Umanità Nova, n.15 del 27 aprile 2008, anno 88

La Resistenza continua! 25 aprile 2008: a 70 anni dalle leggi razziali


In occasione del 25 Aprile, il giorno che nel 1945 vide iniziare l'insurrezione partigiana, può essere significativo ricordare un altro anno: il 1938, ossia quello in cui il regime fascista introdusse le Leggi razziali.
Sottolineare tale evento assume infatti sia un'importanza storica che una valenza politica attuale.
Da più parti, infatti, in questi anni si è cercato di attenuare le responsabilità del fascismo italiano tentando di separarle dagli orrori legati al regime del terrore nazista, oppure rapportandole a quelle della dittatura stalinista.
Qualsiasi storico con un minimo di serietà sa che tali paragoni non sono attendibili, anche volendo accreditare una comune matrice totalitaria, in quanto si tratta di movimenti e regimi differenti e in contesti non meno diversi; ma, evidentemente, l'uso politico della storia fatto da parte della destra ha come fine evidente l'assoluzione morale e politica del fascismo e di Mussolini.
Le Leggi razziali del 1938 che pianificarono la discriminazione degli ebrei italiani dimostrano invece, da un lato la sudditanza del fascismo italiano nei confronti del nazismo tedesco, dall'altro la vocazione razzista insita nell'ideologia fascista e di conseguenza la complicità materiale coi meccanismi dello sterminio attuato nell'universo concentrazionario.
D'altra parte, lo stesso Mussolini nel 1919 aveva sostenuto che bolscevichi e finanzieri plutocrati appartenevano alla stessa razza semitica e che quindi erano da ritenersi nemici della razza pura ariana.
La discriminazione legale pianificata dallo Stato fascista risulta, a tutti gli effetti, essere stata la premessa degli esiti della soluzione finale consumata nei lager.
In quasi tutte le città italiane, fu infatti sulla base della schedatura compiuta attraverso il censimento obbligato dei cittadini ebrei nel '38, che le SS attuarono rastrellamenti, eccidi e deportazioni. Tali liste furono fornite ai nazisti sia dalle zelanti Questure, come avvenuto a Milano, sia dalle Federazioni dei Fasci, come a Roma.
La stessa Repubblica Sociale Italiana nel creare la sua legislazione razziale ricalcò le Leggi del '38, inasprita da un fascista della prima ora come Giovanni Preziosi e messa in pratica dalle brigate nere e dalle milizie di Salò che unirono alla feroce persecuzione pure spoliazioni e ruberie legalizzate.
Le Leggi del '38 ebbero comunque una genesi che merita un'ulteriore riflessione, in quanto trovarono fondamento nel Manifesto della Razza, firmato da dieci presunti scienziati e sottoscritto da 329 personalità appartenenti ai più importanti settori nazionali: magistrati, docenti universitari, giornalisti, medici, prelati, artisti, economisti, militari.
In tale Manifesto, prima di affermare che "Gli ebrei non appartengono alla razza italiana", veniva stabilita l'esistenza di grandi e piccole razze e quindi respinta ogni possibile contaminazione, anche nel passato più lontano, con gli Africani e gli Arabi.
Inoltre, non si può non citare la collegata creazione del Consiglio superiore della Demografia e della Razza che vedeva la folta partecipazione di ordinari delle diverse branche universitarie che, non casualmente, spaziavano dalla Genetica e Biologia delle Razze alla Ostetricia e Ginecologia, dalla Clinica Pediatrica alla Zoologia. Lo stesso Consiglio che si sarebbe occupato anche degli incrementi demografici, condannando l'omosessualità come comportamento "antinazionale" e relegando le donne al ruolo di procreatrici di figli maschi da offrire alla patria e al duce.
Altra circostanza solitamente sottaciuta è che, proprio nel 1938, prese avvio la sistematica persecuzione dei nomadi, soprattutto rom, attraverso il loro invio coatto nelle isole destinate alle misure di confino e la miserabile prigionia nei campi di internamento e concentramento in territorio italiano, sovente anticamere per la deportazione e lo sterminio nei lager nazisti. D'altra parte nei confronti degli "zingari", neanche citati nel Manifesto della razza, le autorità di polizia avevano aderito fin dai primi anni del fascismo alle direttive del Ministero dell'Interno che, nel 1926, aveva ribadito la necessità di "epurare il territorio nazionale della presenza di carovane di zingari, di cui è superfluo ricordare la pericolosità nei riguardi della sicurezza e dell'igiene pubblica".
Direttive che, persino nelle parole, ci riportano al presente.
Bastano questi frammenti di memoria, non solo per ritrovare il senso della liberazione dall'incubo nazifascista, ma anche per rendersi conto di quanto l'antifascismo debba coniugarsi alla lotta contro il sessismo e il razzismo di Stato.

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