Umanità Nova, n.19 del 25 maggio 2008, anno 88

I roghi di Ponticelli. Il fascino della rappresaglia


Da molti anni, ormai, lanciamo l'allarme sulla deriva xenofoba e razzista in cui versa il nostro paese. Oggi non ci sembra fuori luogo pensare che questa deriva sia così avanzata che ci troviamo già in mare aperto e in procinto di affondare. Non potremmo spiegare diversamente ciò che si è innescato nei giorni scorsi alla periferia di Napoli, quartiere Ponticelli.
I fatti sono noti, almeno secondo la versione fornita dai mezzi di informazione. Il 10 maggio, sabato sera, dopo le otto, una ragazza di sedici anni si introduce da una porta lasciata incautamente aperta nell'appartamento di una palazzina familiare di quattro piani. In cucina c'è una neonata nel seggiolone: dopo pochi minuti, la madre si accorge che la figlia è sparita e lancia l'allarme. Il nonno della bambina, che abita di sotto, esce di casa e si imbatte nella ragazza che tiene la neonata in braccio. Ne nasce una colluttazione, la bambina viene salvata e la ragazza viene consegnata alla polizia che nel frattempo era stata allertata.
In un paese civile, in cui la convivenza democratica si fonda su principi condivisi e consolidati, questa storia si sarebbe potuta considerare per quello che è: un tristissimo esempio di marginalità sociale in cui una ragazza con dei precedenti per piccoli furti ha fatto ciò che non bisogna fare, tentando di sequestrare una neonata. Il fatto è che la ragazza è una zingara, una Rom. Si concretizza in un attimo il pregiudizio razzista secondo il quale gli zingari sono, tra le altre cose, dei proverbiali "ladri di bambini".
La voce si sparge nel vicinato. In attesa dell'arrivo delle forze dell'ordine, una folla inferocita circonda la zingara: spintoni, schiaffi e minacce. Gli agenti del commissariato di Poggioreale pongono fine con il loro arrivo al tentato linciaggio.
Ma nelle ore e nei giorni immediatamente successivi, gli abitanti di Ponticelli scoprono il fascino perverso della rappresaglia. Un gruppo di ragazzi del quartiere accoltella un incolpevole giovane rumeno. La squadraccia lo avrebbe fermato per chiedergli se era Rom. E con la risposta affermativa sono partiti i fendenti alla gamba. Poi il fuoco: lunedì 12, quattro baracche di legno di uno dei cinque campi Rom di Ponticelli bruciano in un incendio causato dal lancio d molotov. Le baracche erano disabitate e il campo di via Dorando Pietri era stato da poco abbandonato dai suoi occupanti che si trasferiscono in un altro campo dopo le minacce ricevute nel quartiere. Poi, gli occupanti di un altro campo sistemato in via Argine denunciano alla polizia un altro raid avvenuto la notte del 13 maggio intorno all'una ad opera di alcuni ragazzi che, a bordo di motorini, hanno lanciato una bottiglia incendiaria su una baracca al cui interno dormiva una famiglia con due bambini. La tragedia è stata evitata perché l'incendio è stato estinto sul nascere con delle coperte.
Questa infame caccia allo zingaro, che per fortuna non ha fatto il morto, ha comunque prodotto un primo vergognoso risultato: al momento in cui scriviamo, un centinaio di Rom che erano ancora rifugiati nel campo di via Malibran sono stati sgomberati e accompagnati sotto scorta delle forze di polizia verso una destinazione sconosciuta. I Rom si erano concentrati in via Malibran dopo che altri due campi erano stati incendiati da abitanti della zona, i quali avevano assaltato e dato alle fiamme anche l'edificio di una vecchia struttura sanitaria, da anni abbandonata e utilizzata dagli zingari. I Rom sono scappati da Ponticelli e le immagini televisive ci consegnano un desolante corteo costituito da piccoli e malandati  furgoni, aperto e chiuso da mezzi delle forze dell'ordine tra due ali di folla festante che inneggia alla vittoria sugli zingari.
Inutile specificare che la rapitrice della neonata non proveniva da nessuno dei campi Rom di Ponticelli. Altrettanto inutile chiarire che, in tutta la giurisprudenza, non c'è neanche un caso di Rom rumeni che abbiano mai rubato dei bambini. Ma L'odio è un sentimento molto più comodo e facile, perché ti viene dalla pancia e non occorre pensarci troppo su. D'altra parte, sono anni che politici e giornalisti insistono su pochi e semplici concetti: non c'è sicurezza, tutto va storto, la colpa è degli immigrati e - tra questi - c'è una categoria assolutamente irrecuperabile, gli zingari. Brutti, sporchi, malvagi, senza patria, senza fissa dimora, inclini al furto, al rapimento, semplicemente da eliminare, magari con delle ronde autogestite. Tutti argomenti che nel secolo scorso furono abilmente utilizzati per mandare nei forni nazisti milioni di persone: ebrei, antifascisti, omosessuali e - per l'appunto - zingari. Ieri la gente sfondava le vetrine dei negozi gestiti da ebrei, oggi la gente dà fuoco alle baracche con i bambini dentro. A Ponticelli il razzismo ha preso forma nella rabbia schiumante di cittadini comuni, di proletari che vivono in una periferia del Meridione d'Italia. Niente a che vedere, in apparenza, col perbenismo razzista del borghese tirato a lucido del Nordest dove i fascisti ammazzano di botte chi porta i capelli lunghi. Eppure, lo sfondamento dell'odio non conosce distinzioni geografiche o di classe: nella poltiglia sociale che è ormai la società italiana, si è arrivati a un punto di non ritorno. Le ronde, la giustizia sommaria, il desiderio di vendetta sono stati per anni un argomento elettorale su cui si è sedimentato un comune sentire fatto di odio e sospetto. E così, gli attacchi ai campi Rom si sono fatti negli ultimi mesi sempre più frequenti, soprattutto quando ad alimentare la tensione ci hanno pensato, con dovizia di particolari e di malafede, politici e giornalisti che non perdono mai occasione di pompare con cura le notizie di cronaca nera per ingigantire, generalizzare, allarmare e individuare un nemico su cui scaricare ogni infamia. La rabbia popolare di Ponticelli non colpisce camorristi e mafiosi, politicanti e affaristi, sfruttatori e padrini che da sempre tengono in pugno il quartiere e tutta quanta Napoli: evidentemente, è molto più facile dar fuoco alle baracche della povera gente e pensare che i problemi vengano tutti da lì.
Questa è la terrificante vittoria del potere: l'aver distrutto la società e, con essa, il senso di umanità e di misura dei comportamenti che sono alla base del vivere comune. Il potere ha bisogno che la gente spenda tutte le sue energie per prendersela con i più deboli: finché gli immigrati saranno considerati il pericolo pubblico numero uno, i padroni potranno sempre dormire sonni tranquilli e questo paese sarà sempre più lontano non solo - e non tanto - da un cambiamento reale, ma anche semplicemente da una doverosa pausa di riflessione.
Chi non vuole rassegnarsi non può più tacere, e deve rilanciare con ostinazione la necessità concreta di porre un freno a tutto questo perché ne va, in buona sostanza, della libertà di tutti e di chi verrà dopo di noi.

TAZ laboratorio di comunicazione libertaria

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