Umanità Nova, n.21 dell'8 giugno 2008, anno 88

Educazione fascista. Dai temi di Ponticelli agli stages militaristi di La Russa


La violenza, quella psicologica come quella fisica, su bambini e adolescenti, è una delle infamie peggiori sulle quali non ci deve neanche essere discussione. E, infatti, tutti, a parole, la condannano scandalizzati. Eppure… eppure non passa giorno che le cronache non ci informino in abbondanza di nuovi episodi.
Sugli assalti ai campi Rom a Ponticelli di Napoli siamo già stati ampiamente informati. E l'articolo di Robertino apparso sul numero scorso ha permesso di approfondirne pienamente tutti gli aspetti e le implicazioni. Ma al peggio, si sa, non c'è limite, ed ecco arrivare, come inevitabile corollario, i temi dei bambini che, nel descrivere il pogrom vissuto da vicino assieme ai loro esagitati genitori, ci restituiscono una realtà ancora peggiore. Una realtà che parla, in maniera drammatica, dell'involuzione inarrestabile di un intero corpo sociale. Quando si legge, infatti, che "la gente ha fatto bene a bruciare i campi rom, visto che non se ne sono andati con le buone, abbiamo dovuto usare le maniere forti" oppure "io penso che noi napoletani abbiamo fatto bene a cacciarli via" o ancora che "sembra che i bambini rubati li usino per l'elemosina", si capisce che questi giovani scolari subiscono quotidianamente una violenza intellettuale (certo non meno grave di quella fisica) paurosa. Ma che però, essendo utile ai progetti di un potere sempre più repressivo e coercitivo, è pienamente legale e non sanzionabile. Anzi!
Un bambino, si sa, ha innato il senso della giustizia e difficilmente è portato all'intolleranza. Ma una società che usa tutti i suoi strumenti – l'informazione televisiva e giornalistica, la propaganda dei partiti dell'ordine, gli apparati repressivi dello Stato - per generare guerre suicide fra poveri e fare dell'esclusione e della sopraffazione la caratteristica fondante dei rapporti sociali, non solo mette in conto il bel risultato di generare già nei fanciulli una potenziale "mostruosità" ma fa partire la sua meravigliosa "macchina da guerra" proprio per ottenere questi risultati.
E, infatti, a dispetto delle ipocrite geremiadi di chi ne è oggettivamente complice, e a scorno degli sforzi di chi invece cerca generosamente di fare luce sugli interessi del potere educando alla solidarietà e ragionando sulla violenza, si mette in atto, con ossessiva determinazione, un lavaggio del cervello che non intende lasciare indietro nessuno. E via andare, allora, con le oscene trasmissioni "dedicate" agli adolescenti, con il bombardamento quotidiano dei telegiornali su insicurezza, criminalità e clandestini, con le stromabazzanti esternazioni di grotteschi e rivoltanti figuri sulla tolleranza zero e sulla necessità di un maggiore controllo sociale. Mai una parola seria, dio non volesse, sullo sfruttamento brutale della forza lavoro immigrata, sul non rispetto delle regole dell'imprenditoria privata e pubblica, sulla diffusa criminalità "legalizzata", quella sì devastante e inarrestabile, di una intera classe dirigente in guanti bianchi. Gente che non ruba certo i bambini dalle culle (come del resto i rom), ma che ai bambini, agli adolescenti, agli adulti, dopo avergli rubato l'anima, ruba pure le opportunità di una sana socialità.
Oggi, lo vediamo, ci si sta avviando a uno stato di polizia, soft, strisciante e ancora in gestazione, ma più pericoloso di altri che già abbiamo conosciuto. Più pericoloso perché largamente condiviso, accettato, addirittura auspicato come l'unico mezzo che possa farci tornare finalmente a essere "padroni in casa propria". Stato di polizia che passa attraverso la militarizzazione del territorio, la promulgazione di leggi speciali "indispensabili" per rendere vivibili le nostre belle città, la repressione indiscriminata e "obbligata" di ogni forma di contestazione od opposizione ai giochi del potere: la libertà personale ceduta in cambio della promessa di essere salvaguardati dal cattivo, dal malvagio, da chi attenta alla nostra cultura identitaria.
Una involuzione autoritaria che corrisponde a un progetto ben definito, e che trova la propria definizione secondo passaggi sequenziali e temporali ben definiti. Passaggi generalmente elaborati con serietà e, purtroppo, professionalità. Generalmente, ma non sempre. Il ministro della Difesa La Russa, già nostro simpatico bersaglio in più occasioni, torna a fare parlare di sé. E, come al solito – ma certo non per lo sguardo luciferino - senza che lo si possa pigliare sul serio. Evidentemente nostalgico dei bei tempi andati – la nostalgia per il passato regime fascista era insopprimibile nei missini – il buon Ignazio propone, oltre al prevedibile aumento delle spese militari, visto che si dovrà militarizzare mezza Italia, anche il ritorno al passato: la naja! Ma dato che non è né economico né sicuro più di tanto il vecchio esercito di leva, e però non si possono perdere valori quali la disciplina, la sottomissione, il rispetto della gerarchia, l'amore per la patria, cosa si inventa l'imitatore del willeriano Mefisto? Semplice e, pensato da La Russa, anche geniale: la mini naja, degli stages estivi volontari, tramite i quali i giovani possano finalmente riavvicinarsi a quell'esercito che tanto bene opera per la sicurezza e la floridezza della Nazione.
Se non fosse che le prospettive future non sono affatto buone, e che uomini come La Russa ce li dovremo tenere per non so quanto, ci sarebbe solo da sghignazzare per questo intelligente progetto educativo – a proposito della violenza istituzionale sui giovani – ma sinceramente, di questi tempi, di voglia di ridere, nonostante Ignazio, ce ne resta davvero ben poca.

Massimo Ortalli

home | sommario | comunicati | archivio | link | contatti