Il governo Berlusconi è già all'opera, mentre stenta a
partire quello siciliano di Raffaele Lombardo, ancora imbrigliato nella
scelta delle poltrone, per i troppi concorrenti sul campo. Una cosa
è però certa: la lobby del Ponte è già
all'opera. I segnali sono tantissimi: dalla tempestiva richiesta di
inizio dei lavori pena il pagamento dei danni e della penale, avanzata
a cavallo delle elezioni dalla Impregilo, aggiudicataria dell'appalto
del Ponte sullo Stretto, ma tenuta a bagno maria dal governo Prodi;
alle dichiarazioni di Matteoli, neo ministro alle Infrastrutture; dalle
sortite dei manovali della stessa lobby: gruppi di destra che nei due
versanti dello Stretto hanno fatto dei banchetti per sensibilizzare
sull'urgenza di cominciare i lavori; alla campagna stampa lanciata dai
due quotidiani maggiormente interessati all'opera sul versante
orientale dell'Isola, cioè Gazzetta del Sud di Messina e La
Sicilia di Catania, per i quali occorre partire subito e solo dei pazzi
possono essere contrari ad una infrastruttura così importante.
Le dichiarazioni del governo Berlusconi e soprattutto di Raffaele
Lombardo, naturalmente sono tutte rivolte ad accontentare le imprese
che attendono finalmente di poter dare inizio ai lavori. Tutto fa
presagire, dunque, che nei prossimi mesi la questione tornerà ad
essere centrale nel dibattito politico, se è vero che i
"pontisti" intendono dare il via alla devastazione dell'area a partire
dal 2009.
A questo punto è urgente che nel movimento si riparli di
mobilitazione contro il Ponte, e lo si faccia dando a questa battaglia
un valore nazionale, come del resto si era fatto prima che le ambigue
rassicurazioni di Prodi e compari, avessero tranquillizzato molti tra i
compagni, i cittadini, gli organismi che si erano mossi.
Possiamo dire che questi due anni sono stati veramente due anni
perduti, perché anziché spingere per la cancellazione
della questione Ponte, la si è lasciata stare dov'era, ed essa
adesso riaffiora rischiando di assumere più vigore di prima,
approfittando anche dello sconforto che ancora avvolge molti orfani del
radicalismo parlamentare e del vento di destra che pare abbia
cominciato a soffiare, spinto da fattori come il ricatto occupazionale
in primo luogo, che adesso più che mai potrà essere un
elemento decisivo, se non ci sarà la capacità di
smontarlo agli occhi della gran massa di disoccupati, precari e in
cerca di raccomandazione.
Quei sessanta campi di calcio messi in fila, che rappresentano il
futuro Ponte sullo Stretto che dovrà collegare Messina a Villa
San Giovanni, sono infatti una pura follia della politica economica e
una incertezza dichiarata della scienza e della tecnica; hanno solo una
giustificazione nell'elargizione di fondi pubblici a imprese private, a
scapito del territorio, dell'ambiente, delle risorse pubbliche, della
libertà dei cittadini (per i risvolti militari della vicenda e
il rafforzamento delle cosche mafiose e 'ndranghetiste) e delle
prospettive del Meridione di poter godere di una decente rete
infrastrutturale la quale, senza bisogno di progetti faraonici, possa
assicurare una soddisfacente mobilità delle persone e delle cose
superando le arretratezze attuali.
Il Ponte dovrebbe avere un costo iniziale pari a circa 6 miliardi di
euro, con una durata dei lavori stimata ufficialmente in 6 anni; in
realtà fonti più realiste parlano di 12 anni; in un
periodo così lungo i costi dovrebbero "ragionevolmente"
raddoppiare, per l'aumento della materia prima, della mano d'opera e
per tutti quei cambiamenti progettuali in corso d'opera. Del resto
abbiamo un precedente significativo nell'Eurotunnel Parigi-Londra, se
non per la differenza tecnica dell'opera, per i conti:il tunnel
sottomarino infatti è costato oltre 15 miliardi di euro,
raddoppiando la, previsione iniziale di 7,4 miliardi.
Ma la storia dell'Eurotunnel è fondamentale per comprendere le
ragioni di una opposizione necessaria al Ponte. Infatti tutte le
previsioni sul transito di mezzi, merci e persone, fatte in modo
ottimistico dai progettisti e dagli sponsor, sono miseramente saltate.
Dei 30 milioni l'anno di persone previste, ne sono transitate nel 2003,
6,3 milioni; dei 15 milioni di tonnellate di merci previste, ne sono
transitate 2 milioni. Perché? Perché a causa dei costi,
le persone hanno preferito l'aereo e le merci la nave. Risultato, la
società Eurotunnel è fallita; è stata salvata da
un secondo fallimento di recente da un consorzio di banche, che
praticamente sono diventate le vere proprietarie dell'opera. I 741.000
piccoli risparmiatori che avevano finanziato la società
Eurotunnel con l'acquisto di azioni (qui, rispetto al caso nostro,
l'opera è stata interamente finanziata da privati), dietro la
promessa di incremento delle loro azioni, dell'ordine del 18% annuo,
hanno visto, al contrario, ridurre il valore delle loro azioni del 90%.
Tornando a noi: il Ponte non collega due metropoli come Parigi e
Londra, ma due città, Messina e Villa San Giovanni, di un'aerea
periferica dell'Italia e dell'Europa. I flussi di viaggiatori e merci
sono quindi tutt'altro che eccezionali. Ma anche qui hanno calcato la
mano sui numeri per rendere appetibile una sorta di aborto
tecnico-economico-politico; le previsioni parlano infatti di un
transito di 144.000 auto al giorno, ma cifre più realistiche
parlano di quote massime di 30.000 veicoli, mentre attualmente
attraversano giornalmente lo Stretto circa 4.000 Tir e 8.000
automobili. Siamo ben lontani da quella cifra che potrà
assicurare il pagamento dell'opera in 40 anni; le cose sono due: o i
costi di transito decuplicheranno, facendo pagare ad ogni veicolo cifre
astronomiche e assolutamente non commerciali, oppure il Ponte si
ripagherà fra 400 anni, ovvero mai. Altrimenti provvederà
lo Stato, cioè le casse pubbliche, cioè i cittadini, a
mantenere in vita il moribondo con trasfusioni di denaro tolto ad opere
veramente essenziali.
Quindi: previsioni inaffidabili; progetto con molte incognite tecniche
(dai giunti alla questione delle oscillazioni) irrisolte; impatto
ambientale certo, per gli scavi, la devastazione di siti importanti, le
aree per lo stoccaggio dei materiali di risulta; i danni
all'ecosistema. Su questi ed altri dati certi le grandi aziende con le
mani in pasta in tutte le grandi opere devastanti, dalla Tav in poi, si
preparano all'assalto della torta.
Ancora una volta le ragioni del No sono tutte importanti, fondamentali,
e avvalorate da sempre nuove argomentazioni. Ma stavolta può
essere che non bastino gli argomenti, ma occorra riallacciare quel filo
interrotto di lavoro nel territorio, porta a porta, per quanto riguarda
l'area dello Stretto, e altrove, ma a partire da Sicilia e Calabria,
nei paesi, per smontare le falsità, le balle vendute per
verità, le argomentazioni dello schieramento "pontista". Ponte
uguale sviluppo? Rispondere: né Ponte né sviluppo, ma
un'altra strada, decisa dalle popolazioni, per assicurare lavoro pulito
e prospettive sane di vita e socialità a chi è stato
scippato del diritto a vivere nella propria terra, gettato in pasto
alla criminalità organizzata, strumentalizzato nelle sue
più basilari necessità, ricattato per un posto di lavoro.
Una strada che veda ponti di solidarietà, mutuo appoggio,
unità nella lotta tra le popolazioni, e non più false
soluzioni, funzionali solo alle rapine private e di Stato.(1)
Pippo Gurrieri
(1) Per chi volesse saperne di più, sono ancora disponibili
copie del libro "Il mostro sullo Stretto – Sette ottimi motivi per non
costruire il Ponte", di A. Mangano e A. Mazzeo – Sicilia Punto
L/terrelibere.org. Pagg. 103, una copia 4 euro. Per richieste dalle
dieci copie in su, sconto del 50%. Da richiedere a: Sicilia Punto L
edizioni, vico L. Imposa, 4 – 97100 Ragusa. CCP n. 10167971 intestato a
Giuseppe Gurrieri – Ragusa, specificando la causale.