ha ripreso
quota: negli Stati Uniti, dopo che per trent'anni non si è
completata alcuna nuova centrale e gli investimenti si sono concentrati
sul ripotenziamento di vecchi impianti, nel 2005 si è introdotto
un incentivo economico - ben più alto rispetto alle fonti
convenzionali - affinché gli investitori privati tornino a
costruire centrali nucleari; i risultati al momento sono modesti (forse
una o due nuove centrali entro il 2015) a causa dei costi effettivi di
investimento, ancora troppo alti e poco competitivi. È bene
rammentare che lo sviluppo passato del nucleare civile è dovuto
al suo stretto legame con il nucleare militare e agli investimenti
"pubblici" di cui ha potuto usufruire. Molte delle tecnologie
indispensabili per il nucleare civile sono utilizzabili da quello
militare: dall'arricchimento del combustibile per ricavare Uranio 235
(utilizzato nella bomba di Hiroshima) al riprocessamento del
combustibile esaurito per ricavare Plutonio (presente nella bomba di
Nagasaki). L'opposizione statunitense alla costruzione della centrale
atomica iraniana la dice lunga a proposito.
Anche l'uranio impoverito è un sottoprodotto del ciclo del
combustibile nucleare civile ed è disponibile in grandi
quantità e a costi bassissimi: le sue proprietà lo
rendono particolarmente adatto alle esigenze militari nonostante i
rischi che comporta.
Il legame con il militare è poi evidente se si considera la
questione "sicurezza". In Francia i treni speciali che trasportano
scorie nucleari sono scortati da mezzi dell'esercito e l'itinerario del
treno cambia in continuazione; ovunque il controllo e la
militarizzazione del territorio accompagnano l'insediamento delle
centrali per evitare sabotaggi che avrebbero effetti devastanti o furti
di materiale radioattivo. Tra l'altro il passare ai reattori
autofertilizzanti vuol dire passare al plutonio, ad una sostanza
cioè particolarmente idonea ad un uso militar terroristico.
Nonostante tutto "business is business" (gli affari sono affari) ed
ecco che l'ENEL sta investendo pesantemente nel settore; non in Italia
è ovvio, ma in Slovacchia dove sta completando due unità
nucleari di vecchia generazione adottando criteri di sicurezza
assolutamente inadeguati: non c'è alcun sistema di protezione da
eventi esterni tipo la caduta di un aereo.
Per concludere, dopo oltre 60 anni il nucleare civile è ancora
di fronte ai problemi di sempre: lo smaltimento delle scorie, la
proliferazione delle armi atomiche, la limitatezza della risorsa Uranio
stimata attualmente in circa 60 anni, il mito della "sicurezza
intrinseca". Che non sia il caso di cambiare strada?
max.var.