Salvatore Stefio, uno dei quattro contractor (leggasi mercenari)
italiani che nel 2004 furono catturati dai ribelli iracheni, è
stato rinviato a giudizio con l'accusa di "arruolamento o armamento non
autorizzato a servizio di uno Stato estero", un reato per il quale sono
previste pene fino a 15 anni di reclusione.
Con il suo socio Giampiero Spinelli, Stefio è accusato di aver
arruolato Didri Forese e gli ex ostaggi italiani Umberto Cupertino,
Maurizio Agliana e Fabrizio Quattrocchi. Come ricorderete, quella
vicenda si concluse con la morte di Quattrocchi e la liberazione degli
altri tre ostaggi dopo 56 giorni di prigionia.
A Stefio e a Spinelli la magistratura barese contesta di aver arruolato
Agliana e Cupertino attraverso la Presidium corporation, una
società con sede legale alle Seychelles (!). L'offerta era di
portarli in territorio iracheno per farli militare, come
fiancheggiatori, a favore delle truppe anglo-americane e contro la
guerriglia locale.
Le reazioni dell'interessato al rinvio a giudizio sono state
particolarmente scomposte. Stefio si è detto indignato, si
è dichiarato vittima di una campagna diffamatoria e ha
significativamente ricordato che tali insulti sono rivolti non solo e
non tanto a lui, quanto alla figura del collega Quattrocchi, perito in
Iraq e perciò insignito dal presidente Ciampi della medaglia
d'oro al valor civile alla memoria.
Vero, proprio vero. Infatti, questa richiesta di rinvio a giudizio
svela, nella sua essenza, la profonda ipocrisia che è propria
delle istituzioni dello stato.
Il reato contestato – che è quello tipico dei mercenari
– non entra nel merito di ciò che si fa in guerra, ovvero
ammazzare ed essere ammazzati, ma affronta la questione su chi è
legalmente autorizzato ad arruolare e a fare di ogni uomo un assassino.
Solo lo stato può arruolare, formare eserciti e intraprendere
politiche belliche scegliendo di volta in volta alleati e nemici. Solo
lo stato può mandare al massacro e massacrare, tradire e
depistare, arrestare o rilasciare. Ma tutto ciò che si muove
nella zone grigia ai limiti della legalità statuale può
comunque far comodo perché certi lavoretti sporchi possono
essere utilmente affidati a chi gestisce il business della guerra
evitando, laddove possibile, ulteriori coinvolgimenti delle truppe
regolari.
Ma qualcosa, in quell'aprile del 2004, andò storto tra le sabbie
irachene. E quando Quattrocchi fu ammazzato, la sua frase su come muore
un italiano toccò le corde più barbare e reazionarie
della retorica militarista tricolore al punto che, due anni dopo, il
capo dello stato – su richiesta dell'allora ministro dell'interno
Pisanu – conferì al Quattrocchi la medaglia d'oro con
sommo gaudio di fascisti e teste vuote.
Oggi, la magistratura dà corpo a un concetto che gli
antimilitaristi espressero subito senza troppi dubbi: le agenzie di
sicurezza private, i contractor, le guardie private ingaggiate in Iraq
e in altri teatri della guerra contemporanea non sono altro che la
versione aggiornata dei soldati di ventura che, in ogni epoca, hanno
dato ovunque il loro contributo a guerre, massacri, violenze. Oggi,
l'intento della magistratura non è certo quello di mettere alla
sbarra la guerra e i suoi orrori, ma di riaffermare la priorità
dello stato su ogni altro soggetto belligerante ad esso formalmente
esterno. A ben vedere, la medaglia a Quattrocchi e il procedimento
giudiziario contro Stefio rappresentano in egual misura l'opportunismo
di un sistema che – avocando a sé il monopolio legittimo
della violenza – decide di volta in volta chi celebrare e chi
perseguire purché si ribadisca che lo stato ha sempre ragione e
che le sue guerre sono sempre giuste.
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