In questi mesi il flusso dell'informazione ci sommerge di fatti,
opinioni e dati quasi sempre indirizzati verso la costruzione di un
clima che favorisce l'imbarbarimento dei rapporti sociali e la modifica
in senso sempre più autoritario e repressivo della forma di
governo. In alcune occasioni però le informazioni vanno, almeno
parzialmente, controcorrente e - per questo motivo - vale la pena di
segnalarle, visto che questo genere di notizie spariscono velocemente
dal panorama mediatico.
La scorsa settimana è stato diffuso dall'ISTAT il consueto
rapporto "La situazione del paese" (disponibile sul sito www.istat.it)
con una appendice di 6 pagine su "Stranieri e sicurezza", nella quale
vengono brevemente presentati alcuni dati sui temi oggi al centro
dell'attenzione. Si parte da quelli già noti (a tutti meno che
ai professionisti della paura) sulla criminalità che hanno
visto, dall'inizio degli anni '90, la diminuzione di alcune tipologie
di reato: furti di veicoli, furti nelle abitazioni e persino omicidi,
salvo quelli commessi "in famiglia". Sarebbero invece in aumento altri
tipi di reati, soprattutto rapine e borseggi, rispetto agli anni '60 e
'70.
Per quanto riguarda poi la famigerata "percezione di insicurezza",
vengono presentati i dati di una indagine che viene condotta dal 1993.
Secondo i risultati, la percentuale di famiglie che considerano la zona
nella quale vivono "molto o abbastanza a rischio di criminalità"
erano (in media nazionale) il 31,2% nel 1993 e il 34,6% nel 2007, un
aumento definibile minimo. Il dato si differenzia a seconda delle aree
geografiche di provenienza del campione: percentuali praticamente
immutate (Nord-ovest e Sud), un forte incremento (Centro e Nord-est) e
addirittura una decisa diminuzione (Isole). Tra le regioni più
"preoccupate" la Lombardia, che supera il Veneto (in testa fino al
2006) e l'Emilia-Romagna dove la "preoccupazione" è in crescita.
Riguardo all'aumento della criminalità "straniera", viene
rilevato che il contributo dei non italiani ai reati "è di poco
superiore" a quello degli indigeni e relegato a particolari tipi di
reati. Rilevante invece l'aumento della percentuale di stranieri
indagati per omicidio che era il 6% nel 1992 ed è il 32% nel
2006. Viene però anche sottolineato che nel 75% dei casi la
vittima è anch'essa straniera, molto spesso della stessa
nazionalità dell'assassino. Come dire che ogni dieci omicidi
solo uno ha come colpevole uno straniero e vittima un italiano, ma
è sempre quest'ultimo evento che viene ossessivamente ricordato
dai mass-media.
La conclusione dell'ISTAT è chiara: "il contributo degli
stranieri a fenomeni di devianza è in aumento, ed è da
ascriversi soprattutto alla componente irregolare", per quanto riguarda
i reati economici. I reati di tipo violento invece "possono riguardare
tanto gli immigrati regolari quanto gli irregolari, tanto gli stranieri
quanto gli italiani".
A fronte di queste statistiche (attendibili o meno che siano) ci sono
invece le dichiarazioni dei politici, un misto di bugie e di pregiudizi
schiettamente razzisti se non addirittura istigatori di violenza. Si
veda, ad esempio, l'intervista al sottosegretario all'Interno, Alfredo
Mantovano ("Il Tempo", 31/5/08), nella quale il parlamentare afferma
che l'aumento dei giorni di permanenza nei Cpt, inserito nel pacchetto
"sicurezza" del Governo è "in accordo con normative europee",
mentre tale norma è ancora (vedi UN n. 20) in discussione.
Ma questa menzogna diventa uno scherzo, davanti a frasi riguardanti i
Rom: "Come dimostrano i numeri e la realtà sociologica questa
è un etnia connessa con un certo tipo di reati. Furti, rapine
per arrivare, come nel caso di Ponticelli, anche al sequestro di
persona." Sempre lo stesso, a proposito delle ronde, afferma: "È
una delle risposte alla domanda di sicurezza (...) Non trovo
però scandaloso che associazioni di volontari, carabinieri in
congedo, i nonni che fanno vigilanza davanti le scuole, contribuiscano
con la propria esperienza ma senza etichette politiche a mantenere un
livello di sicurezza nelle città."
Che la situazione sia davvero critica lo dimostra anche la lettura del
Rapporto annuale di Amnesty International (disponibile su
www.amnesty.it) che dedica all'Italia uno spazio doppio di quello
precedente. In cinque paragrafi viene riassunta una parte di
realtà che difficilmente riesce a bucare la cortina di ferro
della propaganda di stato.
Vengono ricordati i processi per le torture ed i maltrattamenti fatti
dalle forze dell'ordine a Genova nel 2001 nei confronti di persone
inermi ed i fatti del dicembre 2005 in Val di Susa, quando la polizia
devastò il campeggio No-Tav e picchiò i presenti. Ma
anche le morti di Federico Aldrovandi, di Aldo Bianzino e di Gabriele
Sandri.
Vengono ripescate dal dimenticatoio dei media, troppo impegnati in
altre faccende, tutti gli episodi che hanno visto le istituzioni
italiane in prima fila contro il rispetto dei diritti umani: "Il
governo Italiano non ha collaborato pienamente alle indagini degli
organismi internazionali che hanno accertato precise
responsabilità dell'Italia nelle rendition (trasferimenti
illegali di persone da un paese all'altro, generalmente culminanti in
arresti arbitrari, sparizioni, detenzione senza processo e tortura)."
Ma questo lo sapevamo: da una parte ci si fa belli con la moratoria
sulla pena di morte e dall'altra si collabora con i torturatori.
Viene ricordato che "Nel corso del 2007 e della prima metà del
2008, diversi esponenti politici locali e nazionali hanno usato un
linguaggio discriminatorio nei confronti dei rom e dei migranti. Nello
stesso periodo si sono susseguiti provvedimenti dichiaratamente a
protezione della "sicurezza", in realtà prevalentemente
orientati a facilitare l'espulsione dei cittadini dell'UE e dei
migranti irregolari. E questo ha portato a "rischiosi passi indietro" a
proposito dei diritti dei rifugiati e dei minori migranti. E, sempre a
proposito di minori, il Rapporto di Amnesty accusa l'Italia di avere
continuato, nonostante le belle promesse, ad autorizzare l'esportazione
di armi anche verso paesi nei quali vengono utilizzati bambini soldato.
Questo stato delle cose può portare ad una considerazione:
esiste una "emergenza Italia" della quale sono responsabili, in diversa
misura, il potere politico e quello mediatico. Una emergenza alla quale
va data una risposta, sia sul piano informativo - per contrastare la
propaganda xenofoba e razzista - che su quello delle lotte concrete,
riportando l'agire politico in tutti i luoghi di lavoro, nelle piazze,
nelle scuole e nei quartieri.
Pepsy