Umanità Nova, n.19 del 25 maggio 2008, anno 88

Post fascisti di governo. Dove casca l'asino


Spesso un'immagine è talmente immediata, da dire molto di più di tanti discorsi. Come, ad esempio, la recente foto del ministro della difesa Ignazio La Russa in visita al contingente italiano di stanza in Libano, nella quale lo si vede indossare, anziché un neutro completo ministeriale in grisaglia, una fiammante tuta mimetica con maglietta militare. Evidentemente non gli era sembrato vero poter finalmente sfoggiare "in via ufficiale" una divisa militare, soldato fra soldati, a inconfessata imitazione di quel tale che per un ventennio di divise ne aveva indossate, anche se da operetta, una collezione intera. Buffone questi, buffone quello!
Come si sa, la preoccupazione maggiore degli esponenti di Alleanza nazionale, definitivamente giunti alla stanza dei bottoni e ben decisi a non abbandonarla, è far dimenticare la passata militanza neofascista. Dopo quasi cinquant'anni di saluti romani e di orgogliose quanto patetiche esaltazioni della presunta grandezza dell'Italia fascista, questi epigoni di Almirante e Romualdi oggi si fingono pentiti del loro truculento passato, esibendo all'uopo una patente di democratica tolleranza, di apertura alle idee e alla cultura, di rispetto per i diversi e le diversità, tutte cose inconciliabili con l'essenza e la natura della passata mentalità. Ma un conto sono le parole e le dichiarazioni formali, e un conto i fatti. E sui fatti, non c'è bisogno di dirlo, casca l'asino. Rovinosamente..
Non passa giorno, infatti, che una qualche incontenibile scivolata venga a smascherarne l'indole, permettendo così di ricordare, anche a chi non vorrebbe, la loro vera natura. Del resto, il fascismo non è soltanto l'espressione formale di una ideologia o di un progetto politico, ma anche, e a volte "maggioritariamente", una forma mentis impastata di una sottocultura di "valori ideali" talmente nobili ed alti da esprimersi, di norma, in termini di autoritarismo, violenza e prevaricazione. E questa sottocultura, altrettanto inestirpabile quanto un codice genetico, riaffiora senza pietà, costringendo chi vorrebbe nasconderla, ad arrampicate sugli specchi tanto penose e ridicole quanto prive di risultati.
Un giovane dall'aspetto alternativo viene massacrato a Verona da un gruppo di neofascisti, inabili a risposte che non siano quelle della pura violenza. Un fatto gravissimo, nella sua drammatica e gratuita assurdità. Il presidente della Camera Gianfranco Fini, scordandosi di essere l'onesto e civile democratico di cui si favoleggia, osserva che delitto ben più grave è stato bruciare una bandiera israeliana durante una manifestazione della cosiddetta sinistra antagonista torinese. Va bene che la recente amicizia degli ex fascisti con Israele è il pegno della politica filoamericana del padrone, va bene che le loro visite ai luoghi dell'orrore nazista sono un patetico tentativo di rinnegare le gravissime complicità del fascismo nello sterminio degli ebrei, va bene che l'innato e disgustoso antisemitismo comune ai fascisti di tutte le fatte non può più essere pubblicamente esibito - se non in qualche greve e stantia barzelletta sulla "rapacità" dei rabbini - ma l'accostare l'incendio di un pezzo di stoffa con l'omicidio di un giovane innocente, non è soltanto una evidente strumentalizzazione politica, ma è anche, e soprattutto, espressione di una scala di valori brutalmente aberrante. E viste le premesse, anche l'infelice esordio da presidente della Camera, segnato dall'insofferenza per le regole di quella democrazia a cui si "onora" di appartenere, lascia prevedere altre, e altrettanto gravi, scivolate.
Il nuovo sindaco di Roma, già picchiatore fascista e affettuoso genero dello stragista Pino Rauti, dopo essere stato festeggiato da amici e compagni d'armi con i consueti saluti romani e i ridicoli eja eja  alalà, tra un'apertura a sinistra e un riconoscimento all'avversario (ma che fatica dover fare i democratici!) prima ha speso le solite parole omofobiche a proposito del Gay pride, poi è inciampato nella glorificazione del fascismo, accreditando al ventennio la modernizzazione del paese. Tralasciando per carità di patria qualsiasi considerazione sulla stupidità di tale affermazione, riaffiora ancora una volta, in questo figuro come nei suoi camerati, una struggente nostalgia per il totalitario regime del manganello, del confino, delle guerre di aggressione e… dei treni che arrivavano in orario.
Questi esempi, anche se ancora pochi, assicurano tuttavia che non ne mancheranno altri, a meno che, andando avanti nel tempo e rafforzandosi questo surrogato di regime, i nostri neo-ex-post fascisti non riterranno opportuno gettare la sgradita maschera della civile convivenza, per riproporre, in piena libertà, il solito armamentario fatto di parole tanto vuote quanto pericolose come "onore", "patria", "identità". Parole vuote, certamente, ma al riparo delle quali stanno concetti un po' più pieni e pesanti, gli stessi che gli italiani hanno dovuto sperimentare per un intero ventennio.

Massimo Ortalli

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