Perché il merito è
segno di civiltà, oltre che di equità. Premiare chi
merita significa riconoscere le persone per quello che valgono, per il
loro impegno e non per la loro estrazione sociale. La nostra rimane
invece una società incentrata sulle caste, dove la
mobilità sociale è bassissima, dove i figli perpetuano il
lavoro dei padri, dove c'è poco posto per i giovani nelle
posizioni di vertice della politica e delle professioni.
(intervento di Luca Cordero di
Montezemolo in occasione dell'inaugurazione dell'a.a. 2007/2008 della
LUISS, citato da Libero, 5 dicembre 2007)
Montezemolo ha riservato al
successore un augurio speciale, con parole di Goethe: «Nel
momento in cui uno si impegna a fondo, anche la provvidenza allora si
muove. Infinite cose accadono per aiutarlo, cose che altrimenti non
sarebbero mai avvenute. Qualunque cosa tu possa fare o sognare di poter
fare, incominciala! L'audacia ha in sé genio, potere e magia:
incominciala adesso».
Da "Il Corriere della Sera" del 19 aprile 2008
Mi capita spesso di riflettere, quando ragiono sulle vicende sociali e
sul modo di interpretarle, sulla definizione di generazione come
assieme di individui che hanno vissuto comuni esperienze fondanti.
Ad esempio, capita a me, e non solo a me, quando penso all'ex
presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo, di
identificarlo con uno dei periodi della sua vita privata, vale a dire
con il matrimonio con Edwige Fenech, una nota artista ungherese i cui
molti film svolsero un ruolo importante nella formazione della
generazione del '68.
Un dirigente industriale dunque ma anche un amante dell'arte e dello
spettacolo e, per dirla tutta dell'arte e dello spettacolo popolari
nonostante un certo qual stile sabaudo che caratterizza lui e
caratterizzava il suo mentore Giovanni Agnelli.
Credo, però, che prima di ragionare sulle recenti esternazioni
di Montezemolo, valga la pena di fare un breve passo indietro. Chi
andasse al sito http://www.ilgiornaledellaliberta.it/ organo dei
Circolo della Libertà di Michela Vittoria Brambilla troverebbe,
proprio in data 18 aprile 2008, un'intervista a Raffaele Bonanni,
segretario generale della CISL, che, senza ambage, si dichiara
favorevole all'indebolimento del contratto nazionale a favore della
contrattazione aziendale, alla detassazione degli straordinari, al
federalismo fiscale, ad un rapporto non conflittuale con il nuovo
esecutivo e manda un segnale netto e chiaro alla CGIL sulla non
opportunità di andare allo scontro sindacale.
Raffaele Bonanni, notoriamente, non è un raffinato intellettuale
in stile FIOM né ha un eccezionale carisma ma dirige la seconda
confederazione sindacale e quando si esprime sulle questioni sociali,
come si suol dire, pesa e pesa molto. È perfettamente chiaro
quale operazione stia tentando, una replica di quella che
caratterizzò i rapporti fra CISL e Berlusconi 2 fra il 2001 ed
il 2006 con la CISL e la UIL "ragionevoli" e la CGIL in angolo a
putiferiare, naturalmente con molto, moltissimo, giudizio.
È ben vero che il ridimensionamento dell'UDC ridimensiona la
componente democristiana del centrodestra ma è anche vero che il
PdL mantiene una robusta componente filo Cisl e che la stessa AN,
interessata allo sdoganamento dell'UGL, è più che
disponibile a reiterare l'operazione già posta in essere fra il
2001 ed il 2006 con qualche successo e qualche difficoltà.
A maggior ragione l'intervento di chiusura della presidenza della Confindustria da parte del nostro eroe ha fatto impressione.
Su "La Repubblica" del 19 aprile Roberto Mania scrive "Finisce l'epoca
Montezemolo in Confindustria. Finisce con la standing ovation dei
tremila all'Auditorium Giovanni Agnelli al Lingotto per il convegno del
centro studi. Finisce nella commozione e con il passaggio del testimone
al nuovo presidente Emma Marcegaglia, che si insedierà tra un
mese." E che cosa applaudono sino a spellarsi le mani i tremila
esponenti del padronato nazionale?
LCdM afferma con maramaldesco ardire: «Il risultato delle
elezioni conferma quanto andiamo dicendo da tempo: i lavoratori non si
sentono più rappresentati da forze politiche e sociali incapaci
di dare risposte vere ai loro problemi concreti. E sono più
vicini alle nostre posizioni che non a quelle dei sindacalisti.
È ormai chiaro che il rifiuto di guardare in che direzione va il
mondo serve solo a difendere se stessi».
Non è necessaria una grande sapienza sociologica per riconoscere
che la prima asserzione ha un qualche fondamento. Meno fondata appare
la seconda a meno che il termine "vicinanza" sia sinonimo di
subalternità.
Riferendosi alla detassazione degli straordinari, sullo stesso
articolo, leggiamo: «Significherebbe - sostiene il presidente
della Fiat - pagare di più chi lavora di più. Si farebbe
un importante passo in avanti sulla strada di un nuovo modo di fare i
contratti: un livello nazionale più snello, quote maggiori di
retribuzione legate ai risultati a livello aziendale».
Insomma LCdM, nel mentre liquida il vecchio movimento operaio senza
nemmeno concedergli un parce sepulcro, passa subito all'incasso: legare
il salario all'andamento delle aziende e rilanciare, miracoli della
modernità!, il buon vecchio cottimo.
È assolutamente evidente che, stanti gli attuali rapporti di
forza fra le classi, un operazione del genere non può cha
apparire assolutamente conveniente al padronato sia perché
rafforzerebbe la sottomissione dei lavoratori e delle lavoratrici alle
regole del mercato che perché scaricherebbe sulla
fiscalità generale quote del costo del lavoro.
E lo stesso uomo che, ai tempi, era subentrato al berlusconiano D'Amato
affermando l'autonomia di Confindustria afferma serenamente: "Dopo il
voto di domenica si apre davvero una nuova fase. È importante
che la coalizione che ha vinto le elezioni abbia messo in agenda per il
primo Cdm la detassazione degli straordinari e del salario variabile.
Non si tratta solo di un provvedimento che va nella giusta direzione ed
è gradito al lavoratori perché ne vedono i benefici.
È anche un'inversione di tendenza di fondamentale portata nel
modello di relazioni industriali che noi vogliamo fortemente innovare".
Le reazioni dei segretari generali non si fanno attendere. Il buon
Raffaele Bonanni, che vede la sua profferta così brutalmente
respinta, parla di populismo. In realtà non si vede cosa c'entri
il populismo ma, come si suol dire, è termine colto e pochi ne
conoscono il significato e, di conseguenza, è sempre opportuno.
Guglielmo Epifani, segretario della CGIL, dichiara algido: "Con le sue
dichiarazioni il presidente di Confindustria sta soffiando sul fuoco di
una condizione sociale molto pesante". Come al solito, la CGIL si
propone come forza d'ordine a fronte di un padronato un po' troppo
vispo.
Nel mazzo, dobbiamo riconoscerlo, la risposta del leader della Uil,
Luigi Angeletti è la meno penosa ed, anzi, è sin
spiritosa: "Se fosse così saremmo tutti contenti. Gli
industriali trattassero meglio i lavoratori, così questi saranno
ancora più vicini".
È, d'altro canto, interessante rilevare che i dirigenti della
destra, forse spiazzati dall'ardito LCdM, hanno segnalato un certo
disagio e preso le distanze dalla sua aggressività.
Sospetto che le prese di posizioni ragionevoli, ad esempio di Maroni e
Calderoli come quella che riportiamo nascano dalla consapevolezza che
governare una fase difficile contro i sindacati concertativi non sia
uno scherzo.
"Roberto Maroni, capogruppo della Lega Nord alla Camera e già
ministro del Welfare nel governo Berlusconi, che cosa pensa delle
dichiarazioni del presidente di Confindustria Montezemolo che ha
definito i sindacati «professionisti del veto»?
«Montezemolo dice cose
condivisibili nel merito perché una parte dei sindacati ha un
atteggiamento conservatore, è schierato ideologicamente ed
è contrario a qualsiasi innovazione significativa nel modello
contrattuale. Ma si tratta di una parte: la Cisl ha sempre sostenuto la
necessità di innovare, mentre la Cgil ha tenuto un atteggiamento
negativo. Nel metodo, però, non credo che sia opportuna una
operazione "Confindustria contro sindacato" perché occorre
superare le divisioni e lavorare per far fronte alla crisi».
Quindi è d'accordo con il suo collega di partito Calderoli che
ha auspicato maggior «senso di responsabilità »
perché non è il momento dei «regolamenti di
conti»?
«Sì, è il momento
di mettere da parte la campagna elettorale e considerare che siamo
tutti chiamati ad affrontare una stagione difficile che richiede
riforme importanti. Il sindacato non può pensare di essere la
parte che pone veti ma non vorrei che qualcuno si fosse messo in testa
che, visto che la sinistra radicale è fuori dal Parlamento, si
possa fare a meno di dialogare con loro. Sarebbe un grave errore
emarginare questa parte che è presente nel sindacato».
Dall'articolo "Maroni: la CGIL può sparire come la sinistra" in "Il Giornale" del 21 aprile 2008
D'altro canto, è evidente che settori del padronato ritengono
che sia il momento di spostare a proprio favore gli equilibri sociali
tagliando, fra l'altro, i costi della burocrazia sindacale che appaiono
loro, a torto o a ragione, come eccessivi in una fase di relativa
debolezza della classe.
Un'operazione, per definizione, pericolosa.
Cosimo Scarinzi