È stato un fine settimana segnato dalle rivolte causate
dall'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari: in Tailandia sono
stati presi d'assalto i depositi delle scorte di riso, ad Haiti le
manifestazioni hanno provocato 5 morti e le dimissioni del primo
ministro, in Burkina Faso ci si trova alla vigilia di uno sciopero
generale, scontri sanguinosi sono avvenuti anche in Egitto, Tunisia,
Camerun (*). Le rivolte della fame non sono episodiche, derivate da
situazioni particolari, ma strutturali: quando il prezzo del riso
aumenta del 52% in due mesi, quello dei cereali dell'84% in quattro
mesi è chiaro che viene messa in discussione la sopravvivenza
stessa di miliardi di persone visto che nei paesi poveri fra il 60 e il
90% dei redditi servono per acquistare cibo. Se si pensa che già
prima degli aumenti vertiginosi degli ultimi mesi, nei paesi poveri un
bimbo di età inferiore ai dieci anni moriva ogni 5 secondi,
è evidente che quella che si annuncia è una ecatombe che
colpirà le popolazioni più vulnerabili.
È facile prevedere un'ondata di rivolte, di conflitti, di
destabilizzazione regionali incontrollabili caratterizzate dalla
disperazione di milioni se non miliardi di essere umani.
Tutto questo avviene nell'indifferenza dei padroni del mondo, paesi
ricchi e paesi emergenti. Mentre i paesi poveri affondano, negli Stati
Uniti grazie a 6 miliardi di sovvenzioni si prepara un vero crimine
contro l'umanità: sostituire con i biocarburanti il 17% degli
attuali consumi per i trasporti; questo vuol dire togliere 138 milioni
di tonnellate di mais dal mercato alimentare. L'Europa, dal canto suo,
si è posta l'obiettivo, fatto passare come alternativo anche da
tanti ambientalisti, di arrivare a sostituire con i biocarburanti il
20% dei propri consumi per i trasporti. Già oggi, dal 20 al 50%
della produzione mondiale di mais o di colza sono utilizzati per
produrre biocarburanti. Tutto ciò è miope e
autodistruttivo.
Intanto qualcuno approfitta della crisi per lanciare una nuova "rivoluzione verde" fondata sugli… OGM!
La crisi alimentare di questi mesi ha anche altre cause, economiche (le
liberalizzazioni imposte dagli organismi finanziari internazionali -
FMI e Banca mondiale - negli ultimi 10 anni e la crisi dei derivati che
spingono i fondi di investimento a rivolgersi verso le materie prime
alimentari, gonfiandone il prezzo) e climatiche (siccità in
Australia e Kazakistan, inondazioni in Asia, uragani in America latina
e inverno rigido in Cina).
Non ci dobbiamo illudere che le rivolte del pane si fermino alla
periferia del nostro mondo consumistico. Se non vogliamo trasformare le
nostre società in fortezze assediate, destinate comunque a
cadere sotto la pressione dei diseredati del mondo, dobbiamo
trasformare profondamente le società "ricche" a partire
dall'azione dei movimenti sociali, una trasformazione finalizzata a
costruire un'alternativa al capitalismo, l'alternativa libertaria,
ecologista e antistatalista, che la faccia finita con il dirigismo
autoritario di stampo leninista o socialdemocratico.
Missione difficile? Senza dubbio, però vale la pena di tentare.
Ken Parker
(*) sabato 12 e domenica 13 aprile