Giovedì 3 aprile. Siamo ad Almese, in bassa val Susa, non
lontano dalle pendici del Musiné, la montagna che annuncia ai
visitatori la Valle No Tav. Nella via antistante l'auditorium
"Magnetto" già dalle 19 comincia ad adunarsi la folla delle
grandi occasioni con bandiere, fischietti, striscioni. In testa una
cinquantina di attivisti No Tav in abiti stile Palestina anno zero che
mettono in scena un presepe fuori stagione, un presepe decisamente
laico. Davanti c'è uno striscione con la scritta "Re Ma(n)gi?
Assenti! Presepe? Presente!": un vento teso che spira da giorni tende
le bandiere – quasi tutte no Tav – tranne quelle rosse e nere degli
anarchici.
Il comitato di accoglienza così predisposto attendeva l'arrivo
di Bresso, Saitta e Chiamparino, rispettivamente a capo di Regione
Piemonte, Provincia e Comune di Torino. Ufficialmente venivano per una
serata elettorale del PD: in realtà si trattava di una sfida,
una sfida al movimento No Tav. I tre Re Ma(n)gi provavano ad entrare in
un territorio dove da anni – in veste ufficiale – non avevano osato
mettere piede. Volevano vendere le meraviglie di una Valle Susa
attraversata dal Tav, raccontare la solita favola del progresso,
condire la minestra con la promessa di compensi miliardari ed il
miraggio del lavoro. Soprattutto volevano dimostrare che la lunga opera
di mediazione del centro sinistra aveva dato i suoi frutti, rompendo il
fronte che aveva obbligato le truppe mandate da Berlusconi a fare
dietrofront nel dicembre del 2005.
I fatti sono noti. I tre Re Ma(n)gi si sono fermati a Rivoli, dove
hanno improvvisato (?) una conferenza stampa nella quale hanno
denunciato il clima di intimidazione e violenza creato in Valle da una
minoranza di irriducibili che terrebbero in scacco la maggioranza della
popolazione. I pochi funzionari PD arrivati ad Almese sono entrati e
usciti dalla sala tra i fischi e gli sberleffi che ne hanno
accompagnato il tragitto attraverso un muro umano di No Tav, migliaia
di persone.
Ad Almese c'era il solito popolo No Tav: uomini e donne di tutte le
età, moltissimi bambini e la ferma determinazione a ribadire la
propria opposizione alla realizzazione di un'opera devastante ed
inutile, destinata ad assorbire ingenti risorse pubbliche per fini
privatissimi.
Lo scacco subito ad Almese dai rappresentanti delle principali
istituzioni locali piemontesi è il segno inequivocabile che la
strategia della carota messa in piedi dal governo Prodi per vincere la
resistenza della popolazione coinvolta dal progetto della nuova linea
ferroviaria ad Alta Velocità tra Torino e Lyon, continua ad
incontrare notevoli difficoltà. Il movimento, messo di fronte
alla pretesa arrogante di fare messe elettorale del lungo lavorio ai
fianchi intrapreso dai si tav del centro sinistra, ha reagito con forza
e con orgoglio, rispedendo al mittente la provocazione dei Tre Re
Ma(n)gi. Le reazioni scomposte del giorno successivo, giunte a tacciare
di fascismo i contestatori della Torino Lyon, il riproporre
ossessivamente il clichè usurato del pericolo anarchico, sono il
segnale inequivocabile delle gravi difficoltà di una compagine
di centro sinistra ormai alle corde.
Onan
2 aprile
Duemila persone in piazza Maggiore hanno contestato la presenza
intollerante e violenta di Giuliano Ferrara che presentava la sua lista
"Aborto? No, grazie". Già un'ora prima dell'arrivo di Ferrara e
Salizzoni (candidato alla Camera per la Regione Emilia Romagna) un
gruppo di donne si posiziona sotto il palco preparandosi alla
contestazione. La neonata Rete per l'autodeterminazione (che comprende
le varie realtà dei centri sociali bolognesi) si era data
appuntamento alle 18 in piazza del Nettuno, che già da ore
blindata dalle forze dell'ordine. La Rete delle Donne e i collettivi
femministi non sono presenti in piazza. Salizzoni nei giorni precedenti
aveva invitato le realtà di donne, affermando di volere essere
difeso dalle femministe. Si preferisce quindi il silenzio, evitando di
fare pubblicità e dare visibilità a questi personaggi,
non cogliendo provocazioni elettorali. Piazza Maggiore si riempie
comunque pian piano di uomini e donne, che con fischi, striscioni,
urla, coprono le parole vergognose di questi personaggi. Ferrara invita
le persone a entrare in piazza, ma per farsi sentire è costretto
a urlare. Il comizio si trasforma in botta e risposta tra Ferrara e le
prime file di contestazione, lancio e rilancio di uova,
pomodori,monetine e quant'altro. Cominciano le cariche da parte della
polizia, che causano una decina di feriti . Sette i denunciati con
accuse che vanno da danneggiamento a resistenza a pubblico ufficiale.
Ancora tensione quando Ferrara è costretto a lasciare la piazza
e la polizia cerca di disperdere i manifestanti. Un gruppo riesce
infine a conquistare il palco, strappando le bandiere e ribadendo che
nessuno può decidere sui nostri corpi, nessuno può
scegliere per noi ciò che è giusto o sbagliato e che la
difesa della vita a tutti i costi si sta tramutando in un controllo
continuo dei nostri corpi.
4 aprile
Nel tardo pomeriggio era previsto in Piazza Maggiore il comizio del
fascista Stefano Morselli (La Destra-Fiamma Tricolore), un senatore ed
ex-picchiatore bolognese che recentemente ha aggredito pure i commessi
parlamentari, un partito che accoglie tra le sue file neonazisti come
Maurizio Boccacci e Piero Puschiavo. Dopo i volantinaggi della mattina,
alle 16 l'Assemblea Antifascista Permanente ha organizzato un presidio
comunicando con i passanti che dopo poche ore ci sarebbero stati dei
fascisti in Piazza Maggiore, gli stessi che durante la notte picchiano
militanti dei centri sociali, migranti, gay, lesbiche e che di giorno
vengono autorizzati a blaterare nelle piazza italiane, inneggiando a
valori quali la famiglia tradizionale, la patria, la difesa della vita,
l'odio per la diversità. I fasci aprono il loro comizio con
l'inno d'Italia, sparando in aria palloncini bianchi rossi e verdi. Con
un corteo vivace e musicale si è raggiunta piazza del Nettuno
dove a poche centinaia di metri dal palco, oltre un migliaio di persone
hanno partecipato al rumorosissimo presidio promosso dai centri
sociali: slogan, urla, fischi, cori di canzoni di lotta hanno
sovrastato le parole di Morselli. Pochissimi invece i partecipanti al
comizio, tanto che Morselli ha rimproverato le forze dell'ordine per la
scelta di chiudere ogni accesso a Piazza Maggiore. Il presidio si
è poi spostato in corteo da Piazza Nettuno alla vicina Piazza
San Francesco: apriva il camion e lo striscione di Crash ("Contro
fascismo razzismo e sessismo").
In entrambe le occasioni la risposta della città è stata
forte e in modalità diverse, ma tutte legate da un filo:
l'opposizione a chi fa dell'attacco alle libertà individuali, il
proprio cavallo di battaglia. Ragazze e ragazzi delle superiori, delle
università, dei centri sociali, ma soprattutto le persone che
vivono Bologna, donne e uomini in una variegata e popolata piazza, che
non hanno potuto tacere davanti alla provocazione di lanciare due
comizi carichi di intolleranza, come quelli di Ferrara e de La Destra.
Una risposta radicale che ha ribadito le tensioni che attraversano la
città e che ha visto una buona interazione tra la città e
il movimento, dando nuove forze per rilanciare le lotte che,
dall'antisessismo all'autodeterminazione, dall'antifascismo
all'autogestione, all'occupazione, sono presenti a Bologna. Un bilancio
positivo quindi quello dei due momenti vissuti in città, che
incitano a continuare le lotte tentando di allargarle ulteriormente nel
tentativo di dare risposte unitarie e forti, ad attacchi da parte del
potere, sempre più aggressivi e capillari.
RedB