In occasione del 25 Aprile, il giorno che nel 1945 vide iniziare
l'insurrezione partigiana, può essere significativo ricordare un
altro anno: il 1938, ossia quello in cui il regime fascista introdusse
le Leggi razziali.
Sottolineare tale evento assume infatti sia un'importanza storica che una valenza politica attuale.
Da più parti, infatti, in questi anni si è cercato di
attenuare le responsabilità del fascismo italiano tentando di
separarle dagli orrori legati al regime del terrore nazista, oppure
rapportandole a quelle della dittatura stalinista.
Qualsiasi storico con un minimo di serietà sa che tali paragoni
non sono attendibili, anche volendo accreditare una comune matrice
totalitaria, in quanto si tratta di movimenti e regimi differenti e in
contesti non meno diversi; ma, evidentemente, l'uso politico della
storia fatto da parte della destra ha come fine evidente l'assoluzione
morale e politica del fascismo e di Mussolini.
Le Leggi razziali del 1938 che pianificarono la discriminazione degli
ebrei italiani dimostrano invece, da un lato la sudditanza del fascismo
italiano nei confronti del nazismo tedesco, dall'altro la vocazione
razzista insita nell'ideologia fascista e di conseguenza la
complicità materiale coi meccanismi dello sterminio attuato
nell'universo concentrazionario.
D'altra parte, lo stesso Mussolini nel 1919 aveva sostenuto che
bolscevichi e finanzieri plutocrati appartenevano alla stessa razza
semitica e che quindi erano da ritenersi nemici della razza pura ariana.
La discriminazione legale pianificata dallo Stato fascista risulta, a
tutti gli effetti, essere stata la premessa degli esiti della soluzione
finale consumata nei lager.
In quasi tutte le città italiane, fu infatti sulla base della
schedatura compiuta attraverso il censimento obbligato dei cittadini
ebrei nel '38, che le SS attuarono rastrellamenti, eccidi e
deportazioni. Tali liste furono fornite ai nazisti sia dalle zelanti
Questure, come avvenuto a Milano, sia dalle Federazioni dei Fasci, come
a Roma.
La stessa Repubblica Sociale Italiana nel creare la sua legislazione
razziale ricalcò le Leggi del '38, inasprita da un fascista
della prima ora come Giovanni Preziosi e messa in pratica dalle brigate
nere e dalle milizie di Salò che unirono alla feroce
persecuzione pure spoliazioni e ruberie legalizzate.
Le Leggi del '38 ebbero comunque una genesi che merita un'ulteriore
riflessione, in quanto trovarono fondamento nel Manifesto della Razza,
firmato da dieci presunti scienziati e sottoscritto da 329
personalità appartenenti ai più importanti settori
nazionali: magistrati, docenti universitari, giornalisti, medici,
prelati, artisti, economisti, militari.
In tale Manifesto, prima di affermare che "Gli ebrei non appartengono
alla razza italiana", veniva stabilita l'esistenza di grandi e piccole
razze e quindi respinta ogni possibile contaminazione, anche nel
passato più lontano, con gli Africani e gli Arabi.
Inoltre, non si può non citare la collegata creazione del
Consiglio superiore della Demografia e della Razza che vedeva la folta
partecipazione di ordinari delle diverse branche universitarie che, non
casualmente, spaziavano dalla Genetica e Biologia delle Razze alla
Ostetricia e Ginecologia, dalla Clinica Pediatrica alla Zoologia. Lo
stesso Consiglio che si sarebbe occupato anche degli incrementi
demografici, condannando l'omosessualità come comportamento
"antinazionale" e relegando le donne al ruolo di procreatrici di figli
maschi da offrire alla patria e al duce.
Altra circostanza solitamente sottaciuta è che, proprio nel
1938, prese avvio la sistematica persecuzione dei nomadi, soprattutto
rom, attraverso il loro invio coatto nelle isole destinate alle misure
di confino e la miserabile prigionia nei campi di internamento e
concentramento in territorio italiano, sovente anticamere per la
deportazione e lo sterminio nei lager nazisti. D'altra parte nei
confronti degli "zingari", neanche citati nel Manifesto della razza, le
autorità di polizia avevano aderito fin dai primi anni del
fascismo alle direttive del Ministero dell'Interno che, nel 1926, aveva
ribadito la necessità di "epurare il territorio nazionale della
presenza di carovane di zingari, di cui è superfluo ricordare la
pericolosità nei riguardi della sicurezza e dell'igiene
pubblica".
Direttive che, persino nelle parole, ci riportano al presente.
Bastano questi frammenti di memoria, non solo per ritrovare il senso
della liberazione dall'incubo nazifascista, ma anche per rendersi conto
di quanto l'antifascismo debba coniugarsi alla lotta contro il sessismo
e il razzismo di Stato.
Anti