Umanità Nova, n.22 del 15 giugno 2008, anno 88

Dai Cpt ai CIE. Raccolta e deportazione


La recente adozione del cosiddetto pacchetto sicurezza varato dal governo Berlusconi ha riacceso i riflettori sulle politiche repressive nei confronti degli immigrati e sulle norme con cui lo stato intende gestire i flussi migratori nel nostro paese.
Partendo dall'infame presupposto che l'immigrazione è un problema di ordine pubblico e che come tale va affrontato, il sistema normativo si preoccupa di contenere e reprimere la libertà di circolazione per adempiere ai dettati dell'Unione europea e per piegare l'esistenza stessa degli immigrati alle esigenze del mercato del lavoro.
Non c'è bisogno di ribadire che la clandestinità in cui si trovano migliaia di lavoratori immigrati non è una scelta di vita bensì il naturale prodotto di un sistema che rende praticamente impossibile l'ingresso regolare degli immigrati nel nostro paese fornendo così al padronato una massa enorme di manodopera a basso costo, senza diritti e perfettamente ricattabile. Ed è qui che entrano in gioco i Centri di Permanenza Temporanea (CPT). Istituiti nel 1998 dalla legge sull'immigrazione Turco-Napolitano (L. 40/1998 - governo di Centrosinistra ), i CPT sono strutture detentive in cui vengono reclusi i cittadini stranieri sprovvisti di permesso di soggiorno. Tale detenzione è finalizzata all'identificazione dell'immigrato che deve essere rimpatriato. Il periodo previsto di detenzione, che con questa legge era di trenta giorni, è stato portato a sessanta dalla successiva legge Bossi-Fini (L. 189/2002 - governo di Centrodestra), tuttora in vigore.
Nonostante i cittadini stranieri si trovino all'interno dei CPT con lo status di trattenuti, la loro permanenza nella struttura corrisponde di fatto a una detenzione perché sono privati della libertà personale e sono sottoposti a un regime di coercizione che, tra le altre cose, gli impedisce di ricevere visite e di far valere il fondamentale diritto alla difesa legale.
I CPT hanno inaugurato in Italia lo stato della detenzione amministrativa, sottoponendo a regime di privazione della libertà persone che hanno violato una disposizione amministrativa (ovvero il non possedere il permesso di soggiorno).
L'attuale dibattito sulla conversione della clandestinità in reato penale prefigura uno scenario repressivo ancora più soffocante alla luce della volontà di allungare fino a ben 18 mesi il periodo di detenzione nei CPT. Questi ultimi si appresterebbero così a diventare dei Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE) e negli intendimenti del governo potrebbero trovare realizzazione in aree militari dismesse. Così facendo, si assisterebbe a un'ulteriore militarizzazione del controllo dello stato sugli immigrati, un controllo che già oggi è assolutamente intollerabile.
Attualmente, il funzionamento dei CPT è di competenza del prefetto che affida, tramite convenzioni, i servizi di gestione della struttura a soggetti privati, responsabili del rapporto con i detenuti e del funzionamento materiale del centro.
Le forze dell'ordine (polizia e carabinieri) presidiano normalmente gli spazi esterni alle strutture ma, nella prassi, il controllo da parte del personale di pubblica sicurezza si estende direttamente anche negli spazi interni. L'accesso ai CPT è formalmente vietato ad amministratori di enti pubblici, giornalisti, operatori di organizzazioni per i diritti umani e garanti per i diritti delle persone detenute. Solo deputati e senatori, previa autorizzazione prefettizia, possono visitare i CPT.
Oggi i CPT operativi in Italia sono dieci: Bari-Palese (196 posti), Bologna (95), Caltanissetta (96), Lamezia Terme (75), Gradisca d'Isonzo (136), Milano (112), Modena (60), Roma (300), Torino (92), Trapani (57), gestiti per lo più dalla Croce Rossa, dalle Misericordie o da altre cooperative e strutture di volontariato che hanno trovato particolarmente redditizio il business della detenzione degli immigrati prevista dalle leggi razziste. A questo elenco va aggiunta anche la struttura di Lampedusa che, al pari di altre, ha solo mutato la propria denominazione in "Centro di prima accoglienza" continuando a essere una galera.
Nei dieci anni di esistenza dei CPT è successo di tutto all'interno delle loro mura circondate da sbarre e filo spinato: tentativi di fuga più o meno riusciti, ferimenti procurati durante le evasioni, proteste sfociate in scontri anche durissimi con le forze dell'ordine (cariche e lacrimogeni compresi), rappresaglie e pestaggi da parte di polizia e carabinieri, somministrazione di psicofarmaci da parte del personale sanitario al fine di stordire e sedare i detenuti, abusi sessuali, decessi per mancanza di cure adeguate, atti di autolesionismo e suicidi da parte degli immigrati, vere e proprie stragi come quella in cui sei immigrati morirono a Trapani nel 1999 in seguito a un incendio divampato durante una fuga.
In moltissimi casi la solidarietà antirazzista e internazionalista ha fatto sì che quanto accaduto nei CPT sia stato portato all'esterno, all'attenzione dell'opinione pubblica. Le mobilitazioni antirazziste hanno avuto negli anni molti alti e bassi, registrando alternativamente vittorie e sconfitte sempre parziali. La repressione è stata spesso molto dura perché si tratta di una lotta strutturale che va a toccare i nervi scoperti di un sistema - quello del controllo della libertà di movimento – che non è soltanto italiano ma anche e soprattutto europeo (se non addirittura mondiale).
Ecco, quindi, cosa sono i CPT. Istituzioni totali in cui il potere esercita il proprio dominio sulla base di leggi escludenti e razziste. Posti abietti in cui si rischia di essere reclusi anche dopo una vita di lavoro: è sufficiente essere licenziati e perdere, con il contratto di lavoro, il permesso di soggiorno e – con esso - una vita intera.
La casistica delle situazioni incresciose è potenzialmente infinita. Ma dietro ogni numero c'è un individuo, con la sua storia e il suo vissuto personale. Un vissuto fatto di sacrifici, di speranze e di contraddizioni drammatiche come per qualunque emigrante. Anche gli italiani sono stati emigranti e lo sono tuttora, ma sembra che la maggior parte della gente se lo sia scordato.
Ecco cosa sono i CPT. Chiudiamoli!

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