Umanità Nova, n.15 del 27 aprile 2008, anno 88

Le tribù padane tra destra e sinistra. Lega-mi pericolosi


Nel mese appena trascorso, l'astensionista si è trovato spesso nella situazione paradossale di sentirsi addossare la responsabilità della presenza o meno, in Parlamento, della Sinistra Arcobaleno, contenitore elettorale di Prc, PdCI, Verdi, SD.
Dopo la conta dei voti, scopriamo che non sono stati gli astensionisti, o almeno, che essi hanno solo concorso alla sparizione "violenta" del suddetto cartello rosso-verde: un altro partito ha fatto l'asso pigliatutto nell'elettorato tradizionalmente "di sinistra" ed è la Lega Nord.
Alcuni dati, in Veneto, forniscono un quadro preciso e inquietante del colpo grosso leghista, secondo partito regionale per la Camera e terzo per il Senato.
In particolare, Verona è la città che incorona il Carroccio con 187.164 voti, una percentuale di 33,04%, seguita da Vicenza con il 31,12%, Treviso con il 30,95% e Padova con il 24,07%.
La percentuale regionale per la Camera è complessivamente di 27,09% e al Senato di 26,05%.
La Padania in questi giorni pubblica un'intervista a Rosi Mauro, senatrice della Lega Nord e segretario generale del Sindacato Padano, la quale sostiene che "è necessario tornare alla gabbie salariali, a quella contrattazione regionale che adegua i salari e le pensioni al reale costo della vita".
Possibile che le lavoratrici e i lavoratori siano impazziti al punto da credere che le "gabbie salariali" siano la soluzione al crollo dei salari e alla recessione economica in corso?
Spesso, in tempi lontani, si è fatto ricorso al potere del mito, del simbolico, per spiegare processi reali molto complessi. Proviamo a percorrere lo stesso sentiero e affidiamoci ad un cartello elettorale.
Un indiano, con tanto di copricapo pennuto coloratissimo e dal volto rugoso e autorevole, fa da sfondo al manifesto elettorale della Lega Nord. A caratteri cubitali c'è scritto: "loro (gli indiani, n.d.a) non hanno potuto mettere regole all'immigrazione. Ora vivono nelle riserve! Pensaci!"
Pierre André Taguieff, studioso del razzismo, chiama "ritorsione" una siffatta strategia, ovvero l'utilizzo strumentale della lotta di liberazione di una minoranza oggettivamente oppressa e occupata nel proprio territorio per giustificare - in questo caso - la propria lotta razzista e regionalista.
Alain de Benoist sostiene che "si ha diritto a dichiararsi a favore del Black Power a condizione che si sia disposti a fare altrettanto con il White Power, lo Yellow Power o il Red Power", e aggiungerebbero i solerti leghisti, anche con il Padano Power.
Cosa c'entra un manifesto elettorale con i voti scippati dalla Lega al bacino elettorale arcobaleno?
In qualche forma, anche implicita, tutto ciò è legato dal minimo comune denominatore dell'egemonia culturale.
La domanda sottesa allo sfondamento padano in settori operai, proletarizzati, tradizionalmente "di sinistra", è come abbiano fatto a raggiungerli e a conquistarne la fiducia.
Non certo con un manifesto elettorale, sia chiaro. Ma l'utilizzo spregiudicato di un immaginario "vicino" all'idea di liberazione che è percepita a sinistra indica qualcosa. Non è nuovo, certamente, l'uso di terminologie, concetti, finanche acronimi/nomi di organizzazioni di destra mutuate indebitamente dalla sinistra rivoluzionaria.  
Forse il problema, per metà, trova una risposta anche in questo strategico utilizzo di analisi e strategie sinistresche (ormai "sinistrate") verso la "classe" di riferimento della sinistra parlamentare.
Infatti, se da una parte si abbandona ogni riferimento analitico nei confronti della "classe", dall'altra essa stessa non trova nella sua storia culturale, politica, sindacale Pci-ista gli anticorpi necessari per "leggere" la tentazione del differenzialismo regionale, xenofobo e omofobo della Lega.
Aver votato per due anni (almeno) missioni di guerra in varie parti del mondo sancisce qualcosa di più implicito della inammissibile accettazione di morti civili inermi. Sancisce la fine dell'internazionalismo operaio, quel principio secondo il quale ogni lavoratore/lavoratrice è unito/a contro la classe padronale multinazionale. In questo modo, intanto, si demolisce una delle fondamenta portanti dell'uguaglianza di classe, che dovrebbe esistere al di là di differenze etniche, religiose, sessuali, culturali ecc…
Da parte sua la Cgil ha aperto la strada a tale involuzione, sostenendo strenuamente l'economia nazionale e persino il made in Italy, a scapito ovviamente dei lavoratori salariati degli altri Paesi.
Il colpo di grazia al traballante edificio classista-internazionalista viene sferrato, infine, dalla triplice confederale, con l'accettazione sciagurata di contratti atipici, precari, differenziati per migranti o nativi suprematisti bianchi (e non, ovviamente, donne). Anche in questo caso finisce nelle macerie la percezione, prima ancora che "la coscienza", di essere "una" classe, di essere uguali perché tali ci rende il vivere oggettivamente sotto l'oppressione della classe dei proprietari.
Difficilmente un precario si sente uguale ad un lavoratore a tempo indeterminato, così come una donna nei confronti di entrambi, anche a diverso contratto, per non parlare di un migrante e così via.
A fronte di una assenza così vasta di pratica politica, ideale, analitica, culturale, il leghismo ha potuto sostenere facilmente le ragioni di un regionalismo contro tutti gli altri, declinandolo sulla sicurezza, sul contratto di lavoro ecc...
Se un lavoratore italiano può disinteressarsi alla sorte di altri lavoratori colpiti dalle bombe, perché allora un padano non può guadagnare più di un toscano o valere più di un extracomunitario?
Il passo è breve quando si parla di quantità e non di qualità, quando i vasi sono "comunicanti".
È troppo facile scoprire oggi che la classe operaia o il bacino elettorale dei sinistri istituzionali è razzista e omofobo, la verità è che il Re è nudo e le responsabilità sono adeguatamente da spartire tra chi ha egemonizzato quel bacino per decine d'anni. Fino a scoprire, questa si è una scoperta che speriamo acquisita, che rincorrendo la politica della destra la si favorisce sino a giungere alla propria autoliquidazione (aggiungeremmo, senza TFR).
Chi, invece, proprio non ci sta a liquidare la Lega come fenomeno da buttare via senza tanti cerimoniali è Luca Casarini, portavoce di coloro che dieci anni fa si definivano "Autonomi Padani" (e anche "indiani padani").
In un'intervista di qualche giorno fa, con la benedizione di Massimo Cacciari, il caporione disobbediente ha invocato "una Lega di sinistra", evidentemente riferendosi all'incasso di voti ottenuti dal partito padano ai danni "della sinistra ideologica alla Bertinotti". Ma da dove viene questa tentazione di recuperare consensi destro-sinistreschi?
È noto come il fenomeno "Lega" fosse stato notato da Casarini &co nella geniale ed innovativa prospettiva politica del "federalismo municipale" di cui Venezia-Mestre rappresentava il laboratorio. All'epoca si rifiutava di considerare la Lega come mero fenomeno ideologico-culturale, mentre altro era ritenuto "il cuore del problema": il "potere costituente" della Lega, la capacità di inventare ex novo una utopia, seppur "negativa".
L'utopia, positiva, alla quale mirano i leghisti di sinistra sembra essere quella di cavalcare la proposta interclassista e fortemente legata al territorio, della quale la Lega è sostenitrice, e partecipare al banchetto lucroso proposto da Cacciari, prima con il Partito del Nord Est, ed ancora oggi con la proposta di riforma in senso federale dello Stato, grazie alla quale il maggiore potere attribuito alle autonomie locali (Sindaci e Comuni in primis) consentirebbe ai disobbedienti di occupare un posto a "sinistra". Con buona pace della lotta al capitalismo e al neoliberismo.
Del resto, nella corsa a chi rincorre chi, si rischia di avere i capogiri e trovarsi esattamente dalla parte sbagliata della barricata.

Una critica s-legata

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