Umanità Nova, n.15 del 27 aprile 2008, anno 88

26 aprile 1986: esplode il reattore di Chernobyl. Salute e ambiente in un sarcofago di menzogne


Il 26 aprile 1986 è una data impossibile da dimenticare. È la data del più grande incidente nucleare della storia. Durante un esperimento, gli operatori della centrale di Chernobyl persero il controllo del reattore che esplose emettendo una quantità gigantesca di radioattività che nei giorni immediatamente successivi al disastro contaminò un'area vasta dai 125mila ai 146mila chilometri quadrati di territori situati in Ucraina, Bielorussia e Russia. Gli abitanti della vicina città di Pripyat, 45mila abitanti di cui 16mila bambini o adolescenti, ricordano il 26 aprile 1986 come il primo giorno caldo di primavera. Una triste primavera. Successivamente la nube radioattiva arrivò in almeno 14 paesi europei, fra cui l'Italia. Per spegnere l'incendio provocato dall'esplosione ci vollero la sabbia e il piombo lanciati da ben 1800 voli di elicottero. Nei primi dieci giorni seguiti all'incidente furono evacuate circa 130mila persone che vivevano in un raggio di 30 chilometri dalla centrale a cui si aggiunsero successivamente altre 40mila persone. La notizia ufficiale del disastro fu data dalle autorità sovietiche solo tre giorni dopo l'esplosione mentre i laboratori di ricerca e di analisi europei stavano rilevando un allarmante aumento della radioattività nell'aria.
L'enorme "sarcofago" costruito nel novembre 1986 dalle autorità sovietiche per cercare di chiudere ermeticamente il nocciolo del reattore si sta lentamente ma inesorabilmente sgretolando e poiché dentro il "sarcofago" c'è ancora molto materiale tossico e radioattivo, l'area di Chernobyl rimane ancora parecchio pericolosa, tanto che un'area di 16 miglia attorno all'impianto è ancora chiusa ed è raggiungibile solo se si è in possesso di una speciale autorizzazione.
Dopo 22 anni dal disastro si sta ancora lavorando per mettere in sicurezza il sito: il progetto, finanziato in gran parte dagli Stati Uniti, sarà costituito da un enorme arco di acciaio che con i sui 345 metri di altezza - sarà più alto della statua della libertà – e i suoi 840 metri di larghezza costituirà un enorme e triste monumento in ricordo di una tragedia che ha coinvolto milioni di persone. Ma non risolverà il problema perché potrà durare al massimo altri 100 anni dopo di che bisognerà rifarne uno nuovo. E tutto per l'esplosione di una centrale nucleare!
Ma sul disastro di Chernobyl è stato creato un secondo grande "sarcofago", quello che ha cercato di murare le conseguenze sulla salute e sull'ambiente. La lobby nucleare ha abilmente utilizzato la struttura dell'ONU incaricata di favorire lo sviluppo del nucleare di pace (AIEA) e i suoi legami con un'altra istituzione internazionale, l'Organizzazione mondiale della sanità, per impedire che fosse fatta chiarezza sulle vere conseguenze del disastro. Queste manovre sono culminate nel rapporto pubblicato nel settembre 2005 dal Chernobyl Forum, costituito da "insigni" scienziati assoldati dall'AIEA. Il vergognoso documento ha stimato in 4mila il numero di persone decedute a causa dell'incidente, arrivando a dichiarare che le conseguenze del disastro erano state sovrastimate dalle autorità degli Stati più direttamente colpiti.
La stampa internazionale ha ripreso con grande evidenza queste notizie che però rimangono quello che sono: meschine bugie! Il fatto è che a causa della varietà degli impatti sulla salute umana della nube radioattiva nessuno potrà mai dire con certezza quali sono state, sono e saranno le conseguenze del disastro: le stime variano dalle 4mila del Chernobyl Forum alle 200mila – e solo per Russia, Bielorussia e Ucraina negli anni fra il 1990 e il 2004– calcolate dall'Accademia russa delle scienze.
"L'incidente di Chernobyl è unico nel suo genere. Possiamo solo sperare che esso rimanga tale. Questa generazione ne ha visto l'inizio ma è improbabile che ne veda la fine" (rapporto 2006 di Greenpeace). La maniera più semplice per evitare che si ripeta una seconda Chernobyl è chiudere le centrali atomiche esistenti e non costruirne di nuove!
In Italia, la lobby nucleare ha rialzato la testa. C'era da aspettarselo. Prima la Edison, 13 marzo, ha pubblicizzato un proprio studio che prevede la costruzione di 5 o 10 centrali nucleari entro il 2019, poi è stata fatta circolare una mappa di 10 siti ritenuti adatti ad ospitare i nuovi impianti atomici, infine la A2A milanese-bresciana ha comunicato di aver affidato a cinque università milanesi uno studio che suggerisca al governo modi e tempi per il ritorno dell'Italia al nucleare. Al termine della lunga intervista rilasciata al Corriere economia del 14 aprile, il presidente della A2A, Zuccoli, ha affrontato il problema dei rischi: "Posto che trattamento delle scorie e decommiossioning [smantellamento e messa in sicurezza dopo la sua chiusura, nda] delle centrali toccherebbero alla SOGIN, tutti gli altri rischi ce li assumeremmo noi. Tutti tranne il rischio catastrofico sul quale credo serva un supplemento di riflessione". Ecco, bravo, rifletta assieme ai suoi compari su chi si assumerà gli oneri di un incidente catastrofico tipo Chernobyl. Da parte nostra, in attesa che lorsignori ci facciano sapere cosa hanno deciso, li informiamo che ci stiamo preparando a riprendere la battaglia antinucleare. Gli argomenti non ci mancano, la voglia pure. D'altra parte abbiamo già vinto una volta…

A. Ruberti

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