Umanità Nova, n.20 del 1 giugno 2008, anno 88

Meno soldi in busta e mutui infiniti. Pugno di ferro e barzellette


È arrivata, puntuale, la prima raffica di provvedimenti "salva-Italia" del governo Berlusconi. Riunito simbolicamente a Napoli, il team di nanetti che affianca il grande puffo ha prodotto decreti e disegni di legge su alcune delle questioni che erano state al centro della campagna elettorale.
Si sono occupati della detassazione degli staordinari, dell'ICI, dei mutui bancari, della sicurezza e di altro. Tratteremo, in questo scritto, solo dei primi tre punti. Per quanto riguarda il pacchetto "sicurezza", che contiene punti di estrema gravità (come il "reato" di immigrazione clandestina, quello di accattonaggio e l'allungamento dei periodi di detenzione nei CPT), è necessaria una trattazione ben più specifica ed approfondita.
Ma torniamo ai primi tre punti. Il primo, la detassazione degli straordinari, è centrale nella strategia governativa in merito alle relazioni industriali. Come efficacemente sintetizza un articolista de «Il Sole - 24 ore»: "Se doveva essere il modo di rimediare al problema dei bassi salari, avrà probabilmente un'efficacia paragonabile a quella di un'aspirina per curare il cancro". Infatti la difesa dei salari non c'entra nulla. Si tratta di una forte misura di sostegno alle imprese che, per le sue conseguenze, impatterà sull'organizzazione e il rapporto di lavoro.
Ma vediamo più in dettaglio il provvedimento: gli straordinari (e i premi di produttività) saranno d'ora in poi tassati con un'aliquota del 10% (invece dell'aliquota attuale che è progressiva e dunque incide di più sull'ora di straordinario che su quella di lavoro ordinario e che comunque è maggiore, sicuramente superiore al 30%). Il provvedimento inoltre riguarderà solo lavoratori con un reddito lordo annuo non superiore ai 30.000 euro e superiore agli 8.000 euro), esclude i dipendenti pubblici e avrà una durata, di sperimentazione, di sei mesi. Nella sostanza l'aumento ipotetico del salario è:
a) legato esclusivamente alla parte variabile del salario (extra-lavoro o aumento di produttività);
b) limitato ad una parte dei lavoratori;
c) più consistente per la fascia medio-alta dei salari (quelli dai 27.500 ai 30.000 euro annui).
Questa misura che, come dicono gli specialisti, è pro-ciclica (cioè funziona solo quando l'economia va bene e non quando è debole), favorisce la produttività pro-capite, ma non ha nessun effetto su quella oraria. In "obsoleti" termini marxisti: l'aumento dell'orario di lavoro (perché di questo si tratta) determina un aumento del plusvalore assoluto ma non di quello relativo.
L'interesse della Confindustria deriva tuttavia dal fatto - poco considerato - che un'ora di straordinario costa all'azienda molto meno di un'ora di lavoro normale, e anche il lavoratore percepisce di meno. Un calcolo di Carlo Amoretti (sulla rivista on-line «Eguaglianza & Libertà»), propone i seguenti risultati (nel caso di un lavoratore di IV livello, settore Commercio):
Costo (per l'azienda) di un'ora di lavoro ordinario 16,15 euro
Costo (per l'azienda) di un'ora di lavoro straordinario 11,64 euro
Retribuzione netta di un'ora di lavoro ordinario 9,48 euro
Retribuzione netta di un'ora di lavoro straordinario 5,60 euro.
L'azienda dunque risparmia (incrementando gli straordinari) il 28% su ogni ora di lavoro, mentre il dipendente percepisce il 41% in meno rispetto alla retribuzione oraria normale.
Se, quindi, viene agevolato l'utilizzo del lavoro straordinario (defiscalizzando la sua retribuzione), si capisce quale bel regalo sia stato fatto alla Marcegaglia e ai suoi compari.
Ultime e non meno importanti implicazioni del provvedimento sono, evidentemente:
a) l'aumento della flessibilità del lavoro;
b) la disincentivazione a nuove assunzioni;
c) l'aumento di importanza del salario variabile rispetto a quello fisso.
Se i primi due punti non richiedono spiegazioni, sul terzo è bene soffermarsi per illustrarne alcune implicazioni. È chiaro che le voci del salario variabile (appunto straordinari e premi di produttività) sono oggetto di contrattazione a livello aziendale, sia per quanto riguarda la gestione (dei primi) che l'entità (dei secondi). Siamo quindi di fronte ad un potente strumento per svuotare di contenuti la contrattazione di primo livello (nazionale categoriale) a favore di quella di secondo livello (aziendale locale), che è proprio quello che a gran voce stanno chiedendo gli industriali da tempo, con l'appoggio delle forze politiche e il sostanziale placet dei sindacati confederali, preoccupati ormai solo di ottenere il monopolio della rappresentanza.
Fin qui l'opera del primo genietto, il ministro Sacconi. Ma vediamo ora che cosa ha prodotto il secondo, il buon Tremonti: l'abrogazione dell'ICI, già cavallo di battaglia del presidente nanetto.
Due le considerazioni che si impongono:
- la prima è che il provvedimento non riguarda gli strati meno abbienti della popolazione, alle prese con ben altri problemi (dagli affitti da strozzinaggio alla ricerca affannosa di un'abitazione) e che comunque pur escludendo seconde case, ville e abitazioni di lusso si basa su vecchie registrazioni catastali, che sottostimano la categoria delle abitazioni e che, spesso, non tengono conto della trasformazione di una vecchia bicocca in un appartamento di lusso o di quella di un casolare in una villa;
- la seconda è che gli stimati 2,2 miliardi di euro necessari a finanziare questo provvedimento (così come i 400 milioni di euro previsti come costo per la detassazione degli straordinari), per compensare le amministrazioni comunali private dell'entrata ICI, saranno drenati dalla riforma della pubblica amministrazione. E come? Siccome sappiamo che nel linguaggio dei nanetti riforma vuol dire taglio, o con la perdita di servizi oppure bloccando i futuri rinnovi contrattuali dei dipendenti pubblici.
Insomma un bello specchietto per allodole dietro il quale si nasconde una tagliola.
Ma passiamo ora all'ultima pensata dei genietti: l'accordo con le banche per la rinegoziazione dei mutui a tasso variabile e la loro trasformazione a tasso fisso, bloccandoli al 2006.
È noto che i mutui a tasso variabile hanno riscosso in passato grande successo, sono stati contratti da 3,2 milioni di famiglie su un totale di 3,5 milioni di contraenti (il 91%). È altresì noto che l'andamento dell'economia e l'inflazione negli ultimi hanno portato le rate di rimborso mensili a livelli insostenibili per molte famiglie. L'accordo prevede, è vero, la rinegoziazione a tasso fisso, riportando il livello della rata a quello del 2006, ma prevede anche che la differenza tra la rata teorica (determinata dal tasso d'interesse crescente per l'inflazione) e quella bloccata a livello 2006 vada a costituire un altro debito che il contraente pagherà (sempre ratealmente, con un opportuno tasso d'interesse passivo) all'estinzione del mutuo. Insomma le banche non perdono un euro, mentre gli indebitati avranno sì un attimo di respiro, ma al prezzo di continuare a pagare per molto più tempo di quello previsto.
Buffa condizione quella del genietto Tremonti che in campagna elettorale tuonava contro lo strapotere delle banche e degli istituti finanziari ed ora dispensa favori agli amici banchieri...
Che cosa rimane da dire? Dell'opposizione "responsabile e costruttiva" del partito democratico ben poco. Non c'è, anche perché se avessero vinto le elezioni avrebbero fatto qualcosa di simile. Dei sindacati di Stato abbiamo già detto e del loro assenso di fatto: è in vista un "responsabile scambio" (ovvero un infame baratto) tra il monopolio della rappresentanza (che tagli fuori il fastidioso sindacalismo conflittuale) e qualunque boccone amaro Confindustria e Governo decidano di far inghiottire ai lavoratori.
E bocconi amari sembra che vogliano farcene ingoiare anche molti altri: dalla militarizzazione del territorio, all'ulteriore inasprimento delle misure repressive, alla costruzione di centrali nucleari e chi più ne ha, più ne metta. Con il pugno di ferro di Maroni, ministro baffetto, e magari raccontando barzellette come fa sempre il presidente nanetto.

Walter Kerwal

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