Umanità Nova, n.18 del 18 maggio 2008, anno 88

Nutrire la bestia. Verona: l'intolleranza condivisa


"Non c'è mondo, fuori di questa città"
citazione dall'Amleto scolpita sul Portone della Bra, Verona

Anche di fronte all'evidenza più nuda, quando si è messi alle strette, in un angolo, ci può essere chi nega la realtà.
Nei casi traumatici ciò si lega ad un processo comprensibile di rimozione, meccanismi di difesa che adotta la nostra mente finalizzati alla sopportazione di un dolore altrimenti troppo grande.
Quando però buona parte di una città, a partire dalle sfere istituzionali e dalle agenzie educative passando per la curia e gli organi di stampa fino ad approdare all'opinione pubblica diffusa, non ha il coraggio di chiamare le cose col loro nome, minimizzando, accusando di strumentalizzazione chi riporta fatti, date, testimonianze, allora in quella città qualcosa non funziona. Difendendo l'indifendibile, ci si vuole smarcare da qualsiasi corresponsabilità.
Altre volte è successo, il vittimismo di un corpo sociale malato da tempo di intolleranza e che non è mai riuscito ad ammetterlo, nemmeno nel caso tragicamente assurdo dell'"omicidio rituale" di Nicola Tommasoli, porta inesorabilmente all'autoassoluzione. E al rischio reale che nulla cambi e che gli eventi si ripetano.
Verona ha dimostrato di essere per buona parte indifferente a muri fioriti di svastiche, a squallidi striscioni e saluti esibiti allo stadio, a ignoranti parole d'odio istituzionale, a neonazisti in erba che crescono indisturbati e nutriti di disprezzo.
Una città al contempo pronta a indignarsi etnicamente, a seconda della provenienza, a seconda del ceto, adottando senza nemmeno accorgersene due pesi e due misure paradossali.
Una città ricca, ma vuota. Arroccata e impaurita. Forcaiola coi deboli, omertosa coi benestanti.
Mille campanelli d'allarme sono risuonati in questi anni, strade ripulite dall'insidioso unto del kebab si erano già in passato sporcate di sangue. Mille vane parole sono state spese per denunciare le pericolose connivenze tra una fetta della società, la politica di palazzo e una destra fascista (e quindi per sua natura violenta) autorizzata ad agire dal menefreghismo - quando non dal malcelato plauso - di un corpo sociale che, nonostante tutto, continua a considerarsi sano.
Senza nascondersi dietro ad un dito, e comunque ribadendo che esiste un pensiero critico e alcuni settori della società scaligera profondamente in disaccordo con tutto questo, bisognerebbe cominciare a porsi delle serie domande, prima di dare per spacciata un'intera comunità, incapace di sottoscrivere un accordo minimo su parametri di vivibilità e di convivenza umana.

Il fascismo dietro al dito
Senza attraversare per l'ennesima volta le trame nere che seguono il corso dell'Adige e che costellano di episodi piccoli, grandi, enormi tutta la storia di Verona, mi soffermerei allora sul greto del fiume, meditabondo, ad osservare i miei simili, così vicini e così lontani. A loro chiederei:
Chi si riempie la bocca di tolleranza zero e predica guerra al degrado spalancando di fatto le porte a pratiche di normalizzazione fascista e criminalizzazione securitaria?
Chi arma ideologicamente annoiati ventenni rendendoli degli assassini?
Chi coltiva il loro vuoto, che per essere sopportato si veste dei simboli dell'odio identitario, così che una vita meschina ha senso solo se si riconosce nel rapporto con l'Altro da umiliare, con il Nemico da distruggere?
A cadavere ancora caldo, il sindaco leghista Flavio Tosi (quello dei decreti anti-bivacco, delle ronde, degli sgomberi di campi rom e centri sociali, dell'istigazione all'odio razziale, della partecipazione a cortei in compagnia di Forza Nuova, Veneto Fronte Skinheads e Fiamma Tricolore, amico della curva ultrarazzista dell'Hellas Verona, di Roberto Fiore e dei tradizionalisti cattolici, quello che - pochi mesi fa - va a dare la sua solidarietà al branco dei fascisti arrestati - due dei quali hanno ammazzato Nicola Tommasoli - per violenze e aggressioni di ogni tipo, denunciando il pugno troppo duro della magistratura nei loro confronti), questo sindaco ci rassicura che i giovani sanguinari per bene sono "casi isolati". Il vescovo corrobora le anime parlando di semplice bullismo (soluzione: momento di veglia, benedizione, assoluzione per tutti). La stampa locale allude e umanizza (giovani veronesi atterriti, addirittura nello stesso braccio del carcere dove si trovano gli immigrati... mi dispiace, è tutto vero!) e contemporaneamente getta ombre di discredito sulla vittima (non era una sigaretta, forse fumava una canna...). La difesa fa il suo mestiere e ipotizza (smentito dai referti!) malformazioni del cranio, disfunzioni cardiache, che nessuno poi abbia sferrato calci alla vittima (il fatto che a difenderne tre è il fascista Bussinello - prima in Forza Nuova ora nella Destra di Storace - avvocato a cui si rivolgono nazifascisti da tutta Italia, non sembra influente per connotare l'appartenenza politica dei cinque). Esponenti del mondo della scuola che - esterrefatti e basiti di quel che è successo - propongono momenti di riflessione con i giovani promuovendo "incontri sulla legalità" (quando un mese prima, il preside del liceo classico in cui studiava uno dei cinque aveva tentato di imporre al collettivo studentesco che promuoveva un dibattito sull'antifascismo la presenza di Massimo Mariotti, ex consigliere e assessore di Alleanza Nazionale, organizzatore di concerti neonazisti, fiero fascista, referente politico del mondo ultras gialloblu). Addirittura l'Istituto storico della Resistenza (lo stesso a cui il Comune poco tempo fa aveva proposto l'irriducibile Miglioranzi come suo rappresentante nel direttivo) ha avuto lo stomaco di produrre un documento di condanna in merito all'aggressione omicida senza citare né fascismo né antifascismo ma appellandosi ad un generico rifiuto della violenza e ripristino della legalità… Chiudono il cerchio il consiglio e la giunta comunale che in una riunione straordinaria esprimono tutto il loro ferale cordoglio e la denuncia della barbarie senza menzionare nemmeno una volta la parola "fascismo". Nessuno li potrà tacciare di incoerenza del resto, tra i banchi siedono fior fiore di personaggi che si rifanno ad un'ideologia ben precisa e non hanno avuto mai il minimo ripensamento. Uno per tutti il già celebrato Andrea Miglioranzi, ex Veneto Fronte Skinheads e bassista dei nazistissimi Gesta Bellica, ora Fiamma Tricolore che ha trovato il coraggio di denunciare un certo clima da caccia alle streghe nei suoi confronti... L'opposizione? All'unanimità - meno uno - sottoscrive la mozione e partecipa ad un'inguardabile "manifestazione silenziosa contro la violenza".
Insomma, a tempo debito i cinque saranno, se il processo di rimozione collettiva verrà affiancato da un processo di riabilitazione, le vere vittime, figli di una violenza senza senso, senza radici, senza nomi, in una parola senza responsabilità (ma che bisogna assolutamente capire!).
L'operazione è facilmente smascherabile (anche se da qui sembra uno sforzo sovrumano).
Questa volta il senso comune scaligero (coadiuvato da precise motivazioni politiche di chi detiene il potere in città) cerca di spegnere l'incendio che divampa, quando siamo abituati vederlo gettare benzina sul fuoco se a delinquere è uno estraneo al suo triste concetto di "padano". I mostri devianti sono "casi isolati" quindi, usciti da chissà quale irrazionale pertugio: verranno assicurati alla giustizia e finita lì, la Verona anestetizzata potrà dormire altri sonni della ragione.
Il sindaco commenta che "la politica non c'entra", che "Verona non è fascista", che "bisogna smetterla di criminalizzare la curva"... Gli va dato merito: in questo è veramente il Primo cittadino, interprete cioè dello stesso vittimismo e della stessa ipocrisia di cui si riempiono da troppo tempo la bocca coloro che fanno finta di non vedere. E infatti non è Tosi ad aver creato questo clima, ma il clima stesso ad aver generato come suo rappresentante Tosi.

Lo spettro di Ludwig è ancora qui
Nel 2007 i "casi isolati" hanno agito impunemente in diciassette per un anno, a picchiare chi non fosse consono al loro aberrante concetto di decoro. È sufficiente fare un giro in centro, la sera, nei locali della meglio gioventù veronese. Oppure allo stadio, in curva. Ne vedrete a mucchi di casi isolati.
E come in passato si utilizzavano stereotipi distorti per decifrare la violenza gratuita ("rissa tra ubriachi", "scazzottata tra balordi", ragazzate insomma), oggi ci si arrampica sugli specchi parlando di "disgraziati", "deficienti" e "bulli", senza minimamente accettare che giovani dall'apparenza di bravi ragazzi (non "naziskin"!) siano dediti allo squadrismo.
Li si taccia di non essere veri fascisti, ma una sorta di inconsapevoli simulacri portatori di simbologia (più che di ideologia) nera. Perché, uno squadrismo ignorante e sballato provoca forse meno danni di uno squadrismo ponderato e militante? I giovani fascisti di Verona incarnano molti dei tratti a-valoriali che contraddistinguono il malessere della borghesia più benestante e ignorante. Nascono avviluppati nel benessere, cullati dalla vuota consapevolezza che nella vita l'importante è avere, non essere. Crescono circondati dal nulla, corroborati dalla stessa vacuità dei loro simili, in una cornice sociale sterile e superficiale, a volte assecondata dagli stessi genitori. In questo disagio, in questo senso del pericolo di perdere l'egoistico status acquisito (dai padri, loro nascono già privilegiati), in queste sacche di infelicità si insinuano gli amministratori e i manovratori dell'odio. Che approfittano di questo fertile humus e con il grimaldello del populismo fanno leva sugli impulsi più irrazionali arruolando soldatini xenofobi sedotti dall'autorità. L'individuazione del capro espiatorio permette di scaricare su quest'ultimo frustrazioni e ansie. In una città opulenta è possibile dunque che nel suo salotto buono il nemico venga rappresentato - in mancanza d'altro - come l'estraneo alla comunità escludente, il diverso, quello che per acconciatura o abbigliamento appare non uguale.
L'aver sottovalutato la questione del totale sdoganamento fascista ha contribuito a creare un clima di legittimazione - anche involontaria - che ha permesso ai più giovani e sprovveduti di sentirsi protetti. Sui muri, alle manifestazioni fasciste, allo stadio si scrive e si grida "Verona è nostra". Qualcuno si sente impunito, qualcuno si sente forte non solo per i numeri che può spendere, ma per l'omertà assolutamente trasversale che tiene a galla sentimenti di diseguaglianza e pulsioni di sopraffazione.
Così si spiega la cortina fumogena che si è levata nel giro di poche ore dall'individuazione degli aggressori: non c'è movente politico ma solo appartenenza, forse ideologica. E cosa vuol dire? Cosa cambia se si discrimina e si mena per appartenenza etnica, spirituale, calcistica? Come se non fosse un'aggravante ammazzare uno perché non ci piace la sua acconciatura, o per il rifiuto di una sigaretta (un futile pretesto per agganciare la preda, provocare una reazione e aggredire, altre volte utilizzato).
Chi adesso lava la propria coscienza e il proprio agire politico, avendo cavalcato - e proseguendo a farlo - i populismi più facili, le demagogie più strumentali, le amicizie più imbarazzanti, è per forza di cose responsabile di aver alimentato un certo clima. Bisogna invece fare terra bruciata nei confronti dei fomentatori della paura, arginare le loro derive, non esserne più involontari complici. Le svastiche e le celtiche che ricoprono i muri di questa città sono lì, a dimostrare tutto il menefreghismo che ha nutrito la bestia.
In un maldestro tentativo di rigirare il senso del tutto ad esempio, lo sceriffo Tosi vorrebbe far passare allora come legittime le ronde padane, ennesima forma di controllo che soffoca, di delazione che opprime, nel goffo tentativo di mettere pericolose pezze a problemi che stanno altrove.
Problemi che si alimentano dentro, e non fuori il corpo sociale.
I padri nelle ronde, i degni figli a ripulire le strade da ciò che non è loro conforme?
È ora di dare un taglio a simili escrescenze, al collaborazionismo con le forme (strutturate o di branco che siano) di fascismo. È ora di denunciare la legittimazione ad agire resa plausibile da parte di una politica dell'odio e del disprezzo che la fa da padrona in città.
Verona è ostaggio di questo pus, lo andiamo dicendo da anni.
Liberiamola.

Emanuele Del Medico

A volte le immagini valgono più delle parole, si dice così.
Segnalo due video allora: su YouTube cercate "Fascist Demonstration (Verona 27 maggio 2006)" e "DIOBONO"

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