Le pagine della Resistenza iniziano, come fenomeno di massa, ed
è bene ricordarlo, con ondate di giovani renitenti alla leva,
ovvero con la diserzione di massa. Dopo la proclamazione della
Repubblica Sociale, il 23 settembre 1943, viene nominato Ministro della
Difesa della R.S.I., il generale Rodolfo Graziani, il quale ha il
compito di organizzare il nuovo esercito repubblichino, a fianco dei
nazisti, al principio interamente formato da internati italiani nei
campi di concentramento tedeschi e da manipoli di fascisti convinti
aderenti alla Repubblica Sociale. Successivamente Graziani emana bandi
di richiamo alla leva obbligatoria che riguardano i giovani nati negli
anni tra il 1924 ed il 1927. Molti di questi non si presentano e
c'è chi scappa all'estero, chi si nasconde e chi, poi,
andrà ad ingrossare le fila della Resistenza. Altri, invece,
già militari di stanza in Russia, Balcani, Grecia,
Africa…, una volta rimpatriati, decidono di usare le armi in
altro e migliore modo, ovvero contro i nazi-fascisti. La sfida di
questi giovani e giovanissimi è totale: la pena per chi diserta
è la morte, come dal secondo bando Graziani proclamato il 18
febbraio 1944. I numeri, mai definiti in maniera univoca, parlano di
circa 300.000 partigiani in armi e non alla fine del 1945 e di una rete
di solidarietà sociale di diversi milioni di persone. Quindi un
fenomeno di massa, giovanile e pronto a giocarsi il bene più
prezioso: la propria vita e quella degli altri fratelli e sorelle
contro i quali si decide di non combattere.
La Resistenza si può declinare sicuramente in senso plurale:
ragioni simili, obiettivi comuni, ma prospettive diverse. In questo
senso è stata di grande aiuto, dal punto di vista storiografico,
la tripartizione (guerra patriottica, guerra civile e guerra di classe)
operata da Claudio Pavone ne "Una guerra civile. Saggio storico sulla
moralità nella Resistenza", Torino, Bollati Boringhieri, 1991:
"Il riferimento forse più significativo è quello alla
presenza di tre diverse figure di nemico (…) Per di più
nella formula "guerra di liberazione nazionale" resta qualcosa di
imprecisato: da che cosa bisogna liberare la nazione?
Dunque, il nemico nella guerra patriottica è lo straniero
invasore, e cioè il tedesco. (…) Il tedesco invasore
però era anche nazista, non era un invasore privo di qualifiche
politiche e ideologiche: e questo ci porta già sul terreno della
guerra civile, come grande guerra civile europea.
Nella guerra civile il nemico era il fascista, proprio come figura
politico-esistenziale, che era tale non solo per i garibaldini, ma
anche per i GI, e per una parte almeno dei liberali, dei moderati, dei
cattolici. Il fascismo era un fenomeno globale che andava combattuto
anche se non se ne riconoscevano le radici o per lo meno le componenti
di classe. Questo è un concetto importante da tenere presente,
perché altrimenti si finirebbe con il riproporre l'ortodossia
terzintenazionalista secondo la quale il fascismo è solo un
fenomeno di classe, per cui essere "antifascisti conseguenti" ed essere
proletari e, soprattutto, comunisti coincide. (…) Qui si
potrebbe riconoscere quanto c'era di giusto nella storiografia
operaista, e cioè che per un operaio politicizzato il padrone
era una figura che trascendeva lo stesso fascista: c'era cioè
un'oppressione di classe nel corso della quale i padroni s'erano
serviti del fascismo, e proprio per questo nel combattere i fascisti
bisognava cogliere l'occasione storica per combattere anche i padroni,
i quali, fascisti o non fascisti, andavano comunque combattuti: cosa
che un liberale sinceramente antifascista non avrebbe mai ammesso. La
distinzione della terza guerra rispetto alla seconda dunque si
ripropone (...)"
E poi veniamo ad un altro pezzo della Resistenza, a quella più
propriamente nostra, a quella anarchica: piccola numericamente, molto
spesso all'interno di altre formazioni, in particolare di Giustizia e
Libertà, delle Brigate Matteotti e delle Brigate Garibaldi.
Numeri piccoli (forse 2000 combattenti in tutto), ma che devono tenere
in gran conto le persecuzioni precedenti, il carcere ed il confino
soprattutto.
E poi le Brigate anarchiche vere e proprie:
A Milano le Brigate "Bruzzi" e "Malatesta", che agiscono soprattutto
nella zona di Porta Ticinese e che, subito prima della liberazione del
25 aprile, disarmano un'intera colonna tedesca, dando la
possibilità di controllare tutta la zona industriale.
A Piacenza comandante di tre divisioni e di 11 Brigate, per un totale di 11.000 combattenti è l'anarchico Emilio Canzi.
A Torino gli anarchici hanno il loro punto di forza alle Ferriere ed un
punto di presenza combattentistica importante nelle S.A.P. "Pietro
Ferrero".
A Carrara e in tutto l'appennino ligure-tosco-emiliano gli anarchici
operano con 3 formazioni ed una divisione, oltre che decine di gruppi.
La prima a formarsi fu il Battaglione "Gino Lucetti" e inoltre agiscono
la "Michele Schirru", la divisione "Garibaldi Luneense" e la formazione
"Elio Volkievic.
A Pistoia le prime formazioni partigiane sono formate da anarchici e da
militanti del Partito Comunista Libertario (nato nel 1939). Tra queste,
la formazione che, alla morte del suo comandante, prenderà il
nome di "Silvano Fedi".
In Carnia sin dall'8 settembre si costituiscono dei piccoli gruppi
locali che iniziano a raccogliere i soldati della divisione Julia e ad
inviarli nelle montagne a combattere. Iniziano inoltre un'opera
sistematica di raccolta di armi nelle caserme fasciste. Guida le
operazioni l'operaio anarchico C. Italo (detto Aso). Gli anarchici
successivamente si inseriscono nei quadri della divisione
Garibaldi-Friuli, dando prova di grande valore (come Aso, che fu ucciso
nell'assalto ad una caserma tedesca).
A Genova "Francesco Ogno, Nicolò Turcinovich, Emilio Grassini,
Pietro Pozzi, Giuseppe Verardo e altri compagni del ponente cittadino,
subito dopo l'8 settembre organizzano quello che sarà il nucleo
della futura Brigata SAP Malatesta. Vittorio Barazzoni, Adelmo Sardini
e Antonio Pittaluga fanno lo stesso per il levante cittadino, mentre in
centro città Gastone Cianchi organizza il distaccamento
libertario che prenderà il suo nome e Virgilio Mazzoni e Bruno
Rigo gettano le basi di quella che sarà la futura Brigata mista
Lattanti; in Valpolcevera sono attivi Marcello e Enzo Bianconi, attorno
a quest'ultimo si raccoglie un gruppo di giovani libertari; Umberto
Raspi e Antonio Dettori organizzano i primi nuclei nell'estremo ponente
(da Voltri fino a Cogoleto); di altri compagni attivi nei G.A.P.
abbiamo già detto. Un ruolo estremamente importante nel
coordinare questi vari nuclei lo ebbe Vincenzo Toccafondo, che insieme
ad Emilio Grassini rappresentò il trait d'union politico tra
esperienze che spesso crescevano l'una all'insaputa dell'altra.
Questi primi nuclei - particolarmente quelli del ponente - crescono in
fretta per l'afflusso continuo di nuovi elementi, quasi esclusivamente
operai, reclutati dall'opera di proselitismo all'interno delle
fabbriche da parte dei vecchi compagni.
Nei primi mesi del '44 si costituisce la Brigata S.A.P. Malatesta il
cui comandante è Turcinovich, vicecomandante Francesco Ogno e
commissario politico Grassini. I suoi quattro distaccamenti agiscono
nella zona tra Pegli e Cornigliano. Verso l'estate di quello stesso
anno la Malatesta viene - per motivi logistici - divisa in due brigate:
la Malatesta (con zona d'operazione Pegli) e la Pisacane (con zona
operativa Cornigliano). Turcinovich diventa comandante della Pisacane e
Ogno della Malatesta. Il distaccamento "sestrese" della Malatesta,
diventato distaccamento libertario "P.Gori", opera in relativa
autonomia e in coordinamento con le altre brigate S.A.P. di Sestri
Ponente, in particolare con la Brigata S.A.P. Longhi all'interno della
quale agiscono numerosi anarchici. Un altro distaccamento autonomo
libertario (Distaccamento Gaggero) si costituisce a Voltri, dove opera
coordinato alla Brigata S.A.P. Piva .
A queste unità bisognerebbe aggiungere distaccamenti libertari
che sicuramente operarono nell'estremo ponente della provincia
(Arenzano e Cogoleto) e a Prà della cui esistenza non è
possibile dubitare visti gli accenni ripetuti nelle fonti interne di
movimento, ma delle quali non siamo in grado di definire con precisione
l'organico."
Ma con quale spirito e con quali modalità d'azione?
Lascio ancora una volta la parola agli anarchici del tempo:
"Il 22 aprile viene diffuso un numero speciale di Umanità Nova,
sulla cui prima pagina campeggia Ruit hora! (l'ora precipita!). Circa
2000 copie di questo numero clandestino - faticosamente composto e
stampato con mezzi di fortuna - verranno diffuse a chiamare la
popolazione a regolare i conti con i nazi-fascisti. "I compagni
dell'estrema falange Comunista Libertaria Ligure non ignorano il
significato di questa parola d'ordine: Ruit Hora! L'ora dell'azione,
che trae seco l'obbligo di prepararvisi, è imminente. Non
più vane parole: alle armi! Questo nostro grido, più che
un ordine è un ammonimento per tutti i nostri, che aderiscono al
"Fronte Unico dei Lavoratori". L'impegno liberamente assunto di
partecipare con tutte le forze e tutti i mezzi, dei quali potremo
disporre, al movimento di liberazione del paese, ancora occupato dalle
forze oscure del neurospasto nazi-fascista, insieme congiurate in forza
di turpe mercato, acquista ora la forza ed il significato di un
imperativo categorico" recita l'articolo d'apertura. Ma per rendersi
conto che non si tratta del solito appello resistenziale
all'unità delle forze nazionali basta scorrere gli altri
articoli del giornale. Nell'articolo "Quello che vogliamo noi"
c'é la sintetica ma piena enunciazione di un programma
rivoluzionario che trascende la fase: "Noi vogliamo i componenti della
società umana eguali tutti nei diritti e nei doveri... vogliamo
perciò l'abolizione del sistema capitalistico, il quale è
la fonte prima di tutte le ingiustizie umane e sociali... e della
conseguente dominazione politica... perché esercita la forza
coercitiva necessaria per mantenere soggetti al capitalismo gli
sfruttati... vogliamo in conseguenza l'abolizione dello Stato... che
non esistano più classi... vogliamo in conseguenza che ogni
essere umano valido... entri a far parte delle differenti e molteplici
categorie di produttori, e che tutte in ugual modo e ad assoluta
parità di condizioni partecipino all'opera comune di produzione
della ricchezza sociale in misura dei bisogni della comunità
umana... ma sempre tutti in piena parità di diritti in materia
di consumo e privi di qualsiasi privilegio materiale...". E ancora,
guardando al domani della liberazione, nell'articolo "Il pensiero della
Federazione Comunista Anarchica Italiana" troviamo scritto: "Nel
prossimo periodo di attività rivoluzionaria, che deve preparare
la costruzione di una nuova vita sociale, che sorgerà
faticosamente dalle rovine nelle quali il fascismo e il militarismo
lasceranno il paese, ed affinché sia estirpato ogni residuo di
fascismo, e non ne sia possibile la riproduzione, si dovrà
lottare: 1) Contro ogni mascheramento del fascismo che cerchi si
sopravvivere, ossia non si dovrà prestare nessuna fiducia od
appoggio a nessun movimento di fascismo dissidente di destra o di
sinistra; 2) Contro ogni forma sedicente transitoria di dittatura
militare, che prelude all'instaurazione di nuove dittature liberticide,
e quindi anche contro ogni compromesso colla feroce ed inetta
monarchia... Si dovrà poi lottare contro la perpetuazione della
proprietà privata, che essendo originata dal lavoro di tutti,
deve ritornare a tutti, e contro la perpetuazione di frontiere
nazionali, che comportano i pericoli di nuove guerre."
Tutto, o parte di esso, iniziò perché molti, moltissimi
seppero dire di no per fare, dopo, ancora di più e meglio.
La storia poi sappiamo come è andata, ma lo spirito che mosse
quei compagni e quelle compagne è ancora oggi il nostro,
nonostante i detrattori, i mistificatori ed i negatori di ogni sorta.
Pietro Stara