Da molti anni, ormai, lanciamo l'allarme sulla deriva xenofoba e
razzista in cui versa il nostro paese. Oggi non ci sembra fuori luogo
pensare che questa deriva sia così avanzata che ci troviamo
già in mare aperto e in procinto di affondare. Non potremmo
spiegare diversamente ciò che si è innescato nei giorni
scorsi alla periferia di Napoli, quartiere Ponticelli.
I fatti sono noti, almeno secondo la versione fornita dai mezzi di
informazione. Il 10 maggio, sabato sera, dopo le otto, una ragazza di
sedici anni si introduce da una porta lasciata incautamente aperta
nell'appartamento di una palazzina familiare di quattro piani. In
cucina c'è una neonata nel seggiolone: dopo pochi minuti, la
madre si accorge che la figlia è sparita e lancia l'allarme. Il
nonno della bambina, che abita di sotto, esce di casa e si imbatte
nella ragazza che tiene la neonata in braccio. Ne nasce una
colluttazione, la bambina viene salvata e la ragazza viene consegnata
alla polizia che nel frattempo era stata allertata.
In un paese civile, in cui la convivenza democratica si fonda su
principi condivisi e consolidati, questa storia si sarebbe potuta
considerare per quello che è: un tristissimo esempio di
marginalità sociale in cui una ragazza con dei precedenti per
piccoli furti ha fatto ciò che non bisogna fare, tentando di
sequestrare una neonata. Il fatto è che la ragazza è una
zingara, una Rom. Si concretizza in un attimo il pregiudizio razzista
secondo il quale gli zingari sono, tra le altre cose, dei proverbiali
"ladri di bambini".
La voce si sparge nel vicinato. In attesa dell'arrivo delle forze
dell'ordine, una folla inferocita circonda la zingara: spintoni,
schiaffi e minacce. Gli agenti del commissariato di Poggioreale pongono
fine con il loro arrivo al tentato linciaggio.
Ma nelle ore e nei giorni immediatamente successivi, gli abitanti di
Ponticelli scoprono il fascino perverso della rappresaglia. Un gruppo
di ragazzi del quartiere accoltella un incolpevole giovane rumeno. La
squadraccia lo avrebbe fermato per chiedergli se era Rom. E con la
risposta affermativa sono partiti i fendenti alla gamba. Poi il fuoco:
lunedì 12, quattro baracche di legno di uno dei cinque campi Rom
di Ponticelli bruciano in un incendio causato dal lancio d molotov. Le
baracche erano disabitate e il campo di via Dorando Pietri era stato da
poco abbandonato dai suoi occupanti che si trasferiscono in un altro
campo dopo le minacce ricevute nel quartiere. Poi, gli occupanti di un
altro campo sistemato in via Argine denunciano alla polizia un altro
raid avvenuto la notte del 13 maggio intorno all'una ad opera di alcuni
ragazzi che, a bordo di motorini, hanno lanciato una bottiglia
incendiaria su una baracca al cui interno dormiva una famiglia con due
bambini. La tragedia è stata evitata perché l'incendio
è stato estinto sul nascere con delle coperte.
Questa infame caccia allo zingaro, che per fortuna non ha fatto il
morto, ha comunque prodotto un primo vergognoso risultato: al momento
in cui scriviamo, un centinaio di Rom che erano ancora rifugiati nel
campo di via Malibran sono stati sgomberati e accompagnati sotto scorta
delle forze di polizia verso una destinazione sconosciuta. I Rom si
erano concentrati in via Malibran dopo che altri due campi erano stati
incendiati da abitanti della zona, i quali avevano assaltato e dato
alle fiamme anche l'edificio di una vecchia struttura sanitaria, da
anni abbandonata e utilizzata dagli zingari. I Rom sono scappati da
Ponticelli e le immagini televisive ci consegnano un desolante corteo
costituito da piccoli e malandati furgoni, aperto e chiuso da
mezzi delle forze dell'ordine tra due ali di folla festante che
inneggia alla vittoria sugli zingari.
Inutile specificare che la rapitrice della neonata non proveniva da
nessuno dei campi Rom di Ponticelli. Altrettanto inutile chiarire che,
in tutta la giurisprudenza, non c'è neanche un caso di Rom
rumeni che abbiano mai rubato dei bambini. Ma L'odio è un
sentimento molto più comodo e facile, perché ti viene
dalla pancia e non occorre pensarci troppo su. D'altra parte, sono anni
che politici e giornalisti insistono su pochi e semplici concetti: non
c'è sicurezza, tutto va storto, la colpa è degli
immigrati e - tra questi - c'è una categoria assolutamente
irrecuperabile, gli zingari. Brutti, sporchi, malvagi, senza patria,
senza fissa dimora, inclini al furto, al rapimento, semplicemente da
eliminare, magari con delle ronde autogestite. Tutti argomenti che nel
secolo scorso furono abilmente utilizzati per mandare nei forni nazisti
milioni di persone: ebrei, antifascisti, omosessuali e - per l'appunto
- zingari. Ieri la gente sfondava le vetrine dei negozi gestiti da
ebrei, oggi la gente dà fuoco alle baracche con i bambini
dentro. A Ponticelli il razzismo ha preso forma nella rabbia schiumante
di cittadini comuni, di proletari che vivono in una periferia del
Meridione d'Italia. Niente a che vedere, in apparenza, col perbenismo
razzista del borghese tirato a lucido del Nordest dove i fascisti
ammazzano di botte chi porta i capelli lunghi. Eppure, lo sfondamento
dell'odio non conosce distinzioni geografiche o di classe: nella
poltiglia sociale che è ormai la società italiana, si
è arrivati a un punto di non ritorno. Le ronde, la giustizia
sommaria, il desiderio di vendetta sono stati per anni un argomento
elettorale su cui si è sedimentato un comune sentire fatto di
odio e sospetto. E così, gli attacchi ai campi Rom si sono fatti
negli ultimi mesi sempre più frequenti, soprattutto quando ad
alimentare la tensione ci hanno pensato, con dovizia di particolari e
di malafede, politici e giornalisti che non perdono mai occasione di
pompare con cura le notizie di cronaca nera per ingigantire,
generalizzare, allarmare e individuare un nemico su cui scaricare ogni
infamia. La rabbia popolare di Ponticelli non colpisce camorristi e
mafiosi, politicanti e affaristi, sfruttatori e padrini che da sempre
tengono in pugno il quartiere e tutta quanta Napoli: evidentemente,
è molto più facile dar fuoco alle baracche della povera
gente e pensare che i problemi vengano tutti da lì.
Questa è la terrificante vittoria del potere: l'aver distrutto
la società e, con essa, il senso di umanità e di misura
dei comportamenti che sono alla base del vivere comune. Il potere ha
bisogno che la gente spenda tutte le sue energie per prendersela con i
più deboli: finché gli immigrati saranno considerati il
pericolo pubblico numero uno, i padroni potranno sempre dormire sonni
tranquilli e questo paese sarà sempre più lontano non
solo - e non tanto - da un cambiamento reale, ma anche semplicemente da
una doverosa pausa di riflessione.
Chi non vuole rassegnarsi non può più tacere, e deve
rilanciare con ostinazione la necessità concreta di porre un
freno a tutto questo perché ne va, in buona sostanza, della
libertà di tutti e di chi verrà dopo di noi.
TAZ laboratorio di comunicazione libertaria