La violenza, quella psicologica come quella fisica, su bambini e
adolescenti, è una delle infamie peggiori sulle quali non ci
deve neanche essere discussione. E, infatti, tutti, a parole, la
condannano scandalizzati. Eppure… eppure non passa giorno che le
cronache non ci informino in abbondanza di nuovi episodi.
Sugli assalti ai campi Rom a Ponticelli di Napoli siamo già
stati ampiamente informati. E l'articolo di Robertino apparso sul
numero scorso ha permesso di approfondirne pienamente tutti gli aspetti
e le implicazioni. Ma al peggio, si sa, non c'è limite, ed ecco
arrivare, come inevitabile corollario, i temi dei bambini che, nel
descrivere il pogrom vissuto da vicino assieme ai loro esagitati
genitori, ci restituiscono una realtà ancora peggiore. Una
realtà che parla, in maniera drammatica, dell'involuzione
inarrestabile di un intero corpo sociale. Quando si legge, infatti, che
"la gente ha fatto bene a bruciare i campi rom, visto che non se ne
sono andati con le buone, abbiamo dovuto usare le maniere forti" oppure
"io penso che noi napoletani abbiamo fatto bene a cacciarli via" o
ancora che "sembra che i bambini rubati li usino per l'elemosina", si
capisce che questi giovani scolari subiscono quotidianamente una
violenza intellettuale (certo non meno grave di quella fisica) paurosa.
Ma che però, essendo utile ai progetti di un potere sempre
più repressivo e coercitivo, è pienamente legale e non
sanzionabile. Anzi!
Un bambino, si sa, ha innato il senso della giustizia e difficilmente
è portato all'intolleranza. Ma una società che usa tutti
i suoi strumenti – l'informazione televisiva e giornalistica, la
propaganda dei partiti dell'ordine, gli apparati repressivi dello Stato
- per generare guerre suicide fra poveri e fare dell'esclusione e della
sopraffazione la caratteristica fondante dei rapporti sociali, non solo
mette in conto il bel risultato di generare già nei fanciulli
una potenziale "mostruosità" ma fa partire la sua meravigliosa
"macchina da guerra" proprio per ottenere questi risultati.
E, infatti, a dispetto delle ipocrite geremiadi di chi ne è
oggettivamente complice, e a scorno degli sforzi di chi invece cerca
generosamente di fare luce sugli interessi del potere educando alla
solidarietà e ragionando sulla violenza, si mette in atto, con
ossessiva determinazione, un lavaggio del cervello che non intende
lasciare indietro nessuno. E via andare, allora, con le oscene
trasmissioni "dedicate" agli adolescenti, con il bombardamento
quotidiano dei telegiornali su insicurezza, criminalità e
clandestini, con le stromabazzanti esternazioni di grotteschi e
rivoltanti figuri sulla tolleranza zero e sulla necessità di un
maggiore controllo sociale. Mai una parola seria, dio non volesse,
sullo sfruttamento brutale della forza lavoro immigrata, sul non
rispetto delle regole dell'imprenditoria privata e pubblica, sulla
diffusa criminalità "legalizzata", quella sì devastante e
inarrestabile, di una intera classe dirigente in guanti bianchi. Gente
che non ruba certo i bambini dalle culle (come del resto i rom), ma che
ai bambini, agli adolescenti, agli adulti, dopo avergli rubato l'anima,
ruba pure le opportunità di una sana socialità.
Oggi, lo vediamo, ci si sta avviando a uno stato di polizia, soft,
strisciante e ancora in gestazione, ma più pericoloso di altri
che già abbiamo conosciuto. Più pericoloso perché
largamente condiviso, accettato, addirittura auspicato come l'unico
mezzo che possa farci tornare finalmente a essere "padroni in casa
propria". Stato di polizia che passa attraverso la militarizzazione del
territorio, la promulgazione di leggi speciali "indispensabili" per
rendere vivibili le nostre belle città, la repressione
indiscriminata e "obbligata" di ogni forma di contestazione od
opposizione ai giochi del potere: la libertà personale ceduta in
cambio della promessa di essere salvaguardati dal cattivo, dal
malvagio, da chi attenta alla nostra cultura identitaria.
Una involuzione autoritaria che corrisponde a un progetto ben definito,
e che trova la propria definizione secondo passaggi sequenziali e
temporali ben definiti. Passaggi generalmente elaborati con
serietà e, purtroppo, professionalità. Generalmente, ma
non sempre. Il ministro della Difesa La Russa, già nostro
simpatico bersaglio in più occasioni, torna a fare parlare di
sé. E, come al solito – ma certo non per lo sguardo luciferino -
senza che lo si possa pigliare sul serio. Evidentemente nostalgico dei
bei tempi andati – la nostalgia per il passato regime fascista era
insopprimibile nei missini – il buon Ignazio propone, oltre al
prevedibile aumento delle spese militari, visto che si dovrà
militarizzare mezza Italia, anche il ritorno al passato: la naja! Ma
dato che non è né economico né sicuro più
di tanto il vecchio esercito di leva, e però non si possono
perdere valori quali la disciplina, la sottomissione, il rispetto della
gerarchia, l'amore per la patria, cosa si inventa l'imitatore del
willeriano Mefisto? Semplice e, pensato da La Russa, anche geniale: la
mini naja, degli stages estivi volontari, tramite i quali i giovani
possano finalmente riavvicinarsi a quell'esercito che tanto bene opera
per la sicurezza e la floridezza della Nazione.
Se non fosse che le prospettive future non sono affatto buone, e che
uomini come La Russa ce li dovremo tenere per non so quanto, ci sarebbe
solo da sghignazzare per questo intelligente progetto educativo – a
proposito della violenza istituzionale sui giovani – ma sinceramente,
di questi tempi, di voglia di ridere, nonostante Ignazio, ce ne resta
davvero ben poca.
Massimo Ortalli