L'ultima operazione militare Usa nella regione di Helmand,
nell'Afganistan meridionale, è stata denominata in codice: Azada
Wosa, che nella lingua dei pashtun significa "Siate Liberi". Ma la zona
interessata reca un nome assai meno rassicurante: Dasht-i-Margo, il
Deserto della Morte.
Le informazioni che, sempre in maniera dissimulata e rarefatta,
giungono dall'Afganistan evidenziano ancor più questo paradosso.
Bombardamenti, stragi di civili e combattimenti si accompagnano a
notizie che parlano di un conflitto dai contorni sempre più
sordidi. L'inviato speciale delle Nazioni Unite, l'australiano Philip
Alston, ha recentemente dovuto denunciare l'impiego da parte delle
democratiche forze d'occupazione di squadroni della morte, denominati
Campaign Forces, formati da milizie irregolari afgane che, al soldo e
al comando di ufficiali Usa e Nato, compiono missioni coperte contro la
guerriglia filotalebana che includono esecuzioni sommarie e saccheggi.
Ma, la politica Usa in Afganistan opera su più piani, giocando
sia sul piano bellico che su quello, sotterraneo, della diplomazia di
guerra.
Altre notizie riferiscono di azioni coperte anche nel confinante
Pakistan, dove secondo varie fonti agirebbero già distaccamenti
di Berretti Verdi statunitensi per sostenere la guerra contro le forze
talebane; proprio mentre si parla con insistenza di una tregua
concordata tra il governo pakistano di Yousef Raza Gliani e le
tribù militanti filotalebane del Sud Waziristan. Tale accordo,
basato sul ritiro graduale delle truppe governative pakistane da tale
area tribale e la correlata fine degli attacchi contro il governo
pakistano, permetterebbe alle forze della guerriglia talebana di
rafforzarsi indisturbate per combattere l'occupazione Usa e Nato nel
confinante Afganistan.
Ad operarsi in tal senso vi è il partito pashtun Awami, maggioritario nelle zone tribali a cavallo dei due paesi.
Prospettiva questa osteggiata, per ovvie ragioni, dagli Stati Uniti
sempre più in difficoltà sui diversi fronti afgani.
Per questo, oltre ad inviare altri rinforzi (circa 10 mila soldati in
più negli ultimi due mesi), le forze occupanti Usa da tempo
cercano di stabilire accordi e intese non solo con i vari signori della
guerra e del narcotraffico, ma anche con alcuni settori talebani.
Secondo quanto denunciato dal presidente della Commissione sicurezza
interna del parlamento afgano, Zalmai Mujaddedi, nella notte tra il 27
e il 28 marzo scorsi, circa 200 elicotteri kazachi noleggiati dalla
Nato hanno caricato presso la base militare di Kandahar casse
contenenti centinaia di Ak.47, lanciarazzi e mezzo milione di
proiettili, poi paracadutate nell'area talebana di Zabul e quindi
raccolte dai miliziani del mullah Alam.
Intanto il Pentagono sta progettando la costruzione di un nuovo carcere
presso la base Usa a Bagram, dove già vi è una delle
peggiori strutture detentive, segnata da numerose morti e dove
risultano prigionieri pure una decina di minorenni.
Questo è il contesto in cui si proiettano le prossime decisioni
del nuovo governo italiano, peraltro in linea con quelle del
precedente, riguardo l'intervento militare in Afganistan.
Poco prima delle elezioni, alcuni esponenti della destra - tra cui il
trascorso ministro della difesa Antonio Martino - avevano ipotizzato lo
spostamento di una parte del contingente italiano dislocato in Libano
al teatro afgano; ma adesso il ministro degli esteri Frattini ha
espresso un altro orientamento, ossia nessun aumento numerico delle
truppe (circa 2.800 unità), ma maggiore flessibilità
d'impiego e revisione delle regole d'ingaggio, i cosiddetti
«caveat», secondo le richieste di adeguamento rivolte dai
vertici della Nato ai governi italiano, spagnolo, francese e tedesco,
anche in occasione del recente vertice Nato di Bucarest.
Il governo tedesco, da parte sua, appare non soltanto sordo a tale
sollecitazione, ma recentemente ha fatto sapere di non condividere le
linee seguite dai suoi alleati atlantici, ritenendo l'approccio sul
campo di battaglia adottato da Usa e Gran Bretagna in contrasto con le
leggi internazionali.
A riguardo da segnalarsi invece il silenzio dell'Onu, il cui segretario
generale Ban Ki Moon, assieme al rappresentante speciale per
l'Afganistan, ha per la prima volta partecipato al summit Nato di
Bucarest lavorando per un comune memorandum d'intesa.
Fino ad ora, i militari italiani partecipanti alla missione Isaf-Nato
sono stati generalmente impegnati nel distretto di Kabul e nella
provincia di Herat, salvo alcune aliquote dei reparti speciali che
hanno guerreggiato anche nelle province meridionali di Helmand e
Kandahar. Ormai però gli sviluppi del conflitto vedono i
combattenti filotalebani attivi nei dintorni e fin dentro la capitale,
oltre ad aver raggiunto i confini con la regione occidentale (provincia
di Farah) dove operano le truppe Isaf sotto il comando italiano.
Il ministro ha anticipato che tali misure saranno decise alla
conferenza sull'Afganistan in programma per il 12 giugno a Parigi. E
saranno resi operativi ad agosto, quando l'Italia lascerà il
comando della capitale Kabul ai francesi, spostando quasi tutto il
contingente sul fronte occidentale di Herat e Farah.
Con la rimozione dei «caveat» definita dal Comando
operativo interforze, le truppe italiane saranno quindi impiegabili
secondo le necessità tattiche anche in settori diversi a
supporto dei contingenti alleati.
Più precisamente, fin dalla prossima estate, i duecento
incursori italiani della Task Force 45 e gli elicotteri della Task
Force Fenice saranno pienamente disponibili per i combattimenti nel sud
dell'Afganistan. Inoltre, i circa mille appartenenti ai due Battle
Group attivi nel settore ovest potranno operare con le regole
d'ingaggio Nato, ossia potranno effettuare operazioni offensive
preventive come le truppe Usa, britanniche e canadesi secondo gli
standard "combat" di Enduring Freedom.
Previsto anche l'incremento del numero dei mezzi e, in particolare,
degli elicotteri da combattimento Mangusta già operanti a Herat
e Farah.
D'altronde il ruolo di primo piano da tempo assunto dall'intervento
italiano, risulta confermato dalla nomina del diplomatico Fernando
Gentilini quale alto rappresentante civile della Nato in Afganistan,
incaricato di seguire tutti gli aspetti politico-militari della Nato e
dei rapporti col governo di Kabul.
Di certo il governo delle destre, con un ministro della difesa che alla
prima uscita ha subito indossato la mimetica, continuerà a
credere che in Afganistan esistono solo dei problemi tattici, ma ormai
è evidente che, dopo sette anni di guerra, per le forze
occupanti l'Afganistan rappresenta una sconfitta strategica.
U.F.